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Su migliaia d’altri volti. Vittorio Sereni e la memoria di Anna Frank

In occasione della giornata della memoria, pubblichiamo questo intervento su Vittorio Sereni e la memoria di Anna Frank.

I.

«La lacuna, il mancamento storico, che ha segnato l’esperienza di Sereni si è ripetuto e prolungato per lui[…], per tutti noi. Tutti continuiamo ad essere uomini che“non hanno partecipato, che hanno mancato le esperienze fondamentali, poiché queste quando ci sono state, si sono svolte altrove o lontano, in assenza di noi. Per questo, se non altro, lumanissimo poeta che è Sereni continua a rappresentarci tutti» (1).

Con questa affermazione lapidaria e profondamente vera, Pier Vincenzo Mengaldo chiudeva nel 1972 il suo intervento decisivo sulle figure dell’iterazione e della specularità nella poesia di Vittorio Sereni. La lacuna a cui fa riferimento il critico è, com’è noto, la detenzione del poeta in un campo alleato in Nord Africa, a seguito della cattura avvenuta nel luglio del 1943, vicino Trapani. La prigionia, che negò al poeta la possibilità di partecipare alla Resistenza e agli ultimi anni della guerra in Italia, è percepita da Sereni come un tempo sospeso, una «parentesi personale e storica», che gli impedì di prendere parte ad eventi che avrebbero cambiato il corso della sua vita e della storia. L’episodio biografico, centrale nella sua seconda raccolta fin dal titolo, Diario d’Algeria, percorre sotterraneamente le opere successive, caricandosi di significati ulteriori. E’ con la poesia degli Strumenti umani che il poeta prova a rielaborare quel trauma, a partire dalla consapevolezza irreversibile di essere «straniero al grande moto e da questo agganciato». Il tentativo di rompere la solitudine del soggetto per aprirsi alla storia prende forma in una poesia capace di intrecciare una rete di relazioni tra io e mondo, entro cui trattenere il senso della storia e un nuovo senso del sé nel mondo (2). L’operazione è tanto più sofferta quanto a parlare è un autore che considerava fondante, più delle visioni ideologiche o programmatiche, «quell’oroscopo dei destini immediati assunto ad oggetto e contenuto concreto della poesia», che altro non è se non una fiducia pressoché esclusiva nell’Erlebnis. Se l’esperienza personale di Sereni risulta segnata da un’esclusione rispetto ai grandi scenari della Storia (un”esclusione che per lui fu spaziale e che è temporale per i suoi lettori contemporanei, accomunati al poeta dalla stesso destino di ascoltatori passivi di eventi), la nuova passione per la storia dovrà realizzarsi nel recupero di una dimensione temporale che sovverta la relazione consueta tra passato e presente. Il passato non potrà più darsi come successione di eventi, che rimangono estranei a chi non li ha vissuti, quanto piuttosto come un’immagine discontinua, breve illuminazione di senso, relazione dialettica tra ciò che è stato e ora. Il dato di partenza di questo processo è la realtà, mentre il luogo della sua realizzazione il linguaggio dell’arte.

II.

La poesia Amsterdam, compresa nella sezioni Apparizioni e incontri, è il primo testo di un trittico intitolato Dall’Olanda e insieme alle due poesie successive (La pietà ingiusta, Nel vero anno zero) affronta il tema della memoria, intesa qui non tanto come rievocazione di tragedie passate (la violenza e la barbarie naziste), ma come ricerca del senso di quelle in un tempo presente. Come ha mostrato Mengaldo nel saggio sopra citato, il testo, emblematico di tutta l’opera, è organizzato a livello stilistico intorno alle due costanti tematiche della iterazione e della specularità. Il procedimento di reiterazione, tematica, lessicale ma anche fonica, rivela la necessità del poeta di interrogare una condizione spazio-temporale instabile, in cui il ripresentarsi alla coscienza di immagini, oggetti o figure esprime il dovere/volere di un continuo ritorno delle cose a se stesse. Oltre alla consapevolezza che l’esistenza si configura come momento della temporalità, processo e iterazione, dalla cultura fenomenologica ed esistenzialista discende per Sereni anche la convinzione che l’io sia una formazione di forze che agiscono in un contesto altro. Iterazioni e necessità di rispecchiamento nell’altro sono i segni di un’ «identità minacciata» che cerca nell’esperienza la prova della propria esistenza. Così è a partire da «materiali rigorosamente soggettivi, diaristici, occasionali», come una visita ad Amsterdam, che prende vita la riflessione di Sereni sulla memoria ed in questo ambito che il poeta ne saggia «la resistenza fra le maciulle della realtà contemporanea» (3).

 

A portarmi fu il caso tra le nove

e le dieci d’una domenica mattina

svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra

lungo il semigelo d’un canale. E non

questa è la casa, ma soltanto

-mille volte già vista-

sul cartello dimesso:“Casa di Anna Frank”.

Delle due strofe di cui è composta, la prima, più breve, individua con precisione il luogo dell’esperienza raccontata, Amsterdam e in particolare la casa che fu rifugio di Anna Frank. A differenza di Montale, per il quale i dati della realtà, già di per sé selezionati, forniscono solo l’occasione spinta della lirica rimanendo per lo più taciuti, Sereni situa la propria vicenda poetica in uno spazio e in un tempo precisi. I particolari (l’ora più o meno esatta: tra le nove e le dieci; il giorno della settimana: una domenica mattina; l’indicazione meteorologica: semigelo; le indicazioni stradali: svoltando a un ponte, a destra lungo […] un canale) valgono proprio per la loro precisione, sono cioè tessere minute capaci di rappresentare un’ esperienza che trae la sua forza dal suo essere qui e ora nel mondo. Il poeta, che passeggia in una grande città europea, fruitore distratto e causale, rivolge la propria attenzione ad un cartello dimesso. L’esperienza, determinata dal rinvenimento causale della Casa, non scaturisce dalla monumentalità del luogo né vale per la sua eccezionalità, quanto piuttosto per il carico di vissuto personale che reca. Il mille volte già vista ci informa di una frequentazione virtuale evocando una sensazione fin troppo nota a noi lettori contemporanei. Se fosse stata questa casa, precisa Sereni, la sua collocazione sarebbe da individuarsi in un orizzonte pubblico, sacrificando l’esperienza concreta delle cose che ci circondano. E’ solo in questa atmosfera di liricità autobiografica, suggerisce il poeta, che il passato può affiorare entro l’insignificanza del presente e lo fa a partire da un frammento dichiaratamente modesto capace tuttavia di aprire uno squarcio nella catena della ripetizione insensata del tempo e di innescare un processo di interrogazione sul senso che assumono la vita e la memoria all’interno dello spazio di una metropoli moderna.

 

Disse più tardi il mio compagno: quella

di Anna Frank non dev’essere, non è

privilegiata memoria. Ce ne furono tanti

che crollarono per sola fame

senza il tempo di scriverlo.

Lei, è vero, lo scrisse.

Nei versi successivi, che aprono la seconda strofa, entra in scena una delle voci dialoganti della poesia di Sereni, in questo caso quella di un amico. La funzione interlocutoria di tali figure consente al poeta uno sdoppiamento problematico in grado di vagliare la veridicità delle proprie impressioni. Il dialogo è d’altra parte la soluzione narrativa entro la quale porre dubbi, verificare, accertare il valore delle proprie affermazioni, mentre lo sdoppiamento è una delle declinazioni possibili della figura della specularità. L’io sdoppiato dà vita ad un altro da sé, che riflette il senso dell’io; l’altro, l’amico, può diventare così al contempo «specchio di sé e mediatore di conoscenza». Al procedimento interlocutorio è affidato il momento di maggiore tensione della lirica: il poeta/amico si oppone ad una memoria che accordi il privilegio di sopravvivere solo a chi ebbe la possibilità di raccontare le proprie esperienze e rinunci a salvare coloro che morirono senza il tempo di denunciare le ingiustizie e i crimini subiti. Lei è vero lo scrisse. L’esitazione di Sereni è qui quella reticenza di cui parla Fortini davanti a rivelazioni conclusive o risolutorie: l’arte ha una responsabilità nei confronti della memoria, ma la letteratura non è un primum nell’orizzonte di Sereni, come sembra ricordargli l’amico o se stesso.

In che modo l’arte può riscattare e vendicare le vittime della storia è un problema che sta a cuore al Sereni di quegli anni. Ne è una prova la prosa dal titolo Ritorno della notte pubblicata nel febbraio‘64 nella rubrica letteraria del periodico aziendale «Pirelli» e successivamente compresa nelle Letture preliminari (4). In questo intervento critico Sereni recensisce la seconda opera di Primo Levi, La tregua, edita a sedici anni di distanza dal successo di Se questo è un uomo. Lo scritto, che accosta al romanzo di Levi la menzione del Diario di Anna Frank e successivamente le pitture di Charlotte Salomon, è costruito secondo un montaggio che richiama il motivo tematico e stilistico della rifrazione presente nella lirica Amsterdam: come per la poesia degli Strumenti umani, giocata sulla ripetizione e la specularità dell’uno nel molteplice, anche la vicenda di Levi si moltiplica in quella delle due giovani ebree morte ad Auschwitz. La riflessione di Sereni riguarda il processo costruttivo dell’opera e le modalità della sua ricezione. Intende cioè mostrare come questo romanzo sia stato in grado di sviluppare in una trama di relazioni molteplici la memoria individuale della tragedia vissuta dal suo autore e considerare in che modo l’energia sprigionata da questa narrazione abbia investito il lettore: non è la singolarità della storia di Levi ad interessarlo, ma le sue potenzialità di rivelarsi prossima a milioni di altre. L’importanza di questo tipo di narrazione, continua Sereni, è nel «ricorrere, anzi [ne] la puntuale ripetizione […] di quei particolari quasi emblematici [che] fanno di ogni vicenda sempre la stessa vicenda». Dal romanzo di Levi al Diario di Anna Frank alla storia che Charlotte Salomon aveva dipinto in ottanta pitture in mostra allo Stadelijk Museum di Amsterdam, l’arte dimostra di riuscire a dare forma ad un archivio di storie particolari che non riguardano soltanto la sensibilità individuale, ma possono diventare patrimonio comune. L’effetto rifrangente, che ogni singola vicenda è in grado di suscitare, consente al lettore di essere coinvolto nel processo di proliferazione innescato da questa narrazione e di far propria lui stesso una vicenda non vissuta.

 

Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale

continuavo a cercarla senza trovarla più

ritrovandola sempre.

Per questo è una e insondabile Amsterdam

nei suoi tre quattro variabili elementi

che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi

tre quattro fradici o acerbi colori

che quanto è grande il suo spazio perpetua,

anima che s’irraggia ferma e limpida

su migliaia d’altri volti, germe

dovunque e germoglio di Anna Frank.

Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam.

L’atteggiamento perplesso, manifestato dall’obiezione dell’amico vira con decisione, a partire dal Ma, in una sorta di resa dei conti, espressa da precisi fatti stilistici evidenziati da Mengaldo. La forte tensione del momento rivelatore, capace di sciogliere i dubbi precedentemente formulati, è comunicata dalla complicanza del gioco di ripetizioni e riflessi: l’iterazione, che è di per sé una figura della temporalità, diventa qui una replica spaziale; l’iterato rifrangersi spaziale invece è innescato dell’emersione del passato, rappresentato dall’apparizione di Anna Frank. E’ in questa fusione di spazio e tempo che il verbo perpetua, sebbene appartenga all’ordine temporale, agisce in una dimensione spaziale, mentre s’irraggia che verosimilmente appartiene all’ordine spaziale, può riferirsi ora al tempo. Per questa sua caratteristica, di essere cioè una e nello stesso tempo moltiplicabile in tante unità ricorrenti, Amsterdam, nei suoi tre quattro fradici o acerbi colori propri di un paesaggio di «disanimato squallore europeo-industriale» (5) si riscatta qui fino a diventare vertiginosa: la città non è più solo il luogo storico del rifugio di Anna Frank, quanto piuttosto il suo specchio e la sua espansione. Nella vertigine di Amsterdam Sereni scopre una nuova dimensione del tempo e della memoria: il presente non è la risultante di un flusso di eventi che proviene dal passato; il passato piuttosto affiora come l’altra faccia del presente. Come in Benjamin, è il presente che genera dal suo interno il proprio passato e il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime(6). L’epifania si è consumata: il riaffiorare di figure della memoria sulla superficie compatta del piano fenomenico ha condotto il poeta, custode non di anni ma di attimi, alla scoperta di nuovi sensi racchiusi nel passato o vivi nel presente che contribuiscono a sconfiggere una memoria retorica e anestetizzata.

III.

Seguendo maldestramente una delle ipotesi di lavoro di Sereni lettore, secondo cui la letteratura forniva spesso lo spunto tematico per affrontare questioni teoriche o argomenti di attualità, concluderò questa mia lettura con una breve riflessione extraletteraria, che si pone oltre la lirica sopracitata ma che di questa vorrebbe cogliere alcuni riflessi.

La casa di Anna Frank oggi è uno dei siti della memoria più visitati in Europa e nel mondo. Il museo, gestito dalla Anne Frank Stichting (Fondazione Anna Frank), è molto più di un museo storico. Su volontà del padre Otto Frank, la Fondazione non è impegnata a custodire un ricordo statico e monumentale della tragedia della giovane figlia, quanto piuttosto a fare della sua memoria un monito contro i pericoli vecchi e nuovi di antisemitismo, razzismo e discriminazioni. Nella sua proposta educativa il museo cerca costantemente di mettere in evidenza l’importanza della storia di Anna per un pubblico contemporaneo. I destinatari di questo discorso sono «quelli che non furono là, che non passarono per quei luoghi, che non assistettero, che non subirono l’offesa» (7) ed è per noi che la casa di Anna racconta la vicenda della giovane, raccontando i problemi del mondo contemporaneo.

La struttura stessa dell’edificio è concepita per favorire, attraverso un significativo montaggio degli spazi, un dialogo tra le epoche. Il visitatore, che segue il percorso obbligato del museo attraverso i locali storici che furono rifugio della famiglia Frank, termina la sua visita in un’ala moderna adibita a mostre permanenti ed allestimenti interattivi. Il contrasto tra lo spazio intimo e storico dell’alloggio e la linearità luminosa e minimalista dello spazio espositivo segna il ritorno al tempo presente, consentendo a quel passato di riaffiorare lungo tutto il percorso (8).

Nel corso degli anni il Museo ha proposto una serie di esposizioni che hanno avuto come denominatore comune il tentativo di porre in relazione la consapevolezza dell’importanza dei diritti umani con l’educazione all’Olocausto, affrontando questioni cruciali dal dopoguerra in poi. In particolare con gli allestimenti Out of Line e successivamente Free2choose, la giovane Anna, la cui storia è tragicamente legata a quel rifugio disperato, è stata “dislocata”in aree del mondo diverse dove i diritti umani erano e sono violati. Dall’America delle lotte per i diritti civili, al Vietnam, al Sud Africa dell’apartheid, alle minoranze etniche vittime di discriminazione nella stessa Olanda, alle guerre degli anni novanta in Yugoslavia, alla Palestina di ieri e di oggi, il volto della giovane ebrea è diventato quello delle molteplici vittime della storia recente, senza per questo alterare i propri connotati.

Visitando i luoghi, mille volte già visti, di Anna, ritrovandoli nei loro particolari noti ai lettori del Diario -ma nondimeno anche nella loro peculiarità storica e geografica, tutti noi non possiamo non sentirci Anna Frank. Ciò che si rivela al visitatore infatti non è l’unicità della storia della giovane, ma la sua esemplarità: è riconoscendo in che misura la sua storia si è fatta prossima a milioni di altre, che riconosciamo come nella Casa di Anna Frank (e negli altri luoghi dell’orrore nazista) si sia consumata la tragedia di tutta l’umanità.

L’iniziativa della Fondazione non ha mancato di recente di attirare critiche feroci. Il Museo sarebbe colpevole, secondo la stampa israeliana, di destoricizzare la figura di Anna Frank, cancellando dalla storia della giovane quasi tutti i riferimenti alla sua ebraicità (a human being, then a girl, and only incidentally a Jew), per lasciare spazio all’universalità della sua tragedia. Il risultato di questa operazione sarebbe quello di rendere i visitatori del tutto insensibili davanti alla catastrofe degli ebrei d’Europa e portare avanti una sorta di riscrittura revisionista della storia, trasformando l’istituzione del Museo in una fonte di critiche alle politiche di Israele. In particolare, ad essere sotto accusa, sono state alcune immagini comprese nella mostra Out of Line, volta a verificare il confine tra libertà di espressione e discriminazioni: uno su tutti è stato un video che mostra alcuni manifestanti esibire un poster con i volti di Hitler e Sharon per protestare contro le sanguinose operazioni militari israeliane ai danni di civili palestinesi, donne, vecchi e bambini da Sabra e Shatila a Jenin. Alle accuse di Nathan Sharansky, già ministro del governo Sharon, secondo il quale la mostra sarebbe stata un’ulteriore dimostrazione dell’antisemitismo dilagante in Europa, ha fatto eco la richiesta (provocatoria?) da parte di alcuni giornalisti filo-israeliani (anche italiani), di chiudere il Museo Anna Frank per impedire che in un futuro non molto remoto si potesse tornare ad una persecuzione razziale come quella subita da Anna Frank(9). L’accusa, che ha riguardato peraltro anche altre prestigiose istituzioni ebraiche impegnate a promuovere un’interpretazione della memoria contraria a qualsiasi forma di discriminazione (10), non è meno pericolosa per il fatto di essere grottesca. E’ necessario purtroppo riconoscere che l’orrore dell’Olocausto, talvolta, è stato utilizzato come alibi inaccettabile per impedire che si parlasse di altri massacri recenti. Verosimilmente viene da pensare che il motivo che ha messo la stampa israeliana sul piede di guerra contro le iniziative del museo non sia stato propriamente il dislocamento della figura di Anna in altri luoghi, ma che ciò sia stato fatto in certi luoghi particolari. Davanti al pericolo di negare alla storia di Anna Frank la possibilità di essere assunta a simbolo di tutte le tragedie del mondo e della storia, per esaltarne invece il suo particolarismo etnico, viene da chiedersi se tra le nuove belve, pronte a dimenticare o perfino a negare, non ce ne siano di nuove con una pelle diversa. «Incredibile –dirà Sereni più tardi- le visioni/ immotivate che si hanno a volte».

 _____________

NOTE

  1. MENGALDO P.V., La tradizione del Novecento, Prima serie, Bollati Boringhieri, Torino 1996, pag. 410

  2. PAPI F., La parola incantata e altri saggi di filosofia dell’arte, Guerini e associati, Milano 1992.

  3. FORTINI F., Nuovi saggi italiani, Garzanti, Milano 1987

  4. SERENI V., Ritorno della notte, in «Pirelli», a. XVII, n.1, febbraio 1964, poi Letture preliminari, Liviana, Padova 1975

  5. FORTINI F., op. cit.

  6. BENJAMIN W., Angelus novus, Einaudi, Torino 2006

  7. SERENI V., Letture Preliminari, op.cit.

  8. SANDELL R. , Museums, Prejudice and the Reframing of Difference, Routledge, London and New York, 2006

  9. http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/13152

  10. Un esempio di queste accuse ha riguardato il prestigioso Museo dell’Olocausto di Berlino, in occasione di un evento che ha ospitato la filosofa americana Judith Butler, da anni impegnata nel movimento di boicottaggio contro Israele per la sua politica nei confronti dei palestinesi. http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-Features/Berlin-Jewish-Museum-event-calls-for-Israel-boycott.

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