I «tempi moderni» della Scuola tra economia della conoscenza e Confindustria
Massa studentesca e capitale umano
Se qualche studente, come sempre più spesso capita, si chiedesse a cosa serve la Scuola oggi, troverebbe la risposta più confacente allo spirito del tempo nel Dizionario di Economia e Finanza dell’Enciclopedia Treccani, alla voce Capitale umano. Definito come l’«insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo» e «acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro»[1], la formazione del capitale umano costituisce (ex lege) la missione speciale della Scuola contemporanea[2]. Chiunque, negli ultimi vent’anni, ne abbia frequentata una, da docente o discente, riconosce infatti molto agevolmente che uno dei caposaldi del suo paradigma pedagogico, ovvero la didattica delle «competenze», che incorporano «conoscenze» e «abilità», è profondamente radicato nel lessico concettuale del capitale umano. Un altro caposaldo, su cui insistono senza soluzione di continuità gli interventi normativi più recenti, è l’orientamento, declinato in una varietà di forme sempre crescente (dall’alternanza scuola-lavoro, ora PCTO, ai moduli curricolari obbligatori di 30 ore fino alla didattica orientativa) e che è fondamentalmente destinato a trasferire il «lungo apprendimento o esperienza» delle competenze dal posto di lavoro all’interno dei diversi ordini di istruzione (con indubbi vantaggi, anche in termini economici, per il sistema produttivo).
A cosa serve, quindi, la Scuola di oggi? Prioritariamente, se non esclusivamente, proprio a trasformare la massa degli studenti e delle studentesse che affluisce ogni giorno nelle aule scolastiche in capitale umano, ovvero la grande risorsa su cui si basa il nuovo modello di produzione neoliberista, fondato sulla «polivalenza del lavoro», che non è altro che la concentrazione del «maggior numero possibile di compiti in una persona» (da cui la necessità di insegnare competenze trasversali, centrali anche nella didattica orientativa) e sull’«intensificazione del lavoro» determinata anzitutto dall’informatica, mediante la quale «le conoscenze professionali di ciascuno» vengono trasformate «in un bene condiviso dall’impresa»[3] o dallo Stato, se i suoi servizi, a cominciare da quelli scolastici, vengono erogati attraverso le piattaforme, «il nuovo modello aziendale»[4] che è alla base del capitalismo digitale.
La “nuova” scuola orientativa
È in questo contesto, storicamente determinato, che vanno inseriti i recenti provvedimenti previsti dalle Linee guida per l’orientamento (DM 328/2022), a loro volta incorporate nella Missione 4 del PNRR, il cui obiettivo è «rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca»[5]. La Scuola, dunque, in quanto parte quantitativamente egemone del comparto Istruzione e ricerca, è diventata un settore strategico della nuova economia della conoscenza, e quindi del capitale umano, verso la quale è necessario orientare, senza tante discussioni, gli indirizzi didattici.
Particolarmente significativo sembra, a questo proposito, il punto 8 delle suddette Linee guida, dedicato all’E-Portfolio orientativo personale delle competenze, uno strumento finalizzato a documentare in modo unitario il percorso scolastico e l’applicazione di strategie didattiche quali «la personalizzazione dei piani di studio, l’apertura interdisciplinare degli stessi, l’esplorazione delle competenze maturate anche in ambiti esterni alla scuola»[6]. La particolare articolazione del portfolio digitale rivela la funzione di sorveglianza documentale dell’insegnamento e dell’apprendimento a esso sotteso. Suddiviso in quattro parti distinte, al suo interno figurano, nell’ordine: «il percorso di studi compiuti, anche attraverso attività che ne documentino la personalizzazione», «lo sviluppo documentato delle competenze in prospettiva del proprio personale progetto di vita culturale e professionale», «le riflessioni in chiave valutativa, auto-valutativa e orientativa sul percorso svolto e, soprattutto, sulle sue prospettive»[7], la scelta di almeno un prodotto che, in ciascun anno scolastico, lo studente ritiene particolarmente significativo del suo percorso di formazione. Si tratta del cosiddetto «capolavoro», un termine cui va assegnato, nel contesto della Scuola del capitale umano, un significato più economico[8], nel cui ambito il capolavoro è l’opera che il lavoratore assunto in prova deve compiere per dimostrare la propria capacità professionale, che educativo (il riferimento nobile è alla pedagogia popolare di Célestin Freinet).
D’altra parte, l’E-Portfolio non è altro che una struttura tecnica e metodologica funzionale a rafforzare in chiave orientativa soprattutto il «curriculum dello studente», il documento introdotto dalla Legge 107/2015 e che viene allegato al diploma finale rilasciato dopo il superamento dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione: vi sono indicate «le competenze, le conoscenze e le abilità anche professionali acquisite e le attività culturali, artistiche, musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extra scolastico, nonché in quello dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) ed altre eventuali certificazioni conseguite, ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro»[9].
Strettamente connessa a E-portfolio e curriculum è la funzione della piattaforma digitale Unica per l’orientamento, descritta al punto 10 delle Linee guida: in essa è previsto, tra le altre cose, «uno spazio riservato in cui sarà possibile consultare la stratificazione annuale del proprio E-Portfolio relativo alle competenze acquisite nei percorsi scolastici, ed extrascolastici»[10]. Considerata la fondamentale importanza che viene attribuita all’inserimento dei dati sulla piattaforma da parte degli studenti, la riforma dell’orientamento istituisce due nuove figure professionali, il docente orientatore e il docente tutor[11], cui vengono assegnati specifici compiti di supporto agli studenti (dalla compilazione del curriculum all’elaborazione del capolavoro) allo scopo di armonizzare le competenze acquisite con le richieste del mercato del lavoro. L’effetto principale di questa gigantesca opera di registrazione di dati, preziosa sostanza che «può essere raffinata e usata in varie maniere dalle piattaforme»[12], è la produzione di un particolare tipo di capitale umano, molto vicino a quello che Cohen definisce «capitale biografico» e che appartiene a una specie di nuovo proletariato, che ha anzitutto la propria vita (scolastica ed extrascolastica) «da far valere come “esperienza”»[13].
È ovvio che un apparato tecnico-burocratico di questa portata, la cui matrice è la struttura della nuova economia della conoscenza e del capitalismo digitale, ha estremo bisogno di una robusta giustificazione ideologica. La nuova cultura dell’orientamento fornisce questa giustificazione. Se infatti l’orientamento è, a ragione, istituzionalmente costitutivo di qualsiasi Scuola (in Italia almeno dagli Sessanta in poi), esso non può però essere decontestualizzato e astratto dai “nostri tempi moderni”. I tentativi di elaborare una didattica orientativa, che ambiscono a trasformare l’orientamento da informativo a formativo, si limitano, allo stato attuale, a riproporre, da un lato, il modello economicistico dell’«apprendimento per competenze» e della didattica laboratoriale, con l’immancabile corredo di anglismi (le «attività di problem solving di gruppo, il cooperative learning, il peer tutoring»)[14], dall’altro, il superamento astrattamente pedagogistico della «logica delle programmazioni disciplinari», i cui statuti epistemologici, consolidati da una lunga tradizione culturale e costantemente innovati dalla ricerca scientifica, vanno abbandonati a favore di una non meglio precisata «progettazione organica e integrata, che si struttura a più livelli e che opera secondo una didattica a spirale, in modo che i concetti vengano ripresi e approfonditi negli anni»[15]. L’orientamento si configura così come il grande paradigma didattico su cui edificare la nuova Scuola del capitale umano.
Dalla scuola-azienda all’azienda-scuola
Se l’economia della conoscenza e il capitalismo digitale sono i fattori esogeni della trasformazione economicistica del nostro sistema di istruzione, il fattore endogeno più rilevante è costituito dalla politica educativa elaborata e messa in atto, soprattutto negli ultimi dieci anni, da Confindustria. Risalgono infatti al 2014 Le 100 proposte di Confindustria, presentate al convegno L’education per la crescita e contenute in un documento di 195 pagine in cui si teorizza la competizione tra istituti scolastici («la scuola non può fare a meno della concorrenza») e tra «diverse metodologie didattiche per la diffusione delle migliori pratiche», secondo il principio per cui «il lavoro e l’impresa devono tornare centrali all’interno dei processi formativi»[16]. A questo scopo «la progettazione dei percorsi formativi deve incentrarsi sulla trasferibilità dell’apprendimento nella pratica professionale», non solo negli istituti tecnici e professionali ma anche nei licei, e «le scuole devono sviluppare lo spirito imprenditoriale e creativo dei ragazzi»[17], precetti trasferiti quasi alla lettera nei testi normativi della Scuola degli anni Dieci e Venti.
Si tratta, in effetti, di un vero e proprio manifesto programmatico, che ha potentemente ispirato lo spirito riformatore degli ultimi governi, come dimostra questa piccola antologia delle proposte:
25. Introdurre l’alternanza scuola-lavoro a tutti i livelli, rendendola obbligatoria negli ultimi 3 anni degli Istituti Tecnici ed estenderla di un anno negli Istituti Professionali innalzando il monte ore dedicato a 600 ore da distribuire nel triennio.
28. Predisporre convenzioni tra scuole e imprese per l’impiego di professionisti aziendali come “assistenza tecnica non didattica”.
30. Promuovere le iscrizioni agli Istituti Tecnici Industriali potenziando e diffondendo le reti scuola-impresa.
39. Avviare un Piano di orientamento Nazionale attivo, a partire dalle scuole elementari, rafforzando l’orientamento verso i percorsi tecnico-scientifici.
40. Rendere obbligatorio, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, l’investimento di un numero minimo di ore per l’illustrazione dei percorsi formativi e dei successivi sbocchi professionali, dando visibilità completa dei deficit e surplus di professionalità registrati nel mercato del lavoro.
43. Elaborare un Piano Nazionale di comunicazione che presenti lo stretto collegamento tra scuola e sviluppo economico, sbocchi e prospettive professionali, competenze richieste.
45. Valorizzare la figura del tutor a sostegno dei tirocini ancora oggi trascurata dal sistema educativo italiano (sul modello del Progetto Mentore).
47. Lanciare una campagna di orientamento già a partire dalla terza media che indirizzi i ragazzi verso gli ITS[18].
Tra proposte già realizzate e ancora da realizzare (ad esempio la numero 71, che prevede di abolire il valore legale del titolo di studio), il piano di costruzione di una Scuola a misura del mercato del lavoro, come è facile intuire, è in fase di forte avanzamento, ora accelerato dalla missione 4 del PNRR, che dedica tre delle sei riforme previste ai temi dell’orientamento, dell’istruzione tecnico-professionale e degli ITS Academy, ovvero ai punti cardinali delle proposte confindustriali.
In base a quanto descritto finora, è possibile affermare che è in atto un salto di qualità rispetto al processo di aziendalizzazione della Scuola, già in corso da tempo. Il sistema delle imprese rivendica, oggi più che mai, un «ruolo educativo» istituzionalizzato e strutturale, articolato in tre livelli: un livello informativo nell’orientamento, che si incarica di guidare i bambini e gli adolescenti verso un futuro sbocco professionale; un livello didattico nell’istruzione tecnico-professionale, «laddove sarà consentito a personale delle imprese di “entrare in aula” per contribuire con vere e proprie lezioni all’apprendimento di giovani delle scuole superiori» (istituendo, di fatto, la figura dell’imprenditore-docente); un livello didattico e di direzionenegli ITS Academy, «che riconosce alle imprese sia un ruolo nella didattica (intesa non solo come stage e tirocini, ma vera e propria co-progettazione dei percorsi) sia un ruolo – preponderante – nella governance, affidando normativamente alla responsabilità delle imprese la leadership delle fondazioni ITS»[19].
Il punto di arrivo del processo di radicale trasformazione della Scuola pubblica è quindi l’azienda-scuola, un ircocervo pedagogico dove i docenti, impegnati in una didattica orientativa progressivamente svuotata di contenuti culturali e indirizzata alla diagnosi precoce delle attitudini professionali degli studenti, saranno ridotti a tutor e orientatori. Le imprese, invece, saliranno in cattedra, sostituendo i valori della Costituzione con il management delle risorse umane e i fini di lucro.
[1] www.treccani.it/enciclopedia/capitale-umano_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza).
[2] Come argomenta in modo convincente anche Daniele Lo Vetere che evidenzia come la produzione di capitale umano nella Scuola sia diventato «il suo mandato principale, talvolta esclusivo, mentre la formazione generale della persona e del cittadino è diventato un principio secondario e subordinato» (La riforma dei tecnici e dei professionali e la produzione del capitale umano nella scuola dell’età neoliberale in www.leparoleelecose.it/?p=48247).
[3] D. Cohen, I nostri tempi moderni. Dal capitale finanziario al capitale umano, Einaudi, Torino 2001, pp. 28-9.
[4] N. Srnicek, Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web, Luiss, Roma, 2017, p. 42, la cui tesi fondamentale è che la piattaforma costituisca il modello dominante in tutti i settori dell’economia: «sviluppatesi spesso a causa del bisogno interno di gestire dati, le piattaforme sono divenute un modo efficace per manipolare, estrarre, analizzare e usare le quantità di dati che si stavano memorizzando».
[5] www.mur.gov.it/it/pnrr/pnrr-misure-e-componenti.
[6] Ministero dell’Istruzione e del Merito, Linee guida per l’orientamento, 2023, p. 7.
[7] Ivi, pp. 7-8.
[8] Cfr. C. Boscolo, Dai ragazzi esigiamo un “capolavoro”. Un’idea iper performante della scuola, in “Domani”, 26 maggio 2024, p. 11, secondo cui il capolavoro esprime «una visione iper performante del sistema scolastico, che risulta in questo modo sbilanciato verso una cultura aziendale a scapito della crescita umana e intellettuale delle persone».
[9] MIM, Linee guida per l’orientamento cit., p. 8.
[10] Ivi, p. 9.
[11] Su questo punto è interessante la testimonianza contenuta nell’articolo di S. Vitucci, La riforma dell’orientamento scolastico: lo sguardo di una docente tutor, in cui, entro un contesto favorevole all’azione riformatrice, si mette tuttavia in evidenza che «una delle criticità più evidenti della riforma» consiste nel fatto che la funzione di tutor può essere svolta, e di fatto in molti casi avviene così, da un docente estraneo al consiglio di classe e quindi privo della conoscenza profonda degli studenti da orientare, che nasce solo dalla loro frequentazione quotidiana. E suggerisce inoltre che «tale funzione dovrebbe essere propria del consiglio di classe e non solo di un docente» (laricerca.loescher.it/la-riforma-dellorientamento-scolastico-esperienza-docente-tutor/). Al problema didattico se ne aggiunge un altro, di tipo economico, che non è possibile sviluppare in questa sede. Ci limiteremo a registrare il fatto che un docente tutor riceve una retribuzione aggiuntiva che, al suo massimo, è di molto superiore, ad esempio, a quella di un coordinatore di classe, o persino di un collaboratore del dirigente, di qualsiasi istituto scolastico.
[12] Srnicek, Capitalismo digitale, cit., p. 52.
[13] Cohen, I nostri tempi moderni, cit., pp. 64-5.
[14] P. Ricchiardi, S. Giusti, M. Marchisio Conte, A. Barana, M. Sacchet, La didattica orientativa, in Orientarsi nell’orientamento, a cura di G. Guglielmini e F. Batini, il Mulino, Bologna 2024, p. 128.
[15] P. Brunello, L’orientamento: ma non è sempre stata la mission della scuola? in “La ricerca”, n. 26, maggio 2024, pp. 82-3.
[16] Confindustria, L’education per la crescita. Le 100 proposte di Confindustria, Roma 2014, p. 21.
[17] Ivi, p. 30.
[18] Ivi, pp. 31 e 36.
[19] Confindustria, Il ruolo chiave delle imprese e delle associazioni industriali, in “Newsletter n. 1. PNRR education”, 7 novembre 2023, pp. 1-2.
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