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diretto da Romano Luperini

Riflessioni sull’Esame di Stato/2. Proposte concrete per le prove d’esame

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Pietro Rosa sull’Esame di Stato. La prima parte si può leggere qui. La terza e ultima parte uscirà domani.

Punti e punteggi

L’Esame attuale (legge 425/1997) ha come obiettivo «l’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo». In vista di tale verifica il Consiglio di classe elabora il cosiddetto Documento del 15 maggio, in cui i singoli docenti presentano i metodi didattici seguiti, i programmi svolti e i risultati ottenuti. Tale documento è stato ovviamente pensato per commissari esterni che, prima di esaminare gli alunni, prendono visione del lavoro svolto nell’ultimo triennio e, soprattutto, nell’ultimo anno di corso. Esso risulterebbe del tutto tautologico se preparato dai docenti interni e rivolto a se stessi in quanto esaminatori degli studenti seguiti e istruiti per tre anni! Tanto varrebbe, in simile deprecabile ipotesi, limitarsi a redigere i programmi svolti, come la legge prevede per tutti gli anni di corso, per sottoporli ad un frettoloso, burocratico controllo di un presidente esterno, ovviamente impossibilitato ad entrare nel merito della qualità del lavoro realizzato dai docenti di sei o più discipline differenti.

Qualche utile modifica si potrebbe invece apportare al sistema di punti e punteggi su cui si regge attualmente l’esame1. Al momento la valutazione finale è in centesimi: lo studente ammesso all’esame2 può guadagnare, nei tre anni finali del corso di studio, fino ad un massimo di 25 punti, che gli vengono attribuiti in base alla media dei voti di fine anno, eventualmente integrata dal cosiddetto “credito formativo”, ossia la valutazione di attività extracurricolari svolte all’interno o all’esterno della scuola, documentate e valutate da apposita commissione di istituto3. Così, alla fine del terzo e del quarto anno lo studente può ottenere al massimo 8 punti, alla fine del quinto al massimo 9 (tot. 25). Gli altri 75 punti si possono guadagnare nelle quattro prove d’esame: al massimo 45 nei tre scritti (15+15+15), al massimo 30 nel colloquio. Vi è qui un evidente squilibrio (1/4 contro 3/4) nelle due parti di cui si compone la valutazione complessiva, con un peso preponderante attribuito alle prove d’esame rispetto all’impegno quotidiano triennale, squilibrio a cui il legislatore ha posto in parte rimedio a partire dall’a.s. 2008/2009, aumentando il peso del cosiddetto “portfolio” dello studente dai 20 punti originari fino agli attuali 254. Anche così, però, la sproporzione resta: anziché pensare ad una commissione di soli interni si potrebbe invece aumentare il peso del portfolio, che attualmente finisce spesso per penalizzare studenti laboriosi e costanti a scapito di alunni dal percorso scolastico meno regolare, ma capaci di dare il meglio di sé di fronte a commissari che non sanno nulla di loro. Si è fatto d’altro canto osservare che attribuire uguale (o quasi uguale) peso alle due componenti della valutazione complessiva (ad es. 50 punti al curricolo e 50 all’esame) rischierebbe di favorire eccessivamente alunni di scuole paritarie e private, il cui percorso sfugge sovente a seri controlli e verifiche ma che – in quanto inseriti in un sistema educativo unico a livello nazionale – debbono essere sottoposti ad una prova identica rispetto ai loro colleghi della scuola pubblica. La questione è complessa, ma la disparità permane.

Non meno problematico e significativo delle scelte pedagogiche su cui si regge l’esame attuale pare la questione dei punteggi attribuiti alle singole prove. I tre scritti, infatti, sono valutati in quindicesimi, il colloquio in trentesimi: un tale sistema di punteggi, rapportato alla normale valutazione in decimi in uso in tutto il normale percorso scolastico italiano, richiederebbe, secondo logica e aritmetica, che la sufficienza fosse individuata rispettivamente nelle votazioni di 9/15 (9 su 15 = 6 su 10) per gli scritti e 18/30 (18 su 30 = 6 su 10) per il colloquio. Invece il legislatore ha pensato bene di fissare la soglia di sufficienza rispettivamente a 10/15 e 20/305, senza per altro fornire alcuna tabella di corrispondenza fra i due sistemi valutativi. Il dettaglio non è marginale: al di là dell’offesa alla logica e all’aritmetica, questa forzatura nell’innalzare le soglie di sufficienza provoca una lievitazione delle valutazioni con uno schiacciamento dei voti superiori a 10/15 (cioè al 6), che finisce inevitabilmente per penalizzare le prove migliori in quanto, nell’intento di graduarne la qualità distanziandole da quelle meno brillanti, non è comunque ovviamente possibile sfondare il tetto dei 15/15, mentre le prove discrete o buone finiscono tutte per concentrarsi nella forbice compresa tra 11 e 14/15. Per quanto ormai i docenti e gli studenti si siano abituati ad un simile, bizzarro sistema di punteggi, varrebbe forse la pena di ripensare le soglie di sufficienza, armonizzandole al sistema in decimi col ristabilire la corretta proporzione aritmetica e ufficializzando una tabella di corrispondenza decimi-quindicesimi, che eviterebbe, tra l’altro, infinite e inutili discussioni e contribuirebbe ad arginare il fenomeno della sopravvalutazione degli alunni, alla base di tante discussioni e polemiche anche recenti.

Le prove scritte

Maggiore attenzione è stata rivolta da esperti e studiosi alla formulazione delle prove d’esame, in particolare delle prove scritte, le cui modalità condizionano – o dovrebbero condizionare – la didattica dell’intero quinquennio precedente6. Senza potersi addentrare qui troppo nella questione, appare evidente che, dopo un quindicennio dalla loro introduzione, occorrerebbe procedere, anche in quest’ambito, a qualche messa a punto, per altro in fase di avanzata elaborazione (sulla prima prova scritta si è qui pronunciato Romano Luperini), secondo quanto trapela da fonti ministeriali.

Riguardo alla prima prova, si dovrebbe confermare la tipologia A, cosiddetta “Analisi del testo”, che orienta la didattica – secondo una linea ormai consolidata nell’ultimo trentennio – verso la scrittura di un tema in cui lo studente esamina una composizione poetica, un brano di prosa o di saggistica, proponendone un’interpretazione complessiva fondata sull’analisi filologica, stilistica e retorica, eventualmente approfondita da confronti con opere dello stesso periodo o dello stesso autore o di uguale tematica. Centralità del testo, insomma, in un esercizio che abitua al rigore di analisi e, se ben preparato, educa ad una scrittura sobria e sorvegliata, evitando il rischio sempre in agguato dello sproloquio senza confini. Piuttosto si dovrà riflettere se continuare – come negli ultimi quindici anni – a proporre per questa analisi, nella prova d’esame, soltanto autori e testi del Novecento7. È chiaro che, così facendo, gli esperti ministeriali intendono spingere sempre più i docenti ad approfondire lo studio delle opere di questo importantissimo periodo storico e letterario, ma se l’intento della tipologia A è quello, sacrosanto, di insegnare un metodo di analisi testuale, valido ben oltre il semplice recinto letterario, nulla si perderebbe davvero in termini di didattica, se si attingesse talora, almeno in maniera episodica, allo sterminato repertorio prenovecentesco della nostra tradizione letteraria.

Ben più problematica è la situazione della tipologia B, il famigerato “Saggio breve o articolo di giornale”. Proposto un argomento8, accompagnato da un breve dossier di quattro/sei o più documenti (estratti di saggi, articoli, tabelle statistiche, immagini), lo studente dovrebbe, a sua volta, costruire un saggio o un articolo di rivista o giornale. Fin dal suo debutto questa prova aveva suscitato non poche perplessità da parte di molti docenti, a cominciare dalla sua denominazione: chiunque abbia scritto un articolo di giornale, per non parlare di un saggio (breve o lungo) sa bene infatti che la loro elaborazione richiede tutt’altro lavoro (in primis la ricerca) rispetto al semplice collage di testi altrui o anche, nella migliore ipotesi, alla discussione di testi dati. Soprattutto perché al docente manca del tutto, nel corso del triennio, il tempo di addestrare dignitosamente gli alunni ad un simile esercizio di scrittura argomentativa, fermo restando che anche le ultime Indicazioni nazionali (2010) per l’insegnamento prevedono, per il triennio superiore di un liceo, lo studio della letteratura italiana dallo Stilnovo ad oggi. Per chi non voglia sacrificare quanto previsto dalle linee guida per l’insegnamento letterario non resta quindi che riproporre l’utopistica richiesta di assegnare un’ora in più settimanale all’insegnamento delle materie letterarie, da destinare esclusivamente alla scrittura. Oppure cambiare questa tipologia, secondo alcune delle proposte avanzate da più parti al riguardo9.

Per la seconda prova, che per il Licei classici prevede ancora la traduzione di un brano ignoto di greco o latino, ad anni alterni, è aperto da tempo un ampio dibattito che investe direttamente la problematica della traduzione, e in cui sono intervenuti docenti universitari e liceali10. Mi limito qui a segnalare che i tempi appaiono ormai maturi per l’adozione di una seconda prova del classico in cui la consegna di tradurre un testo antico, con tutta la rilevanza di competenze e capacità che tale esercizio comporta per lo studente, sia resa più efficace inserendo tale testo in una più ampia cornice a cui esso appartiene e con la richiesta di una sua sintetica analisi, guidata da quesiti che ad esso si riferiscono, consentendone così la collocazione storico-letteraria e un inquadramento linguistico, stilistico e retorico. In questo modo tutta la didattica quinquennale del latino e del greco sarebbe più esplicitamente indirizzata verso una traduzione intesa come strumento di comprensione dei testi antichi e non come mero esercizio fine a se stesso.

Per la terza prova, infine11, sembrerebbe opportuno, almeno in un contesto liceale, insistere sulla modalità che prevede la trattazione sintetica (20-30 righe) di un argomento. Per le materie classiche questo si risolve in genere in un breve commento analitico di un testo noto, un esercizio in grado di verificare non solo le conoscenze dello studente, ma soprattutto le capacità di comprendere problematiche e caratteristiche di un autore e di un periodo storico-letterario, nonché di saper evidenziare gli aspetti stilistici di un’opera, sintetizzando le informazioni che la riguardano. Ben poco significative appaiono le modalità della cosiddetta risposta sintetica (massimo 5 righe) a quesiti multipli, o addirittura il quiz a crocette, modelli francamente avvilenti del lavoro docente, che avviano sempre più lo studente verso un nozionismo sterile e superficiale12.

Il colloquio: un’occasione perduta

Vi sono cambiamenti in vista anche per il colloquio. La stessa ministra Giannini ne ha dato da tempo notizia sostenendo in un’intervista: «chiuderei l’esperienza della tesina di fine anno, un atto compilativo che è divenuto solo un fiore al bavero, una collanina graziosa. Gli studenti dovranno presentare un progetto che riguardi tutto l’anno trascorso: un lavoro più teorico per i licei e un prodotto finito per i tecnici»13. L’intento è in questo caso indubbiamente apprezzabile: del resto, negli ultimi anni, i presidenti di commissione hanno saggiamente ridotto i tempi di esposizione della cosiddetta «tesina» (la legge 425/1997 parla di «argomento») ad una fase iniziale del colloquio non superiore ai 10-15 minuti (domande dei commissari comprese), certi di trovarsi di fronte, nella stragrande maggioranza dei casi, a lavori di copia-incolla di seconda o terza mano, spesso su argomenti assolutamente peregrini o legati in modo fantasioso ai percorsi disciplinari seguiti dagli studenti. In tal senso sarebbe auspicabile che si attribuisse esplicitamente ai docenti del consiglio di classe il compito di concordare con gli alunni, all’inizio dell’ultimo anno, un argomento o un tema, limitato e circoscritto, su cui lavorare fino a giugno. In tal modo ogni docente dovrebbe seguire tre-quattro studenti, avviandoli ad approfondire una questione, a costruire e gestire una breve bibliografia su di essa, ad esplorarne le problematiche, a produrre eventualmente uno scritto, anch’esso ben limitato nelle dimensioni e negli obiettivi. Solo così gli studenti potranno produrre lavori dignitosi, cominciando ad acquisire dimestichezza con un metodo di lavoro e con strumenti che potranno tornare utili per il prosieguo degli studi in ambito universitario e non si sarà perduta un’occasione stimolante di crescita scolastica.

La seconda parte del colloquio verte, secondo la legge, su tutte le discipline dell’ultimo anno di corso. Dovrebbe costituire una panoramica che faccia emergere le capacità critiche e argomentative dello studente, data l’impossibilità di sondare a fondo, per ogni materia, la sua preparazione14. Si risolve spesso in una sequenza di mini-interrogazioni in cui solo alcuni, più abili commissari riescono a intervenire su macroargomenti interdisciplinari dall’angolo visuale della propria disciplina. Così il gioco di domande e risposte lampo è ben poco significativo ai fini di una vera valutazione; meglio sarebbe, piuttosto, limitare le richieste degli interni, che conoscono gli alunni, a pochi chiarimenti, magari legati alla correzione delle prove scritte, lasciando agli esterni la possibilità di condurre un colloquio più ampio, almeno su un paio di discipline e offrendo così anche allo studente la possibilità di far emergere meglio le proprie conoscenze e capacità.

1 Esso ha sostituito il precedente modello (cf. nota 6), quasi interamente basato su giudizi: giudizio analitico di presentazione dello studente nelle singole materie, giudizio sintetico del Consiglio di classe per l’ammissione all’esame, giudizio analitico dei commissari in ciascuna delle due prove scritte e orali, giudizio sintetico (o globale) di maturità (o non maturità) formulato dalla commissione. Da tale somma di giudizi doveva scaturire un voto in sessantesimi.

2 Dal 2010 (DPR 122/2009, ministro Gelmini) per essere ammessi all’Esame occorre riportare un voto almeno pari al sei in tutte le discipline dell’ultimo anno. Quando ciò non si verifica è frequente l’ammissione a maggioranza con il voto di Consiglio, che porta a 6 anche le insufficienze.

3 Questa la tabella di corrispondenza media-punteggi:

4 Legge 1/2007, ministro Fioroni.

5 Fino al 2006 il colloquio era valutato in trentacinquesimi e la sufficienza era fissata a 22/35. I cinque punti tolti al colloquio furono assegnati dal 2007 al curriculum dello studente (portfolio).

6 Cf. ad esempio le utili osservazioni proposte da L. Serianni, Leggere, scrivere, argomentare, Roma-Bari 2013. Per il dibattito su questo argomento cf., tra gli altri, C. Giunta, Superficialmente colti, Il Sole 24 ore 10/2/2013; R. Carnero, Ridateci il buon vecchio «tema», Il Sole 24 ore 24/2/2013; F. Dell’oro, Questa scuola non sa scrivere, La Lettura, Corriere della Sera 21/12/2014; A. Massarenti, L’invenzione di Aristotele. Col tema si impara a ragionare, Il Sole 24 ore 28/12/2014.

7 Così è stato fino ad oggi, con due sole eccezioni (2005 e 2007), in cui furono proposti alcuni versi rispettivamente dai canti XVII e XI del Paradiso di Dante. Nel campo della poesia, in particolare, gli esperti ministeriali si sono mossi ostinatamente nel quadrilatero Ungaretti-Saba-Montale-Quasimodo.

8 Ogni anno la tipologia B consente la scelta tra un argomento artistico-letterario, uno socio-economico, uno storico-politico, uno tecnico-scientifico.

9 Cf. ad esempio Serianni, Leggere cit. XIV-XXII. Le proposte della prima prova si completano con la tipologia C, il tema di argomento storico, per il quale parrebbe sempre più opportuno orientare la traccia a partire da un documento, come spesso già avvenuto, e la tipologia D, il tema di ordine generale, in cui ci si dovrebbe sforzare di evitare la genericità della trattazione, anche in questo caso legando l’argomento ad un testo, ad una frase o comunque a qualche documento che circoscriva l’argomentazione.

10 Cf. in particolare M. Bettini, Quelle inutili anzi dannose traduzioni greche e latine, La Repubblica 5/3/2015; P. Mastrocola, Le lezioni d’amore per il latino e greco, Il Sole 24 ore 14/3/2015; M. Bettini, G. Spina, G. Pucci, Per una discussione (senza pregiudizi e fraintendimenti) sul liceo classico, «CC» I 1 (2015) sezione Discussioni. Per altri contributi al dibattito cf. anche www.cusl.eu/wordpress/?p=316. Più in generale cf. ancora M. Bettini, Vertere. Un’antropologia della traduzione nella cultura antica, Torino 2012.

11 La terza prova è preparata dalle singole commissioni di esame, che ne scelgono anche la tipologia, tenuto conto delle esecitazioni svolte dagli studenti nel corso dell’ultimo anno. Nei licei si può scegliere tra la trattazione sintetica di un argomento (in genere legato a un testo), i quesiti a risposta singola, i quesiti a risposta multipla (comunemente noti come «quizzone»).

12 Su tale modalità di verifica, sempre più utilizzata nel mondo scolastico e universitario, cfr. le osservazioni di C. Giunta, Il test non fa buono il prof, Il Sole 24 Ore 9/9/2012.

13 Intervista a C. Zunino, La Repubblica 15/9/2014.

14 Per farlo seriamente in tutte le discipline rappresentate all’esame (alcuni dei commissari insegnano due materie: storia e filosofia, latino e greco, matematica e fisica) occorrerebbe mezza giornata per candidato.

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