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diretto da Romano Luperini

Inchiesta sul lavoro di editor/14: Francesca Chiappa (Hacca Edizioni)

A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato

1. Editing e condizioni materiali del lavoro intellettuale. Qual è il suo rapporto lavorativo e quanti libri è chiamato a editare in un anno?

Svolgo diversi ruoli in casa editrice, di cui sono anche la titolare, perché Hacca è una realtà piuttosto piccola, e non abbiamo molto personale stabilizzato. Per questo motivo mi ritrovo spesso a seguire un libro dalla selezione ai fini della pubblicazione, all’editing, l’impaginazione, la promozione in libreria e – qualora non venga coinvolta la nostra collaboratrice Silvia Bellucci – anche l’ufficio stampa. Cerco invece sempre di esternalizzare il lavoro di correzione di bozze, poiché dopo un intenso e ripetuto rapporto con il lavoro di scrittura, diventa difficile scovare i più minuti refusi che il testo può presentare. Fortunatamente una collana del nostro catalogo, la Novecento.0, la cui selezione è fortemente supportata dal Prof. Giuseppe Lupo che la dirige, non richiede un gravoso impegno di editing poiché spesso si tratta di rieditare titoli già pubblicati nel corso del secolo passato e sui quali preferiamo non agire, se non con una semplice normalizzazione redazionale. Sui titoli della collana di contemporanea, invece, mi piace entrare in contatto con gli autori, e l’editing è il modo migliore per stare vicina al loro processo creativo.

2. Su che basi si imposta il dialogo tra l’editor e lo scrittore. Come viene “associato” un autore a un editor (per affinità tematiche, di generi letterari…); quanto del lavoro di editor può rientrare in queste categorie: semplice revisione (ruolo tecnico), interpretazione (ruolo di critico); riscrittura (ruolo creativo). Quanto e come queste tre funzioni si traducono in un dialogo con l’autore?

Mi trovo spesso a lavorare con un autore prima ancora che un’idea di romanzo si sia formata. Avviene quando un autore decide di continuare il suo percorso editoriale con noi, e allora diviene naturale immaginare insieme possibili trame, temi, sentimenti. Non è detto che ciò che progettiamo inizialmente si avveri – anzi, spesso assistiamo anche a degli scostamenti sostanziali – ma un nucleo di quelle riflessioni resta, come se avessero comunque contribuito alla scrittura. Quando invece lavoro con un romanzo già definitivo, formato, allora mi metto in ascolto di quella voce. Ogni scrittura esprime una volontà, in quel suono, e il mio lavoro è intercettarlo per coglierne eventuali stonature, a volte dovute a distrazione, oppure a una certa stanchezza che prende alle mani sopra un foglio. Necessito sempre di uno spazio bianco intorno a me per occuparmene, un silenzio che mi permetta di sentire e di agire; per questo motivo quando a volte ho troppi altri compiti da assolvere non riesco a dedicarmi a un romanzo come vorrei, e preferisco destinare il testo a editor esterni, che scelgo sempre rispetto a un’assonanza di voci che mi pare di cogliere.

3. La sua specifica formazione da editor.

Non ho una formazione specifica in questo ruolo, e infatti ho atteso molto tempo da quando ho aperto la casa editrice prima di dedicarmi anche a questo ruolo. Ho atteso per pudore, per paura di sbagliare. Ma dopo aver ascoltato tanto (i libri degli altri, soprattutto) mi sono decisa  di tentare, e i lettori che ho incontrato mi hanno convinta che avevo imparato abbastanza bene il mestiere e potevo andare avanti (sono sempre loro, i lettori, che ci confermano se le nostre azioni sui testi sono state adeguate)

4. Tradizionalmente si considera l’editor un agente dell’editoria che tende a formattare il prodotto letterario per favorirne la vendita. Quanto questa immagine oggi corrisponde al lavoro reale di editor?

Non per me, e non per noi. Non siamo una casa editrice che tende a fare scelte commerciali, sia nella scelta dei titoli che nella promozione. Abbiamo un catalogo di appena un centinaio di titoli (non ancora, ma ci stiamo arrivando), e puntiamo a renderlo presente in libreria. Questo comporta che il lavoro sulla novità non prenda in considerazione le tendenze contingenti, ma che anzi le annulli, prediligendo storie che reggano nel tempo (e che anzi lo anticipino, quel tempo). Il lavoro sulla scrittura non può dunque che seguire le stesse regole; la parola deve avere una tenuta sul tempo che passa: se l’autore ha scelto una scrittura tradizionale, classica, la assecondiamo, se invece è in atto una sperimentazione linguistica allora ci piace spingerla ancora più in avanscoperta, assumendoci anche il rischio di non venire sempre compresi subito.

5. Come lavora allo scouting? Quali modalità di “reclutamento” e selezione predilige? Quali canali utilizza? 

Molteplici, dalle agenzie ai suggerimenti di altri autori, alle riviste (che vivono una nuova effervescenza, per fortuna), ai Premi dedicati agli inediti (primo fra tutti il Premio Calvino), ai manoscritti che arrivano in redazione, seppure sia sempre più difficile scegliere tra gli invii spontanei. A volte, inoltre, siamo noi che chiediamo a un autore, o potenziale autore, se ha intenzione di scrivere.

6. Quale rapporto ideale (dissolvenza, rimozione, assunzione di eredità) gli editor odierni intrattengono con le figure editoriali ‘leggendarie’ del novecento (da Vittorini a Sereni)?

Quell’editoria è molto diversa da quella contemporanea. Vorremmo tutti, credo, vivere ancora quel modo di lavorare sui libri, fatto di discussioni incessanti e confronti. La velocità del mercato editoriale di oggi non lo permette più, e i momenti di confronto, anche con i professionisti delle altre case editrici sono residuali, minimi. Credo che ognuno di noi si confronti ogni volta con quelle figure (nel lavoro editoriale, nella traduzione, nello scouting) e ogni volta cerca di riportare in vita lo stesso convincimento: che la letteratura può cambiare un paese.

7. Casi di studio: può fare uno o più esempi di testi esemplari con si è confrontato?

Io amo molto fare editing con Maura Chiulli, che è una scrittrice che ogni volta mi emoziona tantissimo e con la quale, quando lavoriamo sul romanzo in uscita, sperimentiamo tempi ferratissimi: lei che si sveglia alle 4 del mattino per lavorare sui miei appunti prima di andare a lavoro (di giorno è responsabile di una grande agenzia di assicurazioni, di notte a volte si esibisce come mangiafuoco), io che cerco di consegnarle nuove segnalazioni prima che lei si alzi. Con lei maneggiare il testo significa agire sui corpi dei personaggi, sulle loro colpe e le loro ragioni, con un’intensa partecipazione emotiva agli esiti delle storie. Non si esce mai indenni, per fortuna. Poi c’è Giorgio Ghiotti. La sua scrittura possiede l’esattezza del miglior novecento letterario, ma è intagliata da continue incursioni liriche, da epifanie luminosissime. Per me è come assistere a dei fuochi d’artificio, a cui non riesco mai ad abituarmi. Sempre mi sorprende e emoziona.

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