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L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale

 A distanza di dieci anni dalla prima edizione, è uscito nuovamente per Laterza L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale di Romano Luperini.

Non è frequente che un “libro di critica”, per quanto fortunato al momento della sua apparizione, sia ripubblicato. C’è sempre, anche negli studi critici di maggiore spessore, una porzione fisiologicamente, forse persino logicamente vincolata all’hinc et nunc che li ha prodotti: è la dimensione psicologica, esistenziale, storica, ideologica di chi scrive. Essa è destinata a mutare nel tempo e a decretare – a torto o a ragione – la marginalizzazione o persino la messa al bando di certi studi, in nome di categorie interpretative percepite come meglio rispondenti a un complesso di circostanze mutato.

L’incontro e il caso, invece, non è soltanto un libro ancora genericamente “attuale”: l’esperienza didattica (e non solo) ci insegna a dubitare dell’attualità come indicatore di profondità, giacché troppo spesso le operazioni critiche “attualizzanti” hanno avuto come esito lo schiacciamento deformante di un testo del passato sul presente e non la restituzione prospettica dei suoi elementi vitali. L’incontro e il caso è – semmai – un libro pulsante e urgente, problematico; oggi come dieci anni fa, ci interroga ancora sul valore ineludibile dell’incontro e ci obbliga a pensare all’attività del critico come ad autentica militanza. Vediamo perché.

Il tema è seducente ed è proprio di quelli senza tempo: benché lo studio privilegi di fatto il romanzo e il racconto sulla poesia, Luperini si muove attraverso i generi seguendo la ricorrenza del tema dell’incontro e il suo mutamento di senso e di segni dalle letterature antiche e premoderne sino alla letteratura moderna e contemporanea. L’incontro è un evento e, come tale, implica movimento e scambio di segni fra le persone. Luperini rintraccia innanzi tutto questi segni, di cui ricostruisce la semantica a partire dal tempo e dallo spazio in cui ciascun incontro avviene: il vagone ferroviario, la slitta, l’albergo per l’inquieta Claudine di Musil, durante quel viaggio che decreterà Il compimento dell’amore; la Canziria, di notte, per Deodata, fedele al suo Mastro don Gesualdo; la canoa sulla Senna nella Scampagnata di Henri e Henriette nel racconto di Maupassant. Questi segni vengono disposti come su una trama che consente di leggere l’ordito metaforico del tema dell’incontro e la sua smaterializzazione allegorica. Seguiamo dunque una parabola: l’incontro, da occasione comunicativa e interdialogica, finisce per rivelarsi minaccia destrutturante o addirittura distruttiva. Dagli incontri esemplari de I promessi sposi, situati, essenziali, portatori di un confronto serrato fra bene e male (don Abbondio e i bravi, Renzo e don Abbondio, Renzo e Azzeccagarbugli, fra Cristoforo e don Rodrigo, etc), si giunge così agli incontri artificiali, convenzionali o illusori dei romanzi e dei racconti di Pirandello (si pensi, ad esempi, ai Quaderni di serafino Gubbio, operatore) o addirittura agli incontri solo immaginati, come quello fra Gerty e Bloom, nell’Ulisse di Joyce, che non ha più nemmeno bisogno, per essere reale e concreto, di uno spazio sociale di accadimento.

Accanto a questa indagine, di natura propriamente tematica, si dispone un’indagine complementare sull’incontro come elemento strutturante dell’intreccio; l’incontro infatti non ha solo un significato connesso al tempo e allo spazio che lo determinano, ma è una modalità narrativa, una scelta “tecnica” da parte di un autore, forma attraverso cui l’autore decide di dare corpo a un preciso contenuto: motore dell’azione, strumento di scioglimento, momento di stasi. Per questa strada, Luperini sottrae l’incontro al rischio di una valutazione archetipica: se l’archetipo è eterno, sempre uguale a se stesso e perciò indifferente alla storia, il tema dell’incontro non si esaurisce nella rappresentazione di alcune significazioni costanti nel tempo e nello spazio (confronto, scontro, cambiamento…); viceversa, si carica dei lasciti onerosi della politica, della religione, della filosofia, dell’arte e delle loro cangianti forme. Documento e – insieme – monumento, il suo valore complesso va “per così dire, ri-negoziato ogni volta”.

L’indagine si dipana attraverso la disamina di alcuni testi paradigmatici, fra i quali acquistano particolare evidenza quelli già citati di Manzoni, Maupassant, Verga, Musil, Pirandello, Joyce; ma i riferimenti alla letteratura europea fra Otto e Novecento sono numerosi e nessuno marginale: da Flaubert a Proust, da Stendhal a Kafka, da Tozzi a Svevo, non si compie solo un excursus esemplare. Schivando la strada normativizzante che esaurisce il compito della ricerca nel tracciare la ricorsività del tema e le sue differenti declinazioni, si punta piuttosto a conquistare, attraverso quel tema, gli spazi problematici di una nuova ermeneutica: insieme, riflessione sul metodo, metodologia dell’interpretazione e riflessione esistenziale.

L’azione suscitata dal tema dell’incontro è dunque triplice.

In primo luogo, sotto il profilo strettamente tematico, cioè delle significazioni connesse al tema, il percorso di Luperini destruttura l’idea classica di destino e spalanca la porta al caso. Ma l’incontro, una volta ritenuto fatale ora divenuto casuale, non assume per questo i caratteri dozzinali di un relativismo di maniera. Al contrario, proprio sgretolandosi il tessuto connettivo valoriale che giustifica gli incontri e li rende altamente significanti per il singolo e per la comunità, ogni incontro si accampa nella sua unicità: a chi lo vive è demandata la responsabilità di distillarne i sensi ed interpretarne la portata, e il connesso rischio di equivoci ed errori.

In secondo luogo, e di conseguenza, Luperini mostra come questo tema e la sua evoluzione finiscano per rivoluzionare la struttura stessa della narrazione: alle sequenze delle narrazioni tradizionali, nelle quali gli incontri si inserivano come tasselli ineliminabili, necessitati e necessitanti (si pensi all’incontro fra Ulisse e Nausicaa o fra Isacco e Rebecca), si sostituiscono gradatamente e inesorabilmente le traiettorie circolari o gli zig-zag brancolanti delle narrazioni moderne. In esse gli incontri si susseguono fuori da una logica concatenazione causale, seguendo piuttosto una “logica psichica”, la logica degli accadimenti interiori; essi diventano così emblema di quella smagliatura esistenziale fra dimensione pubblica e dimensione privata, prodotta dall’affermazione della società di massa.

In terzo luogo – ultimo senza esserlo – questo studio opera un cambiamento metodologico decisivo, nell’ambito della critica tematica e non solo. Il compito della critica tematica non può esaurirsi nella individuazione della ricorsività del tema: essa deve piuttosto procedere, quanto e più di altre ipotesi di ricerca, supportata dalla filologia, dalla semiologia, dalla semantica, dalla antropologia. Ma soprattutto questo studio indica inequivocabilmente che la scelta di un tema piuttosto che un altro è l’indicatore forte di una posizione del critico di fronte alle emergenze della società in cui vive. Scegliere un tema, insomma, non è un’operazione asettica, come non è asettica la scelta dei testi nei quali il tema viene rintracciato: sono operazioni che richiamano a precise responsabilità nei confronti della comunità degli studiosi e della comunità tout court. Alcuni temi e alcuni testi sono indiscutibilmente più compromessi di altri con il complesso magmatico di un’epoca: scegliere di parlarne significa prendere una posizione, schierarsi, testimoniare. Ecco perché – si diceva – il volume ci indica la strada della militanza:

 “Il significato si è come ritirato dalla vita. Non sappiamo rispondere più a domande come: cosa muove quelle traiettorie? (…) Eppure una risposta sarebbe dovuta. Anche se non sappiamo più darla, anche se la certezza della verità è venuta meno, una verità è pur sempre pronunciabile. Benché non sia più possibile definire, in assoluto, cosa sia il Bene, in ogni circostanza ci è dato di sapere cosa sia il meglio. Oppure l’uomo d’Occidente non è neppure in grado di percepire che incontrarsi, scambiarsi esperienze, dialogare, interrogare l’altro, farsi interrogare, e anche entrare nel conflitto delle interpretazioni e competere con ragionamenti e forza di parole, è condizione migliore della reciproca estraneità, dell’indifferenza e del silenzio che ci circonda nel frastuono in cui viviamo?”[1]

[1] R. Luperini, L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale. Laterza, Bari-Roma 2017, p.34.

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