Pierluigi Pellini su Tramonto e resistenza della critica
Solo in apparenza intona, questo nuovo libro di Romano Luperini, l’ennesima lamentazione sulla conclamata (da due decenni almeno) crisi della critica: dei metodi d’analisi del testo letterario che si sono sviluppati e affrontati nella seconda metà del Novecento è data infatti per scontata l’obsolescenza, e non tanto per l’eventuale fragilità intrinseca delle singole proposte teoriche, quanto per l’irreversibile venir meno di un pubblico della saggistica letteraria e di un riconosciuto ruolo sociale della letteratura stessa. E a Luperini non interessa scrivere per una ristretta cerchia di colleghi, alimentando la sterile industria dello specialismo universitario: perciò apre il libro con un’affermazione perentoria («Questa è la mia ultima raccolta di saggi»), motivata dall’assottigliarsi della platea degli interlocutori assai più che dalla stanchezza dell’età. Ma fin dal titolo del volume (Tramonto e resistenza della critica, Macerata, Quodlibet, 2013, pp. 265, euro 22), alla constatazione di una fine inevitabile s’accompagna l’auspicio e a tratti la fiducia in una possibile sopravvivenza di una civiltà letteraria fondata sul dialogo aperto, sul conflitto (aspro e leale) delle interpretazioni e su un investimento intellettuale che è sempre anche politico. L’elegia per la forma-saggio si rovescia allora in rivendicazione della sua insostituibile necessità: genere privilegiato da una critica che, pur consapevole di essere sempre «particolare e parziale», non può risolversi a rinunciare a un’«esigenza di universalità»; e saprà forse trovare nuovi spazi: per esempio sulla rete, nella nebulosa ancora informe dei blog letterari – Luperini stesso ne gestisce uno (www.laletteraturaenoi.it).
Se tuttavia narcisistico livore e divagante fluvialità sono patologia endemica del saggismo on line, non sarà un caso che nel suo libro Luperini imponga alla forma-saggio una fisionomia addirittura ascetica: fra le possibilità che offre il genere, non sfrutta quasi mai la libertà digressiva, affabulatoria, aporetica che spesso ha affascinato i corifei dell’aborrita postmodernità. Al contrario, uno stile argomentativo al tempo stesso limpido e scorciato tradisce un’ansia di essenzialità e definizione; e se a volte accetta il rischio della martellante semplificazione (come nelle telegrafiche Otto tesi sulla condizione attuale degli intellettuali), o può indurre a formulazioni troppo perentorie (come quando riduce il postmodernismo a «cinico-ironico» dispiegarsi di «un allegro nichilismo»), spesso sa offrire sintesi storico-letterarie magistrali: in specie sull’utilità ermeneutica, ormai indubitabile anche per le patrie lettere, della categoria di “modernismo” (che accoglie Svevo, Pirandello, Tozzi e Gadda nella narrativa; e parte cospicua dell’opera di Montale, Ungaretti e Saba in poesia); sa disegnare percorsi tematici di quasi vertiginosa densità: bellissimi, benché (o forse perché) di troppi dettagli facciano economia, i saggi sul ritorno dei morti nella poesia da Omero a Sereni e sull’adulterio nel romanzo da Flaubert a Musil; e si concede agguerrite provocazioni militanti: sulla fine del postmodernismo e sull’attuale temperie letteraria caratterizzata dal ritorno (in verità troppo spesso velleitario) di ambizioni realistiche.
Se dunque la prima parte del libro s’interroga sul venir meno della figura dell’intellettuale nelle società della modernità liquida in cui viviamo, e si confronta con maestri che alla resistenza della critica ancora sembrano indicare strade percorribili (su tutti, Erich Auerbach e Edward Said, entrambi in modi diversi in bilico fra mondi distanti, fra Occidente e Oriente; ma anche Guido Guglielmi; e sullo sfondo sempre De Sanctis, pietra di paragone nella sua radicale inattualità), nella seconda Luperini allinea saggi su temi, problemi storiografici e autori svariati (da Manzoni e Verga a Corrado Alvaro, Luigi Malerba e Cormac McCarthy), cui danno coerenza metodo e stile dell’argomentazione: com’è giusto che sia – se si pensa che l’essenziale dell’opera edita in vita dai due massimi critici del Novecento italiano, Gianfranco Contini e Giacomo Debenedetti, di non altro è composta che di raccolte di saggi (e lo stesso vale per Pier Vincenzo Mengaldo), tanto più appare aberrante la coazione aprioristica al volume monografico, imposta con pari protervia da regole concorsuali balzane e dal mercato editoriale. Sicché di questo bel libro di Luperini, di là dalle singole riuscite critiche – fra le quali è anche da annoverare lo studio fine e acuto su L’inquietudine del tiranno nei «Promessi sposi» –, resta esemplare l’ethos di una militanza ancora aperta all’utopia; e appunto l’appassionata perorazione (teorica e pratica) a favore della forma-saggio.
NOTA
Questa recensione è apparsa su Il Manifesto del 19 gennaio 2014.
{module Articoli correlati}
- Auerbach, Contini, Cormac McCarthy, Corrado Alvaro, De Sanctis, Debenedetti, Flaubert, forma-saggio, Gadda, Guido Guglielmi, intellettuale, Luigi Malerba, Manzoni, Mengaldo, modernismo, Montale, Musil, Novecento, Pellini, Pirandello, postmodernismo, postmodernità, Saba, Said, Svevo, Tozzi, Ungaretti, Verga
Articoli correlati
-
L’interpretazione e noi
-
“Le ragioni dei topi”. Micro-bestiario per giorni difficili
-
Sempre vi lascio indietro col vento. Poetica e stile in Cristina Annino
-
Su Stella Maris di Cormac McCarthy
-
Su L’amore da vecchia e altre poesie di Vivian Lamarque
-
-
La scrittura e noi
-
“ La vita davanti a sé”. Rilettura con figlia di un romanzo molto amato.
-
Perché leggere “I quindicimila passi. Un resoconto” di Vitaliano Trevisan
-
I pesci piccoli fanno le storie – Sull’ultimo romanzo di Alessandro Robecchi
-
Pluralità di voci e alterità indigena in “Selvaggia e aspra e forte” di Laura Pariani
-
-
La scuola e noi
-
A cosa serve la letteratura? Note a margine dell’Addio ai monti
-
La Storia a scuola
-
Disturbi specifici dell’insegnamento (Nota sulle recenti disposizioni di legge europee)
-
Educazione civica a Pisa. Sui fatti del 23 febbraio
-
-
Il presente e noi
-
Contro la sindrome legalitaria. Ancora sui fatti di Pisa
-
Dalla parte sbagliata della storia. Gaza e noi
-
Tossico non è il canone letterario
-
Costruire conoscenza con i “se” e con i “ma”. Nota sul conflitto e sulla didattica etica
-
Commenti recenti
- Metodologie, strumenti, tecniche | Pearltrees su A cosa serve la letteratura? Note a margine dell’Addio ai monti[…] A cosa serve la letteratura? Note a margine dell’Addio ai monti – La letteratura…
- Matteo Zenoni su A cosa serve la letteratura? Note a margine dell’Addio ai montiGrazie Linda per aver condiviso questa attività scolastica che, però, va oltre la spiegazione delle…
- Eros Barone su Contro la sindrome legalitaria. Ancora sui fatti di PisaLo spostamento a destra è, a livello di tutte le sovrastrutture e in particolare a…
- Giuseppe Corlito su Contro la sindrome legalitaria. Ancora sui fatti di PisaCondivido tutte le argomentazioni sostenute da Katia Trombetta, anzi considero i fatti di Pisa (la…
- Manuela Farneti su Dalla parte sbagliata della storia. Gaza e noiGrazie per la sua splendida e approfondita analisi che condivido pienamente.
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Annalisa Nacinovich, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Daniele Lo Vetere
Editore
G.B. Palumbo Editore
Lascia un commento