
I 50 anni di “Vermisat”: un cinema del reale, fuori mercato
Quando a Nanni Moretti si fa il nome di Mario Brenta, lui risponde con una sola parola: “Vermisat”. Quest’opera di esordio lui se la ricorda bene, perché anticipa di quasi due anni il suo, di esordio, cioè Io sono un autarchico (1976). E sicuramente fa parte delle sue “visioni” di giovane cineasta rigoroso e intransigente. Nel cinquantesimo anniversario dall’uscita sugli schermi italiani, il primo lungometraggio di Brenta viene ora editato in un dvd curatissimo e prezioso per merito del Centro Studi Cinematografici e di Penny Video: master HD restaurato, un’intervista all’autore di ben 35 minuti, un ricco booklet curato da Massimo Causo.
Rivisto oggi Vermisat è un film durissimo che sembra provenire da un altro mondo e soprattutto da un altro modo di fare cinema. Racconta la storia di Luigi Tagrana, un ex contadino emarginato dall’industrializzazione del territorio lombardo, che nei primi anni Settanta sopravvive raccogliendo vermi per rivenderli ai negozi di caccia e pesca. La sua vita si snoda tra il fango della periferia milanese, il sanatorio dove cura una tubercolosi e la burocrazia istituzionale che gli detta i movimenti, dopo l’abbandono del tetto coniugale e la morte della moglie. E nemmeno l’incontro con la prostituta Maria si rivela un buon affare, nonostante l’iniziale speranza. Permeato di una cultura contadina irrazionale ereditata dallo zio, Luigi segue inutilmente le cure di un santone popolare che si propone di pagare vendendo il proprio sangue a una clinica privata. L’amaro finale è la chiusura di un cerchio.
Nel ruolo del protagonista Brenta aveva pensato e chiesto la disponibilità a Pier Paolo Pasolini, che però fu costretto a rinunciare per gli impegni di regìa con Il fiore delle mille e una notte. Il felicissimo e fortunato “ripiego” cadde allora su Carlo Cabrini, che aveva interpretato I fidanzati di Olmi, un volto perfetto per una storia ai confini tra periferia urbana e mondo contadino.

Carlo Cabrini, il protagonista
Un cinema sopravvissuto al mercato
Brenta costruisce il suo film partendo dalle pagine di Milano, Corea, “un’inchiesta sull’immigrazione interna nel Nord Italia condotta nel 1960 dal sociologo Danilo Montaldi e da Franco Alasia, operaio – scrittore vicino a Danilo Dolci”; i sopralluoghi poi lo inducono a riscrivere la sceneggiatura, prima di mettersi dietro la macchina da presa con la quale ritrae i suoi non attori (con l’eccezione di Maria Monti) con la distanza di un entomologo che espone il caso, come farebbe uno scrittore naturalista. Allora come oggi il suo cinema oscilla tra antropologia e osservazione sociale, con uno sguardo sempre attento alla marginalità investita dai cambiamenti. Lo stile aspro e severo (formato 1.33.1, fotografia ruvida da prassi distributiva Italnoleggio, rari movimenti di macchina, musiche essenziali di Nicola Piovani) diviene così un atteggiamento etico, vicino a un grado zero della scrittura e ovviamente distante da ogni astuta manipolazione del linguaggio espressivo. Oggi il cinema italiano fatica non poco a rappresentare la realtà e quando vi si addentra, quasi sempre ha bisogno del caso che “fa rumore” cavalcando la cronaca, meglio se legato a un testo narrativo che ha già fatto la sua strada nelle librerie. L’operazione inizia dunque con una pre-pubblicità di base che garantisce già una fetta di mercato, cui si aggiunge la risonanza mediatica del fatto sociale. Esempio attuale può essere quello di un’opera dignitosa e ben recitata come Familia di Francesco Costabile (tratta da un romanzo autobiografico sul tema della violenza maschile in famiglia), che a tratti rappresenta il reale con quel poeticismo (anche inopportuno) creato ad arte con ralenti e musica, per non parlare delle manipolazioni fotografiche. Guarda caso anche un film di successo popolare come Il ragazzo dai pantaloni rosa (tema il bullismo e storia vera di ampia risonanza) di Margherita Ferri abbonda in ralenti che dilatano le scene madri e i cuori dei giovani spettatori. Brenta, invece, ha mantenuto nel tempo la sua idea di cinema attraversando la fine del secolo scorso ed entrando nell’attuale senza flessioni e compromessi, pagando la sua lontananza dal mercato ma conservando la sua visione critica del mondo. Che oggi, come dice lui da bravo veneziano che guarda il cielo prima di mettersi in viaggio, sta andando “in malora”.
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