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Alcune questioni oggi sul tappeto nel dibattito culturale

Le recensioni di Saccone e di Pellini a Tramonto e resistenza della critica toccano vari temi comuni che mi sembrano rilevanti per due ordini di ragioni: mettono sul tappeto alcuni nodi fondamentali del dibattito culturale attuale; e riguardano anche il mondo della scuola, al quale possono essere agevolmente riferiti. Si tratta dell’attuale gravissimo deterioramento della situazione universitaria e di quella editoriale, della questione teorica del modernismo come nuova categoria storiografica per il primo Novecento, dell’intrinseca politicità dell’intervento culturale, e infine del realismo nella letteratura contemporanea.

Entrambi i critici sottolineano gli aspetti grotteschi dell’attuale metodo di valutazione nei concorsi universitari e dunque nella selezione dei docenti (la cosiddetta “mediana”, il privilegiamento della monografia sul saggio, il predominio della quantità purchessia sulla qualità), con il conseguente drastico abbassamento dei livelli qualitativi. Bisognerebbe aggiungere che queste tendenze sono attive anche nello insegnamento delle scuole medie, che tende a inaridirsi nella tecnicizzazione e per risolversi nella perdita della dimensione intellettuale della docenza, sempre più ridotta a un ruolo meramente burocratico. Se si considera poi che il mondo della industria culturale ha scelto da tempo la strada dell’interesse economico immediato (di qui la tendenza ormai dilagante a non pubblicare più saggi), il quadro è completo.

Sul modernismo, Pellini è esplicito nell’affermare che l’utilità di questa categoria è “indubitabile”. Sarebbe dunque il momento che essa entri anche nello insegnamento scolastico: infatti semplificherebbe molto la periodizzazione della letteratura del primo Novecento, dove ancora si alternano confusamente nozioni come “decadentismo”, “avanguardia”, “letteratura fra le due guerre”, senza le dovute distinzioni.

Infine entrambi si dichiarano d’accordo sull’atto critico come momento di intervento politico-culturale e di militanza intellettuale: cosa oggi assai inattuale e qui ribadita, invece, significativamente, da due critici che appartengono a una generazione diversa dalla mia e che esprimono quindi una tendenza in atto fra i giovani a recuperare forme di impegno nell’ambito di una concezione della cultura come “bene comune”. Mi sembra anche importante, per questa stessa ragione, la difesa della forma-saggio proprio come articolazione specifica di tale tipo di impegno.

Sulla questione del realismo, mentre Saccone sottolinea la differenza fra il vero realismo attuale (per esempio, quello di Underworld di DeLillo) e gli stereotipi che si ispirano ai reality show, Pellini coglie l’aspetto velleitario oggi dominante in questo tipo di letteratura; ma qui si tratta di una questione aperta e, per dir così, in fieri su cui è difficile dire qualcosa di definitivo. La domanda su cui varrebbe la pena riflettere è questa: quanto è autentico e vitale il ritorno, oggi indubitabile anche in Italia (a partire da Gomorra), a forme di realismo? E tale ritorno esprime davvero l’eclisse del postmodernismo e la nascita di un nuovo periodo che oggi alcuni propongono di chiamare ipermodernismo?

Il materiale per discutere insomma non manca.

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