Sottomissione sta tutto nell’idea che lo ha fatto nascere. Un’idea intelligente e provocatoria, come è sempre in Houellebecq, a partire dal suo capolavoro, Le particelle elementari. L’idea è questa: in Occidente l’umanità è così tranquillamente disposta ad assecondare il corso delle cose che lo stato più vicino alla felicità è per lei quello di una sottomissione totale. Questo assunto viene poi esemplificato nella rappresentazione di una Francia facilmente disponibile, in un prossimo futuro, a sottoporsi a un regime islamico. Il problema è che questa idea non produce alcuna reazione nell’autore, se non quella di un ghigno scettico. Il libro, insomma, si esaurisce nella provocazione iniziale e poi procede assai stancamente e scontatamente. La provocazione non viene spinta alle estreme conseguenze, la situazione è indubbiamente paradossale, ma il paradosso non viene fatto esplodere.
Il problema è nel manico. Houellebecq non ha energia, non conosce l’irrisione o il sarcasmo, si accontenta del brillìo sterile della propria indubbia intelligenza. Sembra aver dimenticato che la vera provocazione nasce da una spinta insopprimibile alla opposizione e alla negazione. Lui si limita a guardare distante e tranquillo, soddisfatto del suo giochino.
Ora io confesso che comincio ad averne piene le scatole del diluvio di ironia, dei sogghigni scettici e della esibizione di cinismo intelligente e saputo a cui siamo sottoposti da un trentennio a questa parte. Leopardi diceva che l’eccesso di civiltà è una delle cause della sua decadenza. La sappiamo troppo lunga (o fingiamo), siamo troppo stanchi e vecchi, troppo superbi e gonfi della nostra civiltà, e per questo amiamo solo ciò che è sporco, ambiguo, doppio, non sappiamo riconoscere più i sentimenti e le emozioni se non per sbeffeggiarli. Eppure i sentimenti, le emozioni, il bene, il male esistono ancora.
Per questo ho accolto con piacere il film dei Taviani su Boccaccio. Un film ingenuo, tolstoiano assai più che boccaccesco. Un film che crede ancora alla forza dei sentimenti e delle emozioni, e alla purezza dello stile che li esprime. Un film fortemente inattuale.
Può darsi che questo film sia il canto del cigno di due vecchi registi, ormai estranei al mondo d’oggi. Può darsi che ormai la umanità occidentale sia diventata totalmente anaffettiva. Ma se non si vede più una ragione di vivere possibile che si trovi ancora una ragione per scrivere?
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Romano Luperini
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