
Il Pirandello di Santo Mazzarino: un ‘greco di Sicilia’ interessato alle vicende della politica
La pubblicazione postuma del saggio di Santo Mazzarino Pirandello. Storia dell’Italia moderna e antica rappresenta l’ultimo lascito del celebre storico catanese.
Il saggio affronta il rapporto di Pirandello, definito dall’autore ‘un greco di Sicilia’, con la storia politica del suo tempo dando risalto al carattere eminentemente greco della sua cultura: Pirandello, immerso nelle dinamiche della sua epoca, non ha ignorato il ruolo cruciale che i giornali, in particolare il giornale di Roma il ‘Messaggero’, svolgevano nell’Italia unita, plasmando l’opinione pubblica e influenzando i gusti letterari. Spesso i giornali anche locali sono presenti nella sua opera e dagli articoli giornalistici la trama di novelle e romanzi può svilupparsi o prendere una svolta. Particolare risalto, perché di fondamentale importanza per comprendere le vicende storiche, è dato al legame di Pirandello con la cultura tedesca.
La vicenda editoriale
Concepito e scritto in tedesco negli anni Ottanta, inizialmente per recensire su un quotidiano tedesco un libro di Giuseppe Talamo, uscito in due volumi, ‘Il Messaggero e la sua città, 1878-1918’ e ‘Il Messaggero: un giornale durante il fascismo. 1919-1946’, il manoscritto, privo dell’ultima revisione da parte dell’autore a causa della sua scomparsa nel 1987, è stato pubblicato nel 2007 in Germania con il titolo Pirandello. Die Neuere und die Alte Geschichte Italiens. Grazie alla cura della professoressa Maria Adele Cavallaro nel 2022 è uscito in traduzione italiana per la casa editrice WriteUp.
Pirandello poeta o filosofo?
Nel capitolo 1, ‘Talune premesse’, Mazzarino ripercorre la storia del dibattito della critica che, superando le iniziali interpretazioni riduttive focalizzate sulla filosofia, ha progressivamente riconosciuto e approfondito la complessità artistica e intellettuale di Pirandello. Il “grande ellenista” Pirandello, nella lettura di Mazzarino, supera le barriere tra i vari settori di studio in una forma peculiare tipica della cultura greca e intrinseca all’artista agrigentino: non solo questo ‘greco di Sicilia’ dimostra una sensibilità per la storia contemporanea e per la registrazione dei fatti nella cronaca giornalistica, ma affronta anche questioni filologiche e archeologiche in pagine straordinarie.
Pirandello ‘apolitico’?
I saggi di Arcangelo Leone de Castris e di Leonardo Sciascia avevano contribuito a superare l’immagine di Pirandello come autore ‘apolitico’ e avevano messo in luce il suo profondo interesse per i cambiamenti sociali del suo tempo. Per Mazzarino la sensibilità storica di Pirandello è legata alla sua conoscenza della cultura greca in una dimensione non certo in conflitto con la sua ‘poesia’ dal momento che il pensiero storico dei greci si connette fin dalle origini anche con la loro poesia: come Empedocle e Euripide, egli era pensatore filosofo e poeta.
Quando Pirandello si definiva ‘apolitico’ intendeva significare di non avere alcun interesse per la carriera politica, non di non averne per la storia e i fatti politici della sua epoca, anzi: non significava, ad esempio, ignorare le istanze degli operai in rivolta o essere insensibili alle dure condizioni di sfruttamento dei lavoratori. Da Padron Dio (1898), nella doppia stesura di novella e di poemetto, a Liolà (1916), Pirandello trattava il tema della rivendicazione da parte dei contadini delle terre non coltivate dai proprietari, in linea con il disegno di Giuseppe Salvioli, professore di diritto che Pirandello aveva appoggiato nell’elezione nel 1892. Grazie all’uso sapiente dell’ἀγὼν λόγων era capace di rappresentare, senza ideologie di partito, nelle pagine del romanzo storico e autobiografico de I vecchi e i giovani gli indizi del fallimento del progetto risorgimentale e i germi della decadenza. Senza essere stato mai militante del Partito socialista, le sue simpatie giovanili andavano ad un certo radicalismo, che per Mazzarino era indipendente da qualsiasi ideologia. Pirandello ha denunciato degrado, sfruttamento, condizioni di vita disumane e ingiustizia in numerose novelle quali La balia, Lo scaldino, Il libretto rosso, Il ventaglino, i cui personaggi soffrono la loro marginalità sociale, ma ha sempre rivendicato per sé il diritto ad un giudizio storico libero, non credendo in un’arte al servizio di un partito.
Proprio per questa sua convinzione aveva stroncato la raccolta di poesie socialisteggianti di Ada Negri Tempeste giudicandola falsa e di partito. Ma aderire al Partito socialista italiano era per lui impossibile perché restava fedele al garibaldinismo-patriottico e anticattolico (come tante novelle dimostrano), che si stava venando di aspirazioni coloniali, da cui non resterà del tutto immune: egli, infatti, non poteva accettare che si esultasse -come appunto facevano i socialisti- per la sconfitta dell’esercito italiano in Abissinia. Insomma, delle due strade in cui il garibaldinismo si era diviso, l’italiano-patriottica e la cosmopolita-umanitaria, che agirono entrambe in lui non senza contraddizioni almeno fino al 1915, aveva proseguito lungo la prima. Il riconoscimento di Pirandello dei diritti dei lavoratori nasceva, perciò, da una forma di socialismo per così dire spontaneo, ben rappresentato nell’unico dramma socialista della letteratura italiana: La nuova colonia.
Il mito e l’utopia
Il ‘Pensiero storico classico’ di Santo Mazzarino si concludeva con il capitolo ‘L’utopia antica, Moro e Machiavelli’. In esso, dal confronto dell’Utopia di Tommaso Moro con il racconto fantastico di Plutarco Il viso della Luna, lo studioso concludeva che l’ispirazione dell’autore inglese affondava le sue radici nell’utopia del mondo classico e che pensiero storico e utopia sono strettamente connessi all’origine. Anche nel saggio su Pirandello Mazzarino mette in luce questa stretta relazione tra pensiero storico e utopia, esaminando come la sensibilità storica dell’autore agrigentino e il suo interesse per la politica contemporanea siano radicati nella tradizione greca e ne influenzino la poetica. Pirandello approdava all’utopia in due opere tarde: il progetto del romanzo-mito, oggi diremmo distopico, Adamo ed Eva (1926), di cui resta una pagina dattilografata contenente quattro frammenti e di cui conosciamo la trama da Le opere che Pirandello non scrisse, commemorazione tenuta da Stefano Pirandello alla stazione radiofonica di Roma nel 1938, e il ‘mito sociale’ dell’ultima stagione teatrale La nuova colonia, rappresentata a Roma nel 1928, di fatto unica utopia sociale ‘sovversiva’ della nostra letteratura.
Il tema dell’isola dei beati, che ha ispirato La nuova colonia, è antico e ben noto: Pirandello conosceva il racconto della visita di Iambulo (III sec. a. C.) alle “isole del sole” narrato nel II libro di Diodoro Siculo (Biblioteca Storica II, 55-60), autore a lui caro. Sempre in Diodoro, Pirandello leggeva dell’esperienza del sistema comunistico, con ciclica distribuzione dei lotti, messo in pratica da Pentatlo di Cnido nell’isola di Lipari.
Se l’idea di ambientare ‘la nuova colonia di marinai’ in un’isola prendeva spunto dagli autori classici e dai moderni utopisti di Besançon, quella di ambientarla in particolare su un’isola abbandonata dopo una catastrofe tellurica poteva rifarsi all’esperienza legata alla storia della sua terra, che aveva negli anni precedenti assistito alla comparsa di isole effimere a seguito del ribollire del mare nel 1831 e nel 1863 a sud di Sciacca (forse fenomeni vulcanici legati alle miniere di zolfo).
Il ‘Messaggero’
Sul ruolo determinante dei quotidiani e, in particolare per la città di Roma, del quotidiano il ‘Messaggero’, si concentra la seconda parte del saggio di Mazzarino, che parte per la sua analisi dal già ricordato lavoro di Talamo. Il ‘Messaggero’, soprattutto per l’impostazione data dal suo fondatore, in seguito direttore, Luigi Cesana, ambiva a essere un giornale di tutti, voleva raggiungere nuove fasce di popolazione, grazie anche al prezzo esiguo, con la pubblicazione di romanzi di appendice, con la cronaca dei fattacci e con il resoconto di processi famosi, Pur dichiarandosi indipendente, la linea politica del giornale, per l’importanza accordata alla questione sociale come problema centrale del paese, poteva dirsi in un certo senso socialista.
La significativa presenza dei quotidiani, anche locali, nella produzione artistica di Pirandello e la sua diretta collaborazione con gli stessi dimostrano che viveva intensamente il suo tempo e ne era interprete. Era perfettamente consapevole che i giornali orientavano e plasmavano il lettore benpensante e accendevano il dibattito politico quando non decidevano le sorti stesse dei governi (funzioni evidenziate ne I vecchi e i giovani, nella novella Le medaglie, in cui Pirandello affronta la questione del neogaribaldinismo, nei Colloquii coi personaggi e in molte altre novelle). La collaborazione con il ‘Messaggero’ non implicava una condivisione delle posizioni del giornale (ad esempio, Pirandello provava insofferenza verso le posizioni del giornale, che esprimeva soddisfazione per la sconfitta italiana ad Adua nel 1896). Legato alla città di Roma, ammiratore per tradizione familiare dello statista siciliano Crispi (quello che, con Garibaldi, costruì l’Italia, non il Crispi filomonarchico e anti-irredentista del periodo successivo), anticlericale di stampo massonico (come testimonia la novella in parte autobiografica La Madonnina) e ‘garibaldino’ per tradizione ed educazione, consapevole del ruolo della Sicilia nell’impresa dei Mille, Pirandello rimase fedele a un patriottismo garibaldino che si era nel frattempo diviso in una corrente patriottica e una umanitaria.
Il senso della decadenza
La cultura della decadenza permeava l’Europa di fine Ottocento. trovando analogie tra la fine dell’Impero Romano e il presente: esempi emblematici sono il sonetto Languer di Paul Verlaine, il romanzo Giuliano l’Apostata di Dmitrij Sergeevič Merežkovskij, l’epoca dell’imperatore Graziano nel romanzo L’altare della patria di Valerij Jakovlevič Brjusow e la Geschichte des Untergangs der antiken Welt dello storico Otto Seeck.
Pirandello non si concentrò sulla Roma pagana sconfitta dal dio cristiano o dalle orde dei barbari, ma sul tramonto della città greca di Agrigento (che ne I vecchi e i giovani chiama col nome greco Akragas) ultimo baluardo nello scontro tra Cartagine e la grecità di Sicilia, il cui tramonto era avvenuto nel 406 a.C.
Nel 1896 la sconfitta di Abba Garima (Adua) stimolò in lui il confronto con l’immagine della decadenza e della rovina di Agrigento: l’adesione al garibaldinismo patriottico lo spingeva, se non proprio ad approvare la politica coloniale di Crispi, certo non ad esultare per la sconfitta (delusione espressa nel 1897 anche nella poesia Pianto di Roma).
Il romanzo storico e autobiografico I vecchi e i giovani è tutto permeato dal sentimento della decadenza. Pirandello avviava la stesura del suo romanzo partendo dalla condizione della Sicilia e in particolare della provincia di Girgenti del 1907, desolata e disperata non meno di quella del 1893, anno in cui decideva di ambientarlo. Imperniava il romanzo intorno a due eventi cruciali della storia d’Italia, tappe del fallimento del mito risorgimentale, ricostruendone anche il contesto con riferimenti cronachistici: lo scandalo della Banca Romana, che gettava fango sulla classe dirigente dell’Italia unita, e la formazione del movimento dei Fasci Siciliani con la loro cruenta repressione. Due vicende lontanissime messe in stretta relazione proprio nell’intervento di Napoleone Colajanni alla Camera dei deputati (30 gennaio 1893), una decina di giorni dopo la risposta cruenta dei carabinieri al tentativo di cinquecento contadini di occupare i terreni di proprietà comunale, volendo così dimostrare che quelli sono patrimonio collettivo (‘Corriere della sera’, 21 gennaio 1893). L’intervento in aula del deputato è in parte riportato di recente nella saga dei Florio di Stefania Auci: Io vi ho intrattenuto nei passati giorni sulla questione bancaria, ed ora vi debbo intrattenere brevemente sui fatti dolorosissimi di Caltavuturo. Sebbene non appaia a prima vista, pure tra le due questioni c’è un intimo legame, perché, mentre nella prima si scorge la lotta sociale che si svolge in alto, tra le classi dirigenti per ottenere il massimo di godimento possibile, viceversa, nei fatti di Caltavuturo si scorge la lotta dei poveri per ottenere il minimo della sussistenza. (Stefania Auci, L’inverno dei leoni, Editrice Nord, Milano, 2021, p.254).
La risposta altrettanto tragica delle masse contadine alla feroce repressione non poteva farsi attendere. Le pagine dedicate al massacro di Aragona ne I vecchi e i giovani stanno lì a dimostrare il fallimento della politica, sorda ai bisogni dei contadini e dei solfatari.
Il presentimento della tragedia nel romanzo è affidato al punto di vista di un personaggio agli antipodi delle posizioni di Pirandello, il principe Ippolito Laurentano, che, perduta la causa dei Borboni, sperava assurdamente (il romanzo è ambientato nella Sicilia del 1893) che, restituita Roma al pontefice, il vecchio potere potesse restaurarsi. A don Ippolito Pirandello affida il compito di affrontare un problema filologico-archeologico riguardante la posizione della rocca akragantina, che l’archeologo tedesco Schubring nel libro su Akragas pubblicato nel 1870 poneva a occidente della città antica, correggendo arbitrariamente il passo di Polibio che ne fornisce la posizione precisa a oriente. Il principe nel cap. IV della prima parte del romanzo indica al prete don Illuminato Lapaiga, dopo aver riletto il passo del libro IX, cap. 27 di Polibio, che un esercito di eruditi tedeschi vorrebbe ignorare la posizione dell’acropoli secondo quanto riportato dallo storico greco. L’episodio, che all’interno del romanzo riveste anche un significato simbolico, prosegue con il racconto riportato da Diodoro della strenua difesa della rocca di Akragas da parte di Gellia, che dopo essere rimasto l’unico fedele ai vecchi dèi appicca il fuoco al santuario per impedirne la profanazione da parte dei Cartaginesi. Mazzarino collega la tragedia di Gellia, che decide di morire con la sua dea, a quella del praefectus praetorio pagano Virio Nicomaco Flaviano che si tolse la vita dopo la battaglia del Frigido del 394.
Un altro episodio trasmette il senso della decadenza e lo spirito greco che la permea: sempre don Ippolito volge lo sguardo ai templi e osserva un tronco d’olivo ginocchiuto che sembra pregare pace per i clivi abbandonati, triste preannuncio del dramma che si consumerà ad Aragona, in provincia di Agrigento.
Gli eventi successivi, inclusi i problemi legati a Roma, il fallimento di un mancato raggiungimento di una comprensione tra Nord e Sud, rafforzarono in Pirandello il senso di decadenza e il fallimento del progetto risorgimentale, inclusa la delusione per la stampa libera. Nella novella La distruzione dell’uomo, emerge il contrasto passato/presente: il tedio del protagonista Nicola Petix, che vive in una Roma vittima della speculazione edilizia iniziata subito dopo l’annessione, si manifesta nella sua determinazione a compiere un delitto simbolico, rappresentante l’annientamento dell’umanità. Nella novella poetica Un cavallo nella luna, il motivo del cavallo e della luna, con l’associazione luna/morte, evocativa dell’atmosfera di morte e presagio funesto che avvolge l’episodio virgiliano di Corebo nel secondo libro dell’Eneide, esprime l’incomunicabilità tra Nord e Sud, simboleggiata dall’incapacità di due giovani di comprendere i rispettivi comportamenti amorosi: […] E si guardò attorno, quasi svanita; aprì le mani, ove teneva alcune fave secche portate da quel casale per darle a mangiare al cavallo; guardò la luna, poi il cavallo, poi qua per terra quest’uomo come morto anche lui; si sentì mancare, assalita improvvisamente dal dubbio che tutto quello che vedeva non fosse vero; e fuggì atterrita verso la villa, chiamando a gran voce il padre, il padre che se la portasse via, oh Dio! via da quell’uomo che rantolava… chi sa perché! via da quel cavallo, via da sotto quella luna pazza, via da sotto quei corvi che gracchiavano nel cielo… via, via, via…
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