Revisione della prova scritta di Italiano. Una proposta
La legge mi pare chiara: lo studente deve mostrare padronanza della lingua e capacità espressive, argomentative e critiche e rivelare tali acquisizioni producendo un proprio scritto che metta in luce il grado di comprensione di un testo e le doti di elaborazione linguistica e logica del candidato. Ovviamente la padronanza della lingua e delle connessioni logico-argomentative si paleserà sia nella comprensione del testo offerto all’attenzione dello studente sia nella produzione da parte sua di un proprio testo.
Per fare tale verifica, occorre mettere lo studente in grado di compiere insieme due operazioni tuttavia distinte: la comprensione di un testo dato e la elaborazione in proprio di un altro testo, relativo al testo dato.
Ciò premesso, farei una proposta drastica. Abolirei le tipologie C e D, che non riguardano specificamente la disciplina di italiano, e mi concentrerei sulle tipologie A (analisi del testo) e B (saggio breve), unificandole. Bisogna a mio avviso avviare un processo di radicale semplificazione. La analisi del testo è un tributo a metodologie in uso qualche decina d’anni fa. Qui interessa in realtà solo la verifica della comprensione del testo, sia esso letterario, storico, tecnico-scientifico o artistico. L’analisi tecnico-retorica non mi pare appropriata al livello di preparazione attuale degli studenti di quasi tutte le scuole italiane di oggi, e nemmeno in sé necessaria. Inoltre attua una arbitraria separazione fra momento descrittivo (tipologia A) e momento interpretativo (tipologia B) che invece, per ragioni metodologiche e anche per ragioni solo educative, vanno sempre tenuti insieme. Commento (analisi) di un testo e sua interpretazione attraverso un saggio breve vanno congiunti in una elaborazione unica (che abbia una forma saggistica o giornalistica qui non interessa, e anzi mi sembra complicazione inutilmente sofisticata). Unificando le tipologie A e B, e tenendo conto dello spirito delle legge, la prova dovrà concernere le due operazioni sopra descritte, che andranno per un verso distinte e per un altro tendenzialmente unificate nel corso dell’elaborato dei candidati.
Per effettuare la verifica della comprensione, lo studente dovrà descrivere e riassumere con parole proprie il testo dato, fornendone anche, se poetico, un equivalente in forma di parafrasi. Le domande-stimolo devono riguardare la comprensione linguistica, espressiva, eventualmente anche logico-argomentativa del testo dato, in modo che il candidato metta in luce le connessioni e/o articolazioni del discorso, sia esso letterario, storico, sociologico ecc. Le domande-stimolo non devono provocare risposte puramente affermative o negative o comunque secche e brevi, ma suscitare un discorso logico e argomentato anche in questa fase descrittiva del testo dato. Dalla fase descrittiva lo studente dovrà poi passare alla fase interpretativa e cioè alla seconda operazione di cui sopra parlavo, elaborando proprie considerazioni e propri eventuali giudizi sulla base, tuttavia, di quanto rilevato nella precedente fase. Anche in questo caso ci saranno alcune, poche, domande-stimolo che riguarderanno il rapporto del testo dato con la situazione storica (letteraria, sociale, economica, artistica ecc.) da cui esso nasce e con la situazione invece presente, il significato o i significati che allora aveva e che oggi ha o può avere, l’orizzonte dell’immaginario storico e di quello attuale, e così via. Lo studente dovrà essere orientato a svolgere una argomentazione e a sostenere una tesi personale, sempre ancorandosi però alla comprensione e descrizione del testo dato.
Presenterei, infine, testi relativi a cinque ambiti: 1. un testo letterario; 2 un testo socio-economico; 3 un testo storico-politico; 4 un testo tecnico-scientifico; 5 un testo artistico (pittura, scultura, architettura ecc.). Uno studente dovrebbe essere libero, a qualunque tipo di scuola appartenga, di scegliere l’ambito che preferisce. Cinque ambiti e dunque cinque tracce contenenti i testi e le domande-stimolo. I cinque ambiti e le cinque tracce dovrebbero essere validi per tutti i tipi di scuola.
Resta il problema se corredare le tracce di altri testi che funzionino da documenti di appoggio che lo studente dovrebbe utilizzare per entrambe le parti del suo elaborato, e in modo particolare per la seconda. Si tratta di materiale che potrebbe accompagnare le domande-stimolo e che indubbiamente potrebbe risultare utile. Ma è anche vero che rappresenterebbe un appesantimento della traccia e una ulteriore complicazione per i candidati. Sono dunque perplesso in proposito, ma non pregiudizialmente contrario, purché questi testi di documento e di appoggio siano pochi (due o tre, non più), brevi e chiari.
Ovviamente gli ambiti possono essere ridotti (passando da cinque a quattro attraverso la unificazione del primo e del quinto sotto l’etichetta di “testo artistico-letterario”). Sarebbe inoltre possibile (ma forse non auspicabile) anche qualche altro aggiustamento che tenga conto della specificità degli indirizzi della scuola. Ma, tendenzialmente, eviterei complicazioni inutili e punterei, ripeto, su un massimo di semplificazione.
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finalmente!
Finalmente è rotto il silenzio sull’esame di maturità, pardon di Stato, e sulla prova di italiano, pardon tipologie A B C D.
Il professor Luperini apre la finestra dentro una stanza in cui si era accumulato fin troppo fumo (fuor di metafora: ipocrisie).
Due considerazioni.
Prima. La compenetrazione tra commento e interpretazione, l’uso delle domande come guida dinamica alla produzione, sono l’unico modo per salvare un po’ di dignità di questo esame. L’analisi del testo la fa, credo, meno del 5% della popolazione scolastica ed è un atroce paradosso, visto che nel triennio per lo più ci si occupa di testi letterari e di autori del canone. Così si crea uno iato, meglio, un abisso, tra ciò che i ragazzi hanno studiato e ciò che poi scelgono nell’esame finale. Che è prevalentemente una delle altre tracce, in particolare la B.
Questa traccia ha l’enorme difetto di offrire dei testi a) destoricizzati, b) in numero difficile da maneggiare, c) che formulano tesi su argomenti per loro affatto nuovi e di cui sfuggono loro fin troppi impliciti. L’effetto è che gli studenti si affannano a fare un patchwork di opinioni altrui tenute insieme da connettivi come “ma c’è anche chi ha affermato che… si potrebbe però anche sostenere…”. Per la ripuganza provata verso l’impianto idealistico del vecchio tema, in cui si esprimevano “intuitivamente” le proprie idee, siamo finiti nell’eccesso opposto: il tema centone di pompose frasi di terzi.
La proposta del professore eliminerebbe queste storture, ma a un patto: che cambi anche il modo di insegnare il lavoro sui testi, che deve diventare sempre più ermeneutico e sempre meno normativo, siano letterari o d’altro genere. Cambiare la prova di maturità senza cambiare la didattica non serve, la verifica finale resterebbe sconnessa dal resto.
Seconda. La varietà delle tipologie testuali, idea centrale dell’educazione linguistica fin dagli anni Settanta, entrata nella scuola media e nel biennio già da un po’ (capitoli dei manuali su testo informativo, argomentativo, descrittivo, ecc…), è arrivata tardi nel triennio. Credo che le polemiche sulla “genericità” del tema abbiano avuto inizio con Lombardo Radice. L’acquisizione all’esame di maturità di una varietà di tipi testuali sembrava dunque l’esito necessario e pedagogicamente progressivo di una lunga trasformazione.
Invece si tratta solo di un dogma, almeno, tale è diventato nella scuola.
Lo sa ogni insegnante che debba arrampicarsi sugli specchi per spiegare ai ragazzi la differenza tra l’affrontare la traccia B nella forma “articolo” o in quella “saggio breve”. Bizantinismi. L’attenzione dei ragazzi va ad aspetti superficiali della differenza dei testi (lo stile più scanzonato dell’articolo, che a volte significa orride metafore giornalistiche, il titolo, s’impazzisce sulla collocazione: giornalino scolastico o corsivo sulla Stampa?). Basterebbe verificare che quei testi siano coerenti e coesi, lessicalmente precisi e ricchi (ma non tronfi: http://www.leparoleelecose.it/?p=9046), e – ricordiamolo – senza errori ortografici (o almeno con non troppi errori ortografici: realismo).
Ah, io sarei anche più radicale e tornerei a chiamare quel testo “tema”, volendo anche “paperino”. Lo so che va contro tutti i migliori assunti della linguistica testuale, ma il punto vero è questo: i burocratici documenti ministeriali e le troppo raffinate acquisizioni teoriche spesso danno indicazioni troppo alte alla scuola, che si ritrova poi a maneggiare forme di cui comprende poco il senso, ma che si sente in obbligo di adottare perché così gli è stato chiesto.
Ma mi pare che in Italia si ami molto cambiare le etichette alle cose, perdendo di vista il contenuto, magari perché quello è molto più difficile da cambiare: c’è bisogno di fatica e pazienza minute e quotidiane (mi sono ostinato a chiamare l’esame “esame di maturità” e la prova “tema”, come ancora è consuetudine fare nelle nostre mattinate, anche se la tecnocrazia ministeriale un giorno ha deciso che la realtà doveva essere “riformata” e si poteva parlare solo di “Esame di Stato”).