Gli scrittori dell’Europa orientale/ Scrittori del mondo 10
Oggi ci occupiamo degli scrittori contemporaneri dell’Europa orientale: Florina Ilis, Imre Kertész, Agota Kristof, Milan Kundera, Herta Müller, Jerzy Pilch, Aleksandr Isaevič Solženitsyn, Vladimir Georgievič Sorokin, Wisłava Szymborska. I lettori potranno integrare e arricchire questa prima selezione utilizzando i commenti.
Florina Ilis
Florina Ilis è una scrittrice rumena, nata nel 1968. Il suo romanzo La crociata dei bambini del 2005, acclamato in Romania come un capolavoro, è stato tradotto in diverse lingue. La scrittrice immagina che un gruppo di bambini in gita scolastica s’impadronisca di un treno, dirottandolo verso Bucarest. La voce di ciascuno di questi bambini s’intreccia con il racconto delle reazioni dell’opinione pubblica, convinta in un primo tempo di assistere ad un sequestro architettato dai terroristi. La contrapposizione spietata tra il mondo degli adulti e quello dei bambini è indagata in una narrazione che scorre per quasi ottocento pagine senza mai un punto fermo, al ritmo forsennato di un treno lanciato a gran velocità. Ad emergere è un’amara denuncia del disastro della Romania postcomunista e delle contraddizioni del capitalismo occidentale
Imre Kertész
Imre Kertész (Budapest, 1929) è uno scrittore ungherese di origine ebraica che ha ricevuto il premio Nobel nel 2002. La sua opera ruota intorno al trauma dell’Olocausto, che costituisce il tema centrale del romanzo Essere senza destino, uscito nel 1975 in Ungheria, ma concluso sin dal 1973, dopo una processo di composizione e di revisione durato più di dodici anni. Qui, prendendo spunto dalla sua esperienza autobiografica di deportato ad Aschwuitz, lo scrittore racconta con ironia la vicenda di un ragazzo che subisce gli orrori del lager senza indignarsi, accettando la violenza e l’insensatezza come dati di natura e leggi tragiche della civiltà. Infatti, com’è detto nel romanzo, «non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza». Kertész è anche autore di intensi scritti autobiografici e di importanti saggi sulla vita concentrazionaria, tra cui va ricordato L’Olocausto come fenomeno culturale, pubblicato nel 1993.
Agota Kristof
Agota Kristof (1935-2011) è una scrittrice ungherese, espatriata in Austria nel 1956, a seguito della repressione sovietica dei moti di Budapest, e vissuta a lungo in Svizzera. Le sue opere, scritte in un francese appreso a fatica e sempre percepito come una lingua estranea, esprimono il dolore immedicabile della lontananza e dell’esilio. Il successo letterario è arrivato dopo una serie di esperienze drammatiche: la fuga notturna dalla patria invasa dalle truppe dell’Armata rossa, la difficile integrazione nell’Europa occidentale, gli anni di duro lavoro in fabbrica, il distacco dal marito. Ma la sua disperazione prosciugata è quanto di più lontano possa esistere dal meló e dal sentimentalismo: nei pochi romanzi, nei racconti e nei testi teatrali, la scrittura della Kristof è rigorosa, secca, controllatissima, di una impassibilità che ferisce. La fama dell’autrice è legata principalmente alla Trilogia della città di K. che, attraverso la storia di due fratelli di un Paese dell’Est mai nominato, racconta con lucidità impietosa la divisione in blocchi contrapposti che ha lacerato l’Europa del secondo Novecento. La narrazione, scandita in tre momenti che corrispondono ai tre romanzi brevi Il grande quaderno (uscito in Francia nel 1984 e considerato il suo capolavoro), La prova e La terza menzogna, riduce al minimo le subordinate e l’aggettivazione, avanzando con «una prosa di perfetta, innaturale secchezza, una prosa che ha l’andatura di una marionetta omicida» (Giorgio Manganelli).
Milan Kundera
Milan Kundera (Brno, 1929) è uno scrittore ceco, autore di uno dei romanzi più significativi degli anni Ottanta: L’insostenibile leggerezza dell’essere. La storia è quella della contrastata relazione tra Tomáš e Tereza. Mentre Tomáš passa da un’avventura erotica all’altra, Tereza è ossessionata dalla responsabilità morale: la dialettica tra i due personaggi riproduce l’alternativa esistenziale tra “pesantezza” e “leggerezza”. Mettere a nudo la «saggezza dell’incertezza» esplorando i grandi temi del vivere: questa è per Kundera la sfida del romanzo. Il trascorrere del tempo, la vita segreta dei sentimenti, la lontananza, la nostalgia, l’amore, la memoria e l’oblio: intorno a questi temi ruotano i suoi libri più recenti, come La lentezza (1994), L’identità (1997) e L’ignoranza (2001), stesi in francese.
Herta Müller
Herta Müller è nata nel 1953 in Romania da una famiglia di origine tedesca. Nel 1987, dopo essersi rifiutata di collaborare con la Securitate, la polizia segreta del regime, ha lasciato la Romania per trasferirsi in Germania. Con le sue opere, tutte scritte in tedesco, Herta Müller ha fatto conoscere al mondo le crudeltà del regime di Ceasescu e ha rappresentato la situazione politico-sociale della Romania, con un riferimento particolare alla condizione femminile e al disagio dei diseredati. Il suo romanzo più esemplare, Il paese delle prugne verdi del 1998, compendia i temi e le strategie formali che ne caratterizzano la ricerca narrativa: la denuncia della dittatura, l’affermazione dell’autonomia della cultura dalla politica, la matrice autobiografica, la scrittura ardua, metaforica, allusiva, che ibrida poesia e prosa. Nel 2009 le è stato conferito il premio Nobel per la letteratura.
Jerzy Pilch
Jerzy Pilch, nato nel 1952, è uno dei più significativi scrittori polacchi contemporanei. Nel 2001, con la pubblicazione del romanzo Sotto l’ala dell’angelo forte, Pilch ha riscosso un ampio consenso di pubblico e di critica, proiettandosi così sulla scena letteraria internazionale. Il romanzo è narrato in prima persona da Jurus, uno scrittore che soffre di alcolismo: il libro si presenta come una confessione e un resoconto degli incontri tra alcolisti cronici, ai quali Jurus partecipa nel tentativo di disintossicarsi. Sotto l’ala dell’angelo forte, steso in una lingua raffinata e aulica, è attraversato da un’esibita componente autobiografica (anche l’autore ha dovuto combattere per liberarsi dalla dipendenza dall’alcool) e si propone come una sorta di surreale Montagna magica ambientata ai nostri giorni, in cui la vicenda di una malattia e di una formazione privata è inserita nel contesto di una più generale crisi ideologica e sociale. Come nel capolavoro di Thomas Mann, anche qui la narrazione dà spazio ad una tensione saggistica e filosofica che affiora soprattutto nei dialoghi tra i personaggi “eccezionali” ospitati nella clinica.
Aleksandr Isaevič Solženitsyn
Aleksandr Isaevič Solženitsyn (1918-2008) è uno scrittore russo che ha vinto nel 1970 il Premio Nobel per la letteratura. Nel 1962 ha fatto scalpore la pubblicazione in URSS del suo romanzo breve Una giornata di Ivan Denisovič, ambientato in un campo di concentramento siberiano. In Reparto C (1967) viene messa a fuoco un’altra situazione estrema: ad essere rappresentate sono infatti le vicende dei malati di cancro ospitati nel padiglione oncologico di un ospedale sovietico. La denuncia dei lager staliniani ritorna come tema centrale del romanzo autobiografico Il primo cerchio del 1969. Nel 1974 Solženitsyn è stato espulso dall’URSS a seguito della pubblicazione all’estero del primo volume della trilogia intitolata Arcipelago Gulag, un’imponente e sistematica narrazione che raccoglie un’immensa raccolta di dati e di testimonianze sulle deportazioni e sui lager voluti da Stalin. Da allora è diventato uno dei leader del “dissenso”. Ritornato in patria nel 1994, nelle sue ultime opere, ha contestato aspramente il potere dei nuovi oligarchi.
Vladimir Georgievič Sorokin
Vladimir Georgievič Sorokin è uno scrittore russo, nato nel 1955, considerato uno degli autori più promettenti della narrativa post-sovietica. Sorokin è un esponente di punta del movimento del «concettualismo» moscovita, fondato a metà degli anni Settanta da un gruppo di artisti e intellettuali underground che si collocavano nell’orizzonte del postmodernismo. Il romanzo con cui esordisce nel 1988, La coda, proibito dalla censura sovietica e pubblicato in Francia, è costituito dal vorticare ininterrotto di una folla di voci in dialogo tra loro: si tratta di un dialogo fatto di battute smozzicate, di frasi brevissime, di grugniti e sospiri, senza nessun intervento dell’autore, nessuna didascalia, nessun commento e non un rigo di descrizione. Le voci che si alternano per oltre duecento pagine appartengono a uomini qualsiasi che aspettano il loro turno in coda per comprare qualcosa: c’è chi pronuncia di tanto in tanto qualche frase mentre aspetta, chi rinuncia all’acquisto, chi decide di insistere. L’estenuante attesa in fila, che si protrae per un’intera giornata per poi riprendere l’indomani, è una consuetudine, una routine cui gli ordinari cittadini di Sorokin si sottopongono docilmente: eppure, proprio in virtù della sua normalità, la “coda” diventa un’immagine emblematica dei mali endemici del sistema sovietico. Di impianto più tradizionale è invece Ghiaccio, il romanzo apocalittico e allegorico del 2002, che mette in scena la storia di una setta impegnata in una serie di misteriosi omicidi, compiuti con l’intento di “risvegliare” l’umanità e rifondarla su basi nuove.
Wisłava Szymborska
Wisłava Szymborska (1923-2012) è una delle più grandi poetesse dei nostri tempi. Nata a Cracovia, esordisce nel clima del realismo socialista, ma presto prende le distanze dalle ideologie di partito. Il successo letterario arriva con la terza raccolta, Appello allo Yeti (1957), cui ne seguono molte altre, come Gente sul ponte (1986), La fine e l’inizio (1996) e Due punti(2005). Nel 1996 vince il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: «per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umanità». Per la Szymborska, infatti, la poesia si fonda sul confronto concreto e senza mediazioni con la realtà. Non c’è spazio nella sua scrittura per le sperimentazioni intellettualistiche o per i sentimentalismi: la sua poesia è un’asciutta, lineare esplorazione del vivere. I suoi versi colloquiali e ironici sono sorretti dalla chiara consapevolezza della provvisorietà della condizione umana e, al tempo stesso, sono animati da uno stupore gioioso per il mondo, perché, come la poetessa ha affermato nel discorso tenuto in occasione dell’assegnazione del Nobel, «qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti (già morti? ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d’ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata da due date categoriche, qualunque cosa noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente».
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