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diretto da Romano Luperini

 

Pietà e distacco

Uno dei passi più noti di Mimesis[1] è dedicato all’analisi di un capoverso di Madame Bovary, in cui si rappresenta la scena del pranzo dei due coniugi (cap. 9, parte I):

Mais s’était surtout aux heures des repas qu’elle n’en pouvait plus, dans cette petite salle au rez-de-chaussée, avec le poêle qui fumait, la porte qui criait, les murs qui sumtaient, les pavés humides; toute l’amertume de l’existence lui semblait servie sur son assiette, et, à la fumée du bouilli, il montait du fond de son âme comme d’autres bouffées d’effadissement.Charles était long à manger; elle grignotait quelques noisettes, ou bien, appuyée du coude, s’amusait, avec la pointe de son couteau, de faire des raies sur la toile cirée.

[Ma era soprattutto all’ora dei pasti che lei non ne poteva più, in quella saletta a pian terreno, con la stufa che faceva fumo, la porta che cigolava, i muri trasudanti, le mattonelle umide: tutta l’amarezza dell’esistenza le sembrava scodellata nel suo piatto,e, col fumo del lesso, salivano dal fondo del suo animo altri vapori di squallore. Carlo era lento nel mangiare; lei sgranocchiava qualche nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si divertiva a fare con la punta del coltello delle righe sulla tela incerata.][2]

E’ il momento in cui l’insoddisfazione di Emma, il tedio che lei prova per la nuova vita a Tostes dopo le speranze che avevano preceduto il trasferimento, la nausea per il comportamento apatico del marito stanno raggiungendo l’esasperazione creando nello stesso tempo le condizioni che la indurranno poi all’adulterio. Auerbach anzitutto considera la stretta connessione dei periodi, in cui tutto è subordinato «nel senso e nel ritmo all’intento principale». Anche quando viene rappresentato il marito, che era lento a mangiare, si tratta «solo» di «una ripresa e [di] una variazione del motivo principale». Come sempre in Auerbach, non è solo una constatazione stilistica. Essa prelude a una considerazione più generale: l’unità della scena si realizza attraverso un doppio movimento della scrittura. Da un lato l’unità e la interconnessione che la determina sono fornite dalla prospettiva della protagonista cosicché il lettore viene indotto a vedere il quadro attraverso di lei; ma dall’altro non è Emma a parlare, bensì lo scrittore. Scrive Auerbach: «ella non guarda solamente, ma è guardata come riguardante, e con ciò giudicata attraverso una semplice e chiara definizione della sua esistenza soggettiva e attraverso le sue proprie sensazioni». Qui – aggiunge – «vi è la mano ordinatrice dello scrittore». Ne deriva – mi pare – un corrispondente doppio movimento nella ricezione del lettore che da un lato avverte quanto sia «profonda» la «comprensione» dell’autore per la sua eroina – il che esclude immediatamente, secondo Auerbach, la possibilità del comico -, ma dall’altro «non potrà mai sentirsi una sola anima con lei», non potrà né dovrà identificarsi – come invece accade nei personaggi della tragedia-: «ella viene sempre esaminata, giudicata e condannata insieme con tutto il mondo che la irretisce».

Sin qui Auerbach che nel passo studiato vede il fondamento del realismo moderno, e cioè la trattazione seria della realtà quotidiana, lo svuotamento definitivo della separazione degli stili e il superamento tanto del tragico quanto del comico tradizionali. Ma le sue osservazioni possono interessare anche da un altro punto di vista, quello del rapporto fra romanzo e adulterio. Mi riferisco ai due rilievi dell’interconnessione sintattica del procedimento narrativo e del fenomeno che ho appena chiamato “doppio movimento” per cui pietà e distacco, comprensione e giudizio sono egualmente presenti sulla pagina. Che esista un collegamento fra questi due rilievi e più in generale fra la struttura del romanzo ottocentesco e la figura dell’adultera, è tesi che qui vorrei provare a esporre.

Flaubert: il nulla e l’ordine borghese

Proviamo dunque a rileggere da questo nuovo punto di vista il brano commentato da Auerbach.

Il collegamento fra le articolazioni del discorso, suddiviso in quattro periodi attraverso due punti e virgola o altrettanti punti fermi, è strettissimo. Eppure si avverte un lento spostamento e allargamento della prospettiva. La scena dapprima è vista dall’ottica di Emma e ristretta alla «petite salle au rez-de-chaussé». Ma già nel secondo periodo si dilata a cogliere l’amarezza dell’esistenza intera di Emma e ad associare al fumo del lesso che sale dal piatto le «bouffées d’affadissement» che provengono invece dal fondo del suo animo. Da un lato lo squallore della situazione è filtrato dal punto di vista di Emma; dall’altro ella viene assimilata a questo stesso squallore e da esso limitata e giudicata. Lo scrittore ordina il discorso in modo da calarsi dapprima simpateticamente nell’animo della protagonista mostrandone le sfumature più profonde dell’animo e da distanziarsene poi impietosamente e quasi cinicamente. I due atteggiamenti si percepiscono nella loro successione, ma interagiscono anche fra loro cosicché i loro effetti si intrecciano e consuonano contemporaneamente. Infine, nel terzo e nel quarto periodo, la prospettiva si allarga ancora per rappresentare insieme – dall’alto, si direbbe – i due coniugi a tavola. Questa volta sono posti sotto tiro il carattere apatico di Charles, lento a mangiare come in qualsiasi altra cosa, e quello fantastico, introverso ma anche ozioso di Emma, che traccia delle linee con la punta del coltello sulla tela incerata.

Il punto di vista superiore del narratore implica un giudizio apriori che non ha bisogno nemmeno di essere formulato tanto appare naturale. L’impersonalità flaubertiana non è rinuncia al giudizio, ma solo alla sua espressione diretta sulla pagina; anzi l’impersonalità presuppone, a veder bene, un giudizio implicito che viene dato come tacitamente condiviso. Si potrebbe aggiungere che le strutture mentali di una società fortemente strutturata penetrano inavvertitamente nelle pieghe del discorso; anzi, lo orientano secondo la logica di un inconscio politico che si rivela anche senza accedere alle parole del giudizio esplicito.

In ogni periodo storico esiste una pensabilità determinata del mondo che si impone come indiscutibile ordine epistemologico e morale al di là delle intenzioni e della coscienza stessa dell’autore che ne viene suo malgrado marcato. Se l’Ottocento è il secolo del romanzo d’adulterio, è perché in esso si afferma la istituzione della famiglia borghese e il privato individuale appare costantemente inserito e limitato in un ordine sociale e in un contesto familiare. Legge e trasgressione, matrimonio e adulterio, si giocano ancora su uno scenario fortemente pubblico e istituzionale, anche se questo tende ormai a ridursi e a frantumarsi nell’ordine familiare. Il tentativo moderno e romantico, contro cui si accanisce Denis de Rougemont, di conciliare l’amour-passion con il matrimonio è a veder bene un estremo tentativo di tenere insieme individuale e sociale o, se si preferisce, la sfera privata ed esistenziale dell’uomo isolato, che sta conquistando sempre maggiore autonomia e importanza, e quella istituzionale e pubblica della famiglia. La scrittura di Flaubert accoglie il punto di vista privato dell’adultera, sino a comunicare al lettore un sentimento di pietà, ma subito lo traguarda dall’alto distanziandolo con il giudizio. Beninteso Flaubert non difende affatto il matrimonio; anzi, demistifica nel contempo le «platitudes» dell’unione coniugale e quelle dell’adulterio. Da questo punto di vista il pubblico ministero Pinard aveva qualche ragione dalla sua. Ma non poteva capire che, pur nell’ambiguità costitutiva di ogni messaggio artistico, lo stile di Flaubert e l’inconscio politico che vi si rivela esprimono pur sempre un ordine introiettato. In Flaubert, come in altri autori del romanzo realista ottocentesco, la struttura del discorso narrativo è un omologo della struttura sociale. Il discorso riconosce e tacitamente rispetta una gerarchia. Con il linguaggio di Spinoza si potrebbe dire che, a un certo livello, l’ordo idearum è segretamente e spontaneamente correlato all’ordo rerum.

La grandezza di Flaubert – quella per cui sembra già anticipare il nuovo secolo – sta semmai nel fatto che quest’ordine stringe il vuoto. I romanzi di Flaubert, si sa, sono romanzi sul nulla. La legge che egli accoglie nella struttura stessa del discorso si sta già riducendo a un involucro sempre più svuotato di senso. La scena che abbiamo commentato non mette in scena una lite, un contrasto, un nodo drammatico; è una scena di normale vita quotidiana in cui lo squallore del nulla penetra sin nelle strutture più consuete del matrimonio e dell’ordine borghese.

Maupassant: irrisione e primato delle strutture familiari

In un racconto di Maupassant, Rencontre (Incontro) del 1884 (fa parte di Les soeurs Rondoli), si mette in scena una beffa alla legge. Il barone d’Étraille, sempre lucido e padrone di sé, dopo aver sorpreso la moglie con l’amante, l’ha cacciata da casa, regolando in modo adeguato la situazione finanziaria in modo che la baronessa possa vivere autonomamente in modo agiato, ma a condizione che non ci siano scandali e lei salvi comunque le apparenze. Passa il tempo, e il barone invecchia precocemente. Sei anni dopo la separazione deve recarsi a Nizza per ragioni di salute. Prende il rapido notturno in partenza da Parigi e in vagone letto incontra una persona. Impossibile distinguere se sia un uomo o una donna. La mattina dopo, con grande stupore, riconosce la moglie, divenuta ancora più bella e seducente. Prova un violento desiderio e vorrebbe riprenderla con sé. D’altronde, pensa, «était à lui, lui appartenait de par la loi. Il n’avait qu’a dire: “Je veux” [era sua, gli apparteneva per legge. Bastava che dicesse: “Voglio”]». E quando lei con lieve disprezzo lo respinge, la avvisa: «Je suis votre mari, c’est mon droit (…)La loi me donne la force. J’en userai. [Sono vostro marito, è mio diritto (…). La legge mi consente la forza, e la userò]»[3]. A questo punto la donna, con gelido distacco, dapprima lo mette in guardia informandolo che quell’incontro non è stato affatto casuale ma è stato da lei preparato, poi gli ricorda di avere sempre salvato le apparenze, come lui aveva voluto, e per questo, aggiunge, ha deciso di passare la notte con lui nello scompartimento e di far notare questo particolare agli amici che verranno a prenderla alla stazione di Marsiglia. Teme infatti di essere incinta e così il figlio potrà essere attribuito al marito.

Il racconto appartiene al genere delle novelle di beffa, che boccaccianamente mescolano il tema comico a quello erotico. È un genere abbastanza frequentato da Maupassant: nei suoi primi due terzi ne fa parte anche la famosa Partie de campagne (Scampagnata), dove infatti incontriamo un marito e un fidanzato beffati e traditi. Certamente Maupassant è abbastanza scettico o cinico per simpatizzare per la adultera; eppure, anche in Rencontre le vere protagoniste sono le strutture sociali e le convenzioni morali che possono essere aggirate e irrise, ma mai dimenticate. Anzi il genere stesso della beffa ne presuppone l’insormontabile importanza. La donna può violare la sostanza della legge ma solo per un paradosso che la conferma, e cioè rispettando sino in fondo le convenzioni e le apparenze sociali. Non per nulla anche in Partie de campagne l’incontro erotico, intrapreso per gioco goliardico e intraprendenza scapigliata da parte dei due canottieri e per desiderio d’avventura e d’amore da parte della madre e della figlia, può alla fine diventare una cosa seria e importante, e provocare malinconia, tristezza e autentico rimpianto nei due protagonisti, ma non incrinare l’ordine borghese del matrimonio che non ne risulta minimamente scalfito. Maupassant può divertirsi a scandalizzare il proprio pubblico, ma non mette mai in discussione il primato della istituzione familiare.

L’adulterio nell’Ottocento, tra indulgenza e condanna

Che sia una donna o un uomo a scrivere la storia dell’adulterio poco cambia. Si prenda La virtù di Checchina di Matilde Serao. Checchina è una piccola Bovary napoletana, annoiata dal marito e dalla vita piccolo-borghese e finisce per cedere alla corte di un donnaiolo, un nobile vanitoso e moralmente squallido. Si reca all’appuntamento nella casa di lui, ma intanto proietta il proprio senso di colpa sulle varie figure con cui si trova a parlare o nelle quali s’imbatte durante il tragitto – la serva di casa, un’amica e infine il portiere sulla soglia della dimora del nobile – trasformandole in giudici del suo operato. In particolare il portiere diventa per lei un personaggio di autorità – non solo sociale ma morale – di cui non riesce a sopportare lo sguardo. Così non ha il coraggio di entrare nell’abitazione del seduttore e torna alla propria casa, salvando la propria virtù. La simpatia e la comprensione della Serao per il suo personaggio femminile sono evidenti. D’altronde il punto di vista della narrazione è quello stesso della protagonista, cosicché chi legge è indotto a condividerne la prospettiva. E tuttavia il lettore non può identificarsi con lei, e non solo perché il titolo ironico già comporta una distanza e un giudizio, ma perché troppo squallidi e banali sono i suoi pensieri e la sua stessa ambigua virtù[4] Il “doppio movimento” riscontrato in Flaubert è anche nella Serao. D’altronde all’idea convenzionale di virtù coniugale presupposta dal titolo corrisponde nel racconto una figura maschile di seduttore così screditata, così scontatamente negativa, da squalificare immediatamente la propensione all’adulterio della protagonista.

Si potrebbe concludere che nei confronti dell’adultera il romanzo e il racconto realista dell’Ottocento oscillano fra indulgenza e giudizio di condanna o, se si preferisce, fra tolleranza e legge. Ha scritto Tony Tanner:

Nel tempio del romanzo borghese, v’è simpatia per gli impulsi antinomici di coloro che la società condanna; e v’è inoltre il riconoscimento della necessità delle leggi d’ogni genere. Da ciò le tensioni strutturali del romanzo. La tolleranza e la legge hanno effetti opposti: non può esservi società senza legge e non può esservi romanzo senza tolleranza (o empatia, o comprensione)[5].

Ma alla fine è la legge che finisce per trionfare. Il codice d’onore – spiega un personaggio di Effi Briest – è un «culto idolatrico» che esige in ogni caso obbedienza assoluta, perché rappresenta la legge indiscutibile di chiunque viva nella società civile e intenda continuare a farlo. La colpevole deve essere comunque punita[6]. Nella maggior parte dei casi, il romanzo ottocentesco d’adulterio (da Madame Bovary ad Anna Karenina, dalle Affinità elettive a La sonata a Kreutzer, da Effi Briest a Il marito di Elena) si conclude con l’eliminazione dell’adultera o per suicidio o per omicidio da parte del marito o per malattia. La trasgressione viene drammaticamente espunta dall’ordine sociale. «Salvo sporadiche eccezioni – è stato scritto – la narrativa d’adulterio non conosce happy end»[7]. Il contenuto della trama risulta insomma coerente con la organizzazione formale: tanto l’uno quanta l’altra sono modellati dallo stesso ordine sociale introiettato e dunque dallo stesso apriori ideologico o, se si preferisce, dallo stesso inconscio politico.

Il compimento dell’amore: caso, corpo, inconscio

La scena dei coniugi a tavola torna all’inizio di un racconto lungo di Musil, Die Vollendung der Liebe (Il compimento dell’amore), scritto fra il 1909 e il 1910. Non si descrive un pranzo, ma la non meno consueta cerimonia del tè. L’atmosfera è tuttavia molto diversa: è quella di un decoroso idillio coniugale in un ambiente altolocato. È sera, le persiane abbassate fanno tranquillamente spiovere nel salotto ombre soffuse, verdi e grigie, gialle e azzurre. Marito e moglie sono uniti da un senso di intimità raccolta che provoca commozione e tenerezza e sembra immobilizzare il tempo: pare fermo anche il getto del tè che esce dalla teiera d’argento. A questo punto leggiamo:

An diesem dünnen [eine zärtliche Beweghtheit], kaum wirklichen und doch so wahrnehmbaren Gefühl hing, wie an einer leise zitternden Achse, das ganze Zimmer und dann an den beiden Menschen, auf die sie sich stützte: Die Gegenstände hielten umher den Atem an, das Licht an der Wand erstarrte zu goldenen Spitzen,… es schwieg alles und wartete und war ihretwegen da;… die Zeit, die wie ein endlos glitzernder Faden durch die Welt läuft, schien mitten durch dieses Zimmer zu gehen und schien mitten durch diese Menschen zugehen und schien plötzlich einzuhalten und steif zu werden, ganz steif und still und glitzernd,… und die Gegenstände rückten ein wenig aneinander. Es war jenes Stillstehen und dann leise Senken, wie wenn sich plötzlich Flächen ordnen und ein Kristall sich bildet… Um diese beiden Menschen, durch die seine Mitte lief und die sich mit einemmal durch dieses Atemanhalten und Wölben und Um-sie-lehnen wie durch Tausende spiegelnder Flächen ansahen und wieder so ansahen, als ob sie einander zum erstenmal erblickten…

[Intorno a quella sensazione sottile [commozione e tenerezza], appena appena reale eppure così netta girava, come intorno a un asse lievemente vibrante, tutta la stanza, e poiancora intorno ai due su cui poggiava. Gli oggetti trattenevano il fiato, la luce sulla parete si rapprendeva in merlettature dorate… tutto taceva e aspettava ed era lì per loro… il tempo, che corre per il mondo come un lucido filo senza fine, pareva passare attraverso quella stanza e attraverso quelle persone, e improvvisamente arrestarsi e diventare rigido, impietrito e immobile e scintillante… e gli oggetti si avvicinavano un po’ gli uni agli altri. Era quell’arresto e poi quella leggera discesa, come quando all’improvviso si assestano le superfici e si forma un cristallo… Intorno alle due creature attraverso le quali passava il suo asse e che a un tratto, per quella sospensione di fiato e quell’avvolgimento, quell’inglobamento, si vedevano come in mille superfici rifrangenti, ma anche come se si vedessero per la prima volta…][8].

Tutta la narrazione è condotta attraverso il punto di vista di un narratore che condivide la prospettiva dei due personaggi e soprattutto, come il lettore si accorgerà proseguendo nella lettura, quella dell’unica protagonista, Claudine. La prospettiva dunque, si direbbe in linguaggio cinematografico, è in soggettiva. Dominano sensazioni, impressioni, stati d’animo mutevoli. Rispetto al brano di Madame Bovary, tempo e spazio ne risultano sconvolti. La soggettivizzazione produce una dispersione narrativa, un effetto di entropia e di leggera vertigine. Lo sguardo centripeto di Flaubert è sostituito da una variabilità centrifuga. Lo spazio non è più ordinato da una superiore razionalità. La stanza sembra roteare su un asse vibrante che passa attraverso i corpi della coppia. Gli oggetti vengono antropomorfizzati, sembrano trattenere il fiato, avvicinarsi fra loro. Da un lato guadagnano autonomia rispetto al soggetto, dall’altro acquistano una misteriosa importanza simbolica e sembrano esistere solo per la coppia che li guarda. Quanto al tempo, esso pare arrestarsi e sospendersi in modo da proteggere l’idillio. L’ambiente si cristallizza e i cristalli rimandano l’immagine immobile dei coniugi innamorati. Il procedimento del discorso non è gerarchicamente organizzato. Manca uno stretto rapporto di consequenzialità fra i periodi. Alla verticalità della prospettiva di Flaubert, che progressivamente si dilatava e s’innalzava, succede una orizzontalità che giustappone senza articolare sintatticamente, e associa o accosta senza subordinare.

Questa mancanza di consequenzialità (che poi Musil teorizzerà in una pagina famosa di Der Mann ohne Eigenschaften [L’uomo senza qualità]) si registra anche sul piano dei contenuti. Mentre la noia e il disgusto di Emma sono le necessarie premesse dell’adulterio, la commozione e la tenerezza che unisce i coniugi in questa scena iniziale non lasciano affatto presagire il tradimento di lei con uno sconosciuto incontrato per caso in treno il giorno dopo. E non è solo il lettore a non poterlo immaginare; anche la protagonista è lontanissima dal prospettarselo. Si potrebbe allora pensare a un meccanismo di contrapposizione fra l’iniziale idillio coniugale e il conclusivo adulterio; ma non è così: anzi, tutto fa pensare a una giustapposizione o addirittura a una complementarità. D’altronde il titolo, Die Vollendung der Liebe, fa immaginare appunto un compimento, qualcosa che non si contrappone ma si aggiunge, quasi che l’infedeltà di Claudine sia la realizzazione di un processo che ora si completa. Comunque sia, il tradimento coniugale non si inserisce in una catena di fatti oggettivi che lo spiegano; ma è solo la conseguenza del predominio soverchiante della casualità di avvenimenti non previsti e razionalmente non prevedibili, di impulsi incontrollabili della corporalità, e infine di un processo inconscio che affiora molto lentamente e contraddittoriamente alla superficie della coscienza inducendo la protagonista a fare i conti con una parte rimossa del proprio passato e di se stessa. Caso, corpo, inconscio si collocano dalla stessa parte, quella della trasgressione, e stanno guadagnandosi uno spazio e una importanza che non erano immaginabili pochi decenni prima. Il mondo non appare più dominato e permeato da istituzioni pubbliche e da strutture sociali che determinano i comportamenti morali. In una società che si sfrangia intorno a un individuo sempre più isolato, il matrimonio e la famiglia perdono una parte della loro centralità, mentre sempre più rilievo acquista il momento privato ed esistenziale. A questo livello si può capire che un adulterio può semplicemente e casualmente accadere, e che il vero dilemma per Claudine divenga non già il contrasto – sociale e morale – fra virtù coniugale e tradimento, ma quello tutto psicologico fra la fedeltà a un uomo amato, il marito, e fedeltà, invece, alle istanze più profonde e nascoste di se stessa che a poco a poco le si rivelano. La contraddizione diventa esclusivamente interiore, e probabilmente appunto in questa sfera si risolverà come compimento o arricchimento conclusivo di sé.

Si percepisce chiaramente che la rottura culturale operata da Bergson, da Nietzsche e dalla psicologia moderna (qui Mach più che Freud) ha operato in profondo, sovvertendo il modo di ragionare, di narrare, di organizzare la logica, il tempo e lo spazio della narrazione. Sono passati pochi anni, ma tutto è cambiato. La moderna psicologia ha mostrato che nessuno è più padrone in casa propria, la fisica ha relativizzato tempo e spazio, i nascenti movimenti femministi stanno mettendo in discussione la centralità della famiglia e il potere che la legge concede al marito (Una donna di Sibilla Aleramo, uno dei primi romanzi femministi del panorama europeo, precede di quattro anni Die Vollendung der Liebe). Se Ibsen con Casa di bambola aveva turbato l’opinione pubblica ottocentesca, ma, per salvare l’onorabilità e la serietà della propria eroina e del gesto con cui ella abbandona alla fine la famiglia, l’aveva dovuta tenere ancora alla larga da ogni tentazione di adulterio, ora quest’ultimo non è più un tabù.

Il rovesciamento di paradigma

Nel passaggio da Flaubert, Tolstoj, Fontane, Maupassant a Musil l’idea di realtà, il rapporto soggetto-oggetto, la pensabilità del mondo, il peso delle istituzioni e delle strutture sociali nella vita individuale, il canone narrativo, tutto risulta sconvolto. Il romanzo di adulterio, che ruotava intorno alla dialettica – tutta pubblica e sociale, anche se drammaticamente interiorizzata – fra trasgressione e ordine borghese, viene privato dei suoi stessi fondamenti. Il relativismo incrina l’autorità della legge e del matrimonio; la soggettività del punto di vista capovolge l’importanza dei valori, facendo emergere in primo piano quelli privati, inconsci, pulsionali che azzerano ogni precedente gerarchia. Questo rovesciamento di paradigma, già evidente nel racconto di Musil, sarà portato alle estreme conseguenze da Joyce nell’ultimo episodio di Ulysses.

Nell’arco di parabola che va da Madame Bovary a Die Vollendung der Liebe e all’ultimo capitolo di Ulysses un interessante momento di passaggio è rappresentato da L’esclusa di Pirandello. Questa opera, scritta nel 1893 e pubblicata in volume quindici anni dopo in una nuova redazione, è ancora un romanzo d’adulterio apparentemente tradizionale. Alla prospettiva soggettiva della protagonista, che viene cacciata da casa innocente suscitando così la pietà e la comprensione del lettore, si sovrappone pesantemente il giudizio aprioristico di pubblica condanna che grava sulla sua esistenza e quello del narratore stesso che più volte ne sottolinea la sostanziale passività e la coscienza dell’impossibilità di sottrarsi al proprio destino che la indurrà infine a cadere, si legge, in «quella stessa colpa, di cui – innocente – era stata accusata»[9]. Anche per il narratore autoriale si tratta, quindi, almeno alla fine, di una «colpa». Per tutti, per la voce pubblica, per il marito, persino per il padre, la protagonista è colpevole. Per il narratore autoriale inizialmente non lo è, ma alla fine lo diventerà fatalmente. E tuttavia è significativo che il giudizio pubblico non dipenda più da un fatto – l’adulterio di cui la donna all’inizio è accusata non è stato in realtà mai consumato – ma dall’apparenza di un fatto, da una opinione che si trasforma in un decisivo pregiudizio sociale e morale. Il principio di realtà sta diventando a tale punto paradossale che, alla fine, quando la trasgressione si realizza davvero e la donna sta attendendo un figlio dall’amante, la sua situazione viene regolarizzata e legalizzata dal coniuge che la riaccoglie in casa e si accolla un figlio non suo. Se in Maupassant la legge matrimoniale che tutelava i diritti del marito entrava in conflitto con le apparenze sociali intrappolando l’uomo in una situazione senza via d’uscita ma comunque confermando l’onnipotenza di quella legge e di quelle apparenze, in Pirandello è la realtà delle cose a entrare in conflitto con le convenzioni legali e sociali, cosicché queste ultime, pur continuando a far valere i propri effetti, risultano alla fine svuotate dall’interno. Al determinismo naturale caro alla generazione di Zola è succeduto un determinismo più precario, esclusivamente sociale e ideologico – quello della voce pubblica – , che ora comincia a rivelare tutta la propria casualità e inconsistenza. E se da un lato la figura dell’adultera è ancora schiacciata da un potere che non lascia scampo, anche perché la condiziona interiormente e infine la induce a rientrare nell’ordine borghese e a rinunciare alla sfida che con lo studio e con il lavoro la donna aveva lanciato alla ipocrisia della società, dall’altro l’esclusione tende già a divenire una specola di osservazione che coglie le contraddizioni e la vacuità dell’intero meccanismo sociale.

Ma è con l’Ulysses che il disegno si completa trovando la propria naturale conclusione nel monologo di Molly. Nell’ultimo episodio del romanzo viene abbandonato anche l’artificio della terza persona, che restava ancora in Die Vollendung der Liebe. L’adultera ora parla in prima persona attraverso la tecnica del monologo interiore, comunicando direttamente le proprie sensazioni, la mobilità delle impressioni, degli stati d’animo e soprattutto delle pulsioni istintuali e corporali. L’orizzontalità della prospettiva diventa assoluta. Non è più possibile nessuna verticalità, nessuna visione dall’alto. Lo sguardo di chi narra non si solleva dalla materialità più quotidiana. Il procedimento esclusivamente giustappositivo e paratattico è esaltato dall’azzeramento della organizzazione sintattica, a partire dalla punteggiatura. Una sensazione fisica – una contrazione dei visceri o l’inizio delle mestruazioni – oppure un rumore improvviso che giunge dall’esterno – il fischio del treno – hanno lo stesso rilievo del rapporto con il marito o con l’amante, d’altronde anch’esso raccontato solo per frammenti minimi, dispersi nel magma convulso del monologo. Alla protagonista non competono neppure più lo status e la condanna pubblica di adultera. Ha avuto sì degli amanti e ne ha appena ricevuto uno, Boylan, nello stesso letto che ora accoglie anche il marito, ma non la riguarda più il conflitto fra la forza della legge e del costume e la profondità dell’amour-passion che sconvolgeva Anna Karenina o fra noia quotidiana e avventura romantica che arrovellava Emma Bovary. L’adulterio non è più una «colpa», come era nell’Ottocento, e cessa anche di essere una turbativa devastante dell’ordine sociale: diventa manifestazione naturale di una spinta alla realizzazione di una femminilità dominante e onniaccogliente, vissuta come terreno grembo materno e sesso aperto che dice sì a tutta la vita («yes I will yes [sì voglio Sì]» sono le ultime parole dell’episodio e del romanzo). L’aspetto pubblico dell’adulterio perde valore, per diventare un momento della dialettica privata ed esistenziale di un io isolato e atomizzato per il quale le pulsioni corporali e le oscillazioni della memoria involontaria sembrano contare di più delle strutture istituzionali e la famiglia è avvertita come un fascio di relazioni individuali e psicologiche assai più che come una garanzia di stabilità sociale. Il titolo dell’episodio – Penelope, il letto – accosta estremi lontanissimi: la donna virtuosa e fedele al marito della tradizione classica e il luogo in cui si manifesta la vasta femminilità di una donna che in esso si congiunge al maschio, partorisce, allatta i figli, mangia, espleta le proprie funzioni corporali, anche le più basse. L’ordine remoto della tradizione può essere ormai solo oggetto di parodia.

L’adulterio nel romanzo modernista: un’opzione individuale

Con Die Vollendung der Liebe e Ulysses la figura dell’adultera subisce una radicale trasformazione. Non è più avvolta da un giudizio aprioristico. Non è più vista da fuori, non importa se con pietà, simpatia o comprensione. E neppure ha più ragione d’essere quel “doppio movimento” che caratterizzava il romanzo e il racconto d’adulterio nel romanzo realista borghese. Ora l’adultera prende la parola, ci racconta la vita dalla sua prospettiva. Il senso di colpa tende ad annullarsi del tutto, come accade in Molly, o a ridursi a un disagio nei confronti del marito che non ha ragioni ideologiche e sociali ma solo psicologiche, come accade in Claudine. Scompare la stessa opposizione fra la noia ispirata dal coniuge e l’amour passion suscitato dall’amante: quest’ultimo anzi non viene affatto idealizzato né da Molly né da Claudine, che anzi dentro di sé ne giudica severamente il carattere ordinario e grossolano (in contrapposizione, questa volta, alla figura idealizzata del marito). Infine l’adultera non viene più eliminata brutalmente dalla scena attraverso un suicidio o un uxoricidio, ma sino all’ultimo ci comunica la sua verità, non importa se sconvolgente per l’opinione maschile dominante che si trova di colpo a dovere fare i conti con una zona dell’umano sottratta al proprio dominio.

Con la trasformazione novecentesca della figura dell’adultera il romanzo d’adulterio volge a termine. La struttura sociale e culturale e il modello narrativo che gli corrispondeva entrano in crisi. La nuova organizzazione formale del romanzo modernista e le nuove tecniche della narrazione fondate sulla soggettivizzazione e sul relativismo del punto di vista narrativo esprimono una nuova visione del mondo e un nuovo modo dell’uomo occidentale di considerare la propria vita, in cui il momento pubblico tende a perdere importanza a vantaggio di quello privato, il matrimonio non ha più il valore sacrale e istituzionale che possedeva nel corso dell’Ottocento e l’adulterio cessa di essere una colpa che condanna all’esclusione sociale per trasformarsi in un’opzione individuale che può comportare drammi psicologici, sofferenze esistenziali e magari anche disapprovazione ma non più il marchio incancellabile dell’infamia.

Verrebbe voglia di aggiungere che, anche in questo caso, la vera svolta della modernità non si dà negli anni sessanta o settanta del Novecento con il cosiddetto postmoderno, ma con il cambiamento di paradigma che si realizza nel passaggio da Otto e Novecento e con la letteratura modernista che ne dà testimonianza. Ma questo sarebbe già argomento di un altro convegno.

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NOTA

Il testo precedente è una relazione svolta a Sant’Arcangelo di Romagna a fine maggio 2008 in un convegno intitolato Il romanzo e l’adulterio.

(1) E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Francke, Bern 1946; trad. it.Mimesis.Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 1984, vol. II, pp. 255-267.
(2) G. Flaubert, Madame Bovary, in Oeuvres, texte établi et annoté par A. Thibaudet et R. Dumesnil, vol. I, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris 1983 [1951], p. 351; trad. it. di M. L. Spaziani , Madame Bovary, in Opere, vol. I, Mondadori, Milano 1997, p. 582. La trad. è stata modificata qua e là.
(3) G. de Maupassant, Rencontre, in Contes et nouvelles 1875-1884. Une vie, Robert Laffond, Paris 1988, p. 1053-4; trad. it. di M. Picchi, Tutte le novelle, vol. I, Mondadori, Milano 1993, pp. 1381-1384.
(4) M. Polacco, Le ambigue virtù di Checchina, ovvero: storia di un’inetta, in M.Serao, La virtù di Checchina, a cura di M. Polacco, Manni, Lecce 2000, pp. 99-100.
(5) T. Tanner, Adultery in the Novel, The Johns Hopkins University Press, Baltimore 1979, trad. it. L’adulterio nel romanzo. Contratto e trasgressione, Marietti, Genova 1990, p.36.
(6) Dopo che il marito di Effi ha dichiarato di amare ancora la moglie colpevole ma di doverla comunque ripudiare interdicendole anche la vista della figlia, perché questo vuole la società («Im Zusammenleben mit den Menschen hat sich in Etwas ausgebildet, das nun mal da ist und nach dessen Paragraphen wir uns gewöhnt haben, alles zu beurteilen, die andern und uns selbst. Und dagegen zu verstoßen geht nicht… jenes, wenn Sie wollen, uns tyrannisierende Gesellschafts-Etwas, das fragt nicht nach Charme und nicht nach Liebe und nicht nach Verjährung. Ich habe keine Wahl. Ich muß. [Vivendo in mezzo agli altri, si è formato qualcosa che ora esiste, e secondo le cui norme siamo ormai tenuti a giudicare ogni cosa, gli altri e noi stessi. E combattere tutto questo non si può …quel qualcosa di costruito dalla società, se mi concede l’espressione, e che è il nostro tiranno, non vuol sapere di charme, né di amore, né di prescrizione. Io non ho scelta. Devo.]», l’amico Wüllersdorf, chiamato a fare il padrino nel duello con l’amante della donna,riconosce la giustezza di questo ragionamento aggiungendo: «Die Welt ist einmal, wie sie ist, und die Dinge verlaufen nicht, wie wir wollen, sondern wie die andern wollen. Das mit dem “Gottesgericht”, wie manche hochtrabend versichern, ist freilich ein Unsinn, nichts davon, umgekehrt, unser Ehrenkultus ist ein Götzendienst, aber wir müssen uns ihm unterwerfen, solange der Götze gilt. [Il mondo è quello che è, e le cose non vanno come vogliamo noi, ma come vogliono gli altri. Il giudizio di Dio, che tanti tirano in ballo pomposamente, è senz’altro un’assurdità: non esiste niente del genere, anzi, il nostro culto dell’onore è un culto idolatrico, ma noi dobbiamo assoggettarci a esso, finché l’idolo permane.]» (Th. Fontane, Effi Briest, Hauser, München 1997, pp. 236-7; trad. it. di U. Colla, Frassinelli, Cerbara-Città di Castello 1997, p 271 e p. 273). 
(7) E. Fiandra, Desiderio e tradimento. L’adulterio nella narrativa dell’Ottocento europeo, Carocci, Roma 2005, p. 33.
(8) R. Musil, Vereinigungen, Zwei Erzählungen, in Gesammelte Werke, herausgegeben von A. Frisé, vol. VI: Prosa und Stücke, Rowohlt, Reinbeck 1978, p. 157; trad. it. di A. Rho, Incontri, in Romanzi brevi, novelle, aforismi, con introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1986, p. 190.
(9) L. Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi,vol. I, a cura di G. Macchia,Mondadori, Milano 1986, p. 157.

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