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diretto da Romano Luperini

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Risposta su Leopardi

  1. Lo so anch’io (e chi non lo sa?) che esiste un rapporto fra l’io empirico che ha scritto Il canto notturno e la voce dell’io trascendentale che ci parla oggi da quei versi. Aggiungo che indagare questo rapporto può essere spesso utile per capire la genesi di un testo e la sua lettera materiale. Ma identificare io empirico e io trascendentale o far dipendere il secondo dal primo è altra cosa, come sa ogni esperto di poesia. D’altronde su questo punto ha scritto pagine definitive Proust nel suo Contre Saint Beuve. Non intendo perciò far torto alla intelligenza del lettore insistendo su questo tasto.

  2. Abate ha ragione a ricordarci che questi sono discorsi fra intenditori, o privilegiati, ma che la grande massa resta esclusa dalla fruizione di un concerto di musica classica o dalla comprensione di una poesia di Leopardi. Ma finché esisteranno i “signori” e i “servi” di nietzscheana memoria, solo i primi potranno gustare e apprezzare le raffinatezze della cultura. La forma è attributo delle classi dominanti, no? E’ una delle tante ingiustizie (e nemmeno la più grave) delle società dove esistono oppressori e oppressi.

  3. Come illustrazione della vita di Leopardi il film funziona bene (tranne qualche sbavatura romanzesca), ha ragione Anna Drago. Ritengo anche che possa servire a scuola per incuriosire gli studenti e spingerli a un maggior interesse per Leopardi. Forse se il film si fosse limitato a questo compito di illustrazione, sarebbe stato meglio. Invece coraggiosamente (e di questo coraggio va dato atto senza dubbio all’autore) il regista ha tentato di collegare la voce alla persona, la poesia al romanzo della vita. Di qui il mio disagio. Il regista ha finito con l’ appiattire la voce sulla persona, l’io trascendentale su quello empirico, sino a soluzioni grottesche (quella dell’incontro con la prostituta che si rivela un omosessuale ha davvero un fondamento filologico, Anna?). Malgrado ogni buona intenzione, la voce viene fatta dipendere dalla persona, la lirica dal romanzo della vita, l’arte dalla desacralizzazione del consumo. Il povero Giacomo può affannarsi quando vuole a dire che il suo pessimismo non dipende dalla propria infelicità personale, ma lo spettatore, vedendolo arrancare per i vicoli di Napoli, non può che pensarlo fatalmente.

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