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diretto da Romano Luperini

A proposito della riforma dell’insegnamento di sostegno

 Problemi e postulati

Che vi siano delle criticità nella scuola italiana a proposito del sostegno lo sappiamo da anni (anche se alcuni per anni hanno fatto finta di non vedere) e non c’era neanche bisogno della ricerca della Fondazione Agnelli (per certi aspetti discutibile sul piano metodologico) per capirlo. Sinteticamente si può dire che abbiamo:

  1. delle classi troppo numerose;

  2. degli insegnanti specializzati nel sostegno spesso non preparati sul piano pedagogico;

  3. degli insegnanti curricolari senza una formazione solida sul piano della didattica e della pedagogia attiva e inclusiva;

  4. delle difficoltà di dialogo scuola-famiglia, docenti-esperti dei servizi, famiglie-servizi;

  5. una gestione non dinamica e motivante dei gruppi classe;

  6. una certa confusione e il ricorso a modalità spesso discutibili nelle certificazioni;

  7. una concezione talvolta troppo burocratica della valutazione e dell’osservazione dello sviluppo degli apprendimenti;

  8. un forte rischio di medicalizzazione della scuola e una conseguente identificazione delle difficoltà di apprendimento con problemi da ‘curare’, mettendo al centro i sintomi e i ‘comportamenti problema’ e non le potenzialità e il saper fare dell’alunno (lo si è visto con l’istituzione dei DSA e dei BES);

  9. una confusione tra integrazione e/o inclusione e il semplice inserimento degli alunni disabili nelle classi, facendo sì che questi e gli insegnanti specializzati siano sganciati dalle attività didattiche ordinarie, con il rischio della riproduzione di ghetti nelle classi e fuori dalle classi (si pensi all’istituzione della aule di sostegno nelle scuole);

  10. la mancanza di cooperazione pedagogica e progettuale tra l’insegnante della disciplina e il docente specializzato nel convincimento che quest’ultimo è l’insegnante del disabile e non di tutta la classe e che il primo è l’insegnante della classe e non dell’alunno disabile.

La questione delle figura dell’insegnante specializzato di sostegno e la sua evoluzione è fortemente correlata alle criticità evidenziate qui sopra e anche alla concezione che si ha dell’inclusione scolastica e della gestione dei processi d’insegnamento/apprendimento. Le proposte recenti come quelle della proposta di legge 2444 , quelle della Fish e anche dell’Anief nonché le varie osservazioni che provengono dalle varie associazioni d’insegnanti e di famiglie ci portano a dire che oggi la partita che si gioca sul sostegno è rivelatrice della partita che si gioca sul futuro della scuola della Repubblica.

Per alcune di queste ragioni si è postulato ultimamente l’esigenza di una evoluzione della figura dell’insegnante specializzato di sostegno, anche se la parola ‘evoluzione’ può significare tutto e il contrario di tutto. Un po’ come le parole ‘riforme’ o ‘modernizzazione’: si possono spacciare come riforme e modernizzazione anche delle proposte regressive in termini di diritti e di civiltà.

Problemi e domande

Oggi si insiste nel formare degli ‘insegnanti specialisti’ sul piano tecnico-metodologico. Ma a tal proposito bisognerebbe chiedersi specialisti di cosa, di ogni singola patologia? Specialisti per ogni disabilità? E perché non formare adeguatamente tutti gli insegnanti alla conoscenza delle problematiche educative e pedagogiche, al lavoro di rete, al dialogo educativo, cioè ad elaborare strumenti di lavoro complessi utilizzabili in modo dinamico e creativo nelle molteplici situazioni problematiche?

Si dice di volere ‘mettere al centro l’efficacia e l’efficienza delle prassi d’integrazione scolastica’. Ma così si utilizza la mera logica del costo/risultato senza precisare di quale risultato stiamo parlando. Ultimamente per indicare gli obiettivi da raggiungere si parla di competenze, ma anche questo è un concetto ambiguo (nella sua radice risuona l’eco della competizione) e scarsamente padroneggiato dagli stessi operatori della scuola. L’idea poi di un’efficienza misurata essenzialmente sui costi o sui prodotti è tipica della pedagogia neoliberista che sta dilagando anche nel mondo della scuola.

Dunque oggi in base a critiche non bene circostanziate e a misurazioni equivoche, si sostiene la necessità di formare degli ‘insegnanti specialisti’ ‘con profili professionali più avanzati e mirati sulle differenti aree di disabilità o BES’. L’orientamento sembra allora quello di continuare sulla linea dell’iperspecializzazione dei docenti in senso diagnostico-clinico confermando in questo modo la colonizzazione della scuola da parte del paradigma medico a discapito di quello pedagogico-culturale. Si finisce in questo modo per confermare quello che Massimo Recalcati chiama nel suo recente libro, L’ora di lezione, “l’illusione dell’insegnante psicologo”.

Non vogliamo entrare per adesso nei dettagli, del resto non ancora del tutto chiari, ma ci pare che la tendenza complessiva sia quella di ‘razionalizzare’ (o ‘modernizzare’ come dicono alcuni) il sistema del sostegno con un orientamento che va nel senso dello specialismo tecnico di tipo medico e dell’etichettamento continuo della popolazione scolastica; di misurare l’efficienza del sistema sulla base della logica costo/beneficio. In quest’ottica non a caso qualcuno propone di usare il 5×1000 per finanziare gli interventi nella scuola pubblica, il che è una confessione del fatto che i tagli all’istruzione e, quindi anche al sistema del sostegno continueranno. Basti pensare che i progetti educativi per l’inclusione non sono realizzabili se vengono tagliate tutte le risorse di supporto e di accompagnamento (trasporti, accompagnamento assistenziale e socio-sanitario, interventi domiciliari sulle autonomie, sostegno materiale e psico-sociale alle famiglie in difficoltà, presenza di educatori sociali e professionali qualificati nella co-progettazione educativa ecc…). Il patto di stabilità e i tagli continui ai bilanci degli enti locali, nonché la riduzione degli organici, la precarizzazione e la gestione al ribasso (dal punto di vista dei costi) dei servizi educativi esterni gestiti da cooperative sociali sempre più impoverite finiscono per peggiorare la qualità degli interventi scolastici e socio-educativi e quindi per mettere in discussione i percorsi d’inclusione. L’integrazione – quale punto emblematico e sensibile del sistema scolastico – è ovviamente un evidenziatore dello scontro in corso tra umanizzazione pedagogica e disumanizzazione tecnica, tra politiche di eguaglianza e di giustizia e politiche neoliberiste. Efficienza, performance e test di livello sono le parole chiave di un progetto che non risponde alle questioni aperte nel mondo della scuola. Come scrive il pedagogista americano Henry Giroux nel suo recente libro L’Educazione e la crisi dei valori pubblici:

il modello di insegnamento celebrato è quello in cui i docenti vengono formati come impiegati e tecnici, che non hanno bisogno di una visione pubblica nella quale immaginare il ruolo democratico e le responsabilità sociale, che scuole , insegnanti e pedagogie potrebbero assumere per il mondo e il futuro dei giovani.

Bisognerebbe invece…

Bisognerebbe invece pensare ad una formazione pedagogica di tutti gli insegnanti che spesso ignorano i fondamentali del proprio lavoro, pensare alla scuola come comunità educante e inclusiva dove sia possibile costruire le condizioni per una co-progettazione educativa (tra insegnante curricolare, di sostegno, mediatori culturali, genitori, operatori dei servizi) che funzioni come processo co-educativo facendo crescere tutta la comunità. L’insegnante specializzato di sostegno non deve essere uno specialista delle varie tipologie di disabilità ma un tecnico della mediazione e dei percorsi indiretti che sa individuare, come affermava Lev Vygostkij, la zona di sviluppo prossimale di ogni alunno e la zone di sviluppo potenziale di ogni contesto socio-culturale dove avviene l’esperienza educativa. La conoscenza della varie tipologie di disabilità deve fare parte di un patrimonio di conoscenza che si acquisisce anche attraverso l’esperienza ma la cosa più importante è la capacità di fornire risposte pedagogiche adeguate, andare a caccia di capacità e potenzialità e non di sintomi, incapacità o ‘comportamenti problema’.

Bisognerebbe scolpire nella riforma del sostegno quel che scrive Charles Gardou nel suo libro La società inclusiva:

Bisogna impegnarsi a rendere più confortevole l’esistenza, a umanizzare per tutti, partendo dal principio universale di accessibilità e dal concetto di qualità della vita. Ecco quello che bisogna coscientizzare: ‘siamo fatti per vivere insieme, quello che è facilitante per gli uni è benefico per gli altri. (…) Riconoscere il diritto alla singolarità , anche nelle sue espressioni talvolta estreme; autorizzare ognuno a portare al bene comune la propria biografia originale; darsi reciprocamente, con il legame sociale, una appartenenza all’Universale; ammettere che la vulnerabilità è alla radice, al centro, della parte più intima di ogni essere umano e di ogni esistenza.

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