
Paradiso e inferno nel rapporto uomo-donna: “Perdersi” di Ernaux
LN si prende una pausa estiva. Nel prossimo mese e mezzo ripubblicheremo alcuni articoli usciti quest’anno. Auguriamo a tutti i nostri lettori e lettrici buone vacanze. Ci rivediamo i primi di settembre.
Mentre sto leggendo con crescente piacere Lezioni di McEwan, romanzo pluristratificato e complesso, vedo che finalmente è uscito in traduzione italiana Perdersi di Annie Ernaux (L’orma editore) tradotto da Lorenzo Flabbi. Lo avevo letto in francese anni fa e subito mi era sembrato un capolavoro, degno dell’autrice di Gli anni, e per puro piacere nel dicembre del 2016 mi ero divertito a tradurne in italiano le prime trenta pagine, che si possono tuttora leggere su questo blog.
Mentre Gli anni è l’autobiografia impersonale di una generazione, Perdersi è un diario molto personale in cui l’autrice racconta una storia d’amore, una passione erotica in cui si perde. E tuttavia è un perdersi sempre lucidissimo: smarrimento e coscienza intellettuale convivono in un equilibrio straordinariamente controllato. L’autrice appartiene all’élite intellettuale, conosce Mitterand, difende i diritti delle donne e sa bene quanto la condizione femminile sia schiacciata dal potere maschile. E tuttavia, durante un viaggio di un gruppo di intellettuali francesi in Unione Sovietica negli anni di Gorbaciov, vive una travolgente passione di amore con un diplomatico russo, uomo rozzo, in cuor suo ancora stalinista, frequente bevitore e talora ubriaco, disprezzatore delle donne che pretendono di guidare l’auto o addirittura di fare politica. Rapidamente la protagonista, che ha dieci anni di più, si assoggetta alla volontà di quest’uomo più giovane, in una relazione clandestina (lui è sposato), dipende dalle sue telefonate (a lei invece è proibito farne a lui) e dal suo umore volubile. La sua vita sprofonda nella frustrazione e nella dipendenza, nella totale perdita di sé. Ciò non le impedisce di annotare i gusti dozzinali dell’uomo, l’amore per le belle macchine e per i liquori, la intrinseca volgarità che in lui si alternano nondimeno a momenti di abbandono quasi infantile e persino di delicatezza. Al centro del racconto sta dunque il paradosso di una femminista perfettamente consapevole dei soprusi che subisce e tuttavia desiderosa di subirli perché questa è la unica possibilità che ha di vivere la relazione con l’uomo. L’amore è bellissimo e dolcissimo, dona la felicità, ma questa è strettamente unita all’infelicità, da questa inseparabile, e infatti si accompagna a momenti di lacerante gelosia e di disperata impotenza. Ernaux ci fa sentire in ogni riga il fascino sconvolgente dell’amore, la infinita dolcezza del “perdersi”, ma insieme, anche, il suo rischio, la sua terribilità, la inaccettabile umiliazione che comporta. Il rapporto fra uomo e donna è nutrito di diseguaglianza e di sopraffazione. Ma Arnaux si guarda bene dal commentare ideologicamente la sua vicenda. Si limita a rappresentare – limpidamente, con durezza, con fermezza – la contraddizione che vive, senza orpelli e senza giudizi. Dire la verità basta.
Ernaux aveva già scritto questa storia in un altro romanzo, Passione semplice, che però non aveva l’immediatezza del diario né il luminoso coraggio di autoanalisi di Perdersi. E infatti Passione semplice è un buon romanzo, Perdersi è un capolavoro.
Fra Lezioni di McEwan o Perdersi di Ernaux e le decine di romanzi italiani sfornati ogni anno dai nostri editori c’è un abisso in termini di cultura e di capacità letteraria. Per quanto ancora?
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