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diretto da Romano Luperini

Arrivare al Novecento

La letteratura italiana del Novecento, e soprattutto quella del secondo Novecento, è una specie di araba fenice dei docenti di Lettere: che vada fatta ciascun lo dice, come arrivare a farla nessun lo sa.

Il compito è arduo soprattutto per chi insegna negli indirizzi liceali, dal momento che le Indicazioni nazionali prevedono, lungo tutto il corso del triennio e in aggiunta al percorso di storia letteraria, la lettura di «almeno 25 canti della Commedia». Anche se dal confronto con molti colleghi emerge che quasi nessuno arriva a completare la lettura dei venticinque canti prescritti (generalmente ci si attesta sui 10-12 canti per l’Inferno, 7-8 per il Purgatorio, non più di 5-6 per il Paradiso), il numero di ore dedicato al capolavoro dantesco è comunque molto corposo: da 25 a 15 ore per ciascuna cantica, su un monte-ore annuale complessivo di 132. Anche se probabilmente non è questa l’unica ragione per cui si fatica ad oltrepassare la triade Ungaretti-Montale-Saba e ad arrivare così al pieno Novecento (non mi risulta infatti che negli Istituti tecnici e professionali, dove è ormai caduta la prescrizione dantesca, la situazione sia molto diversa), è importante interrogarsi sui modi possibili per superare quelle che sono, per molti di noi, vere e proprie colonne d’Ercole, e cominciare a metterli in pratica.

Sì, tagliare. Ma dove e che cosa?

È evidente che, se si vogliono inserire 50-70 anni di storia letteraria alla fine del percorso del triennio (e che storia letteraria! ricchissima di opere e autori grazie alla crescita dell’alfabetizzazione e dell’industria editoriale che caratterizzano il XX secolo) sia necessario tagliare qualcosa, seppur a malincuore, dei sette secoli precedenti, riprogrammando l’intero curriculum, anziché correre a perdifiato nelle ultime settimane del quinto anno.

Ritengo che sia davvero difficile intervenire in modo massiccio sulla scansione dei contenuti del terzo anno, poiché (soprattutto per chi prende un gruppo classe che non ha già avuto al biennio) è fondamentale darsi tutto il tempo necessario per avviare la relazione con gli studenti e le studentesse e impostare correttamente il metodo per lo studio della storia letteraria e l’analisi dei testi. Inoltre, spesso si deve dedicare spazio sia al recupero di contenuti che la normativa collocherebbe alla fine del II anno (letteratura delle origini e Scuola siciliana) sia alla didattica della scrittura. Di fatto, nella mia esperienza e in quella della maggior parte dei colleghi che conosco, è difficilissimo riuscire a terminare tutti gli argomenti previsti per il terzo anno, Machiavelli e Ariosto inclusi: accade spesso che almeno uno di questi grandi del Cinquecento venga ricollocato all’inizio del quarto anno, talvolta anche intenzionalmente, per poter essere inserito in percorsi didattici strutturati (Machiavelli in parallelo con i pensatori politici che vengono trattati in filosofia; Ariosto per un percorso di confronto con Tasso, come quello illustrato qui).

È sicuramente più facile rimodulare la scansione del quarto anno, espungendo alcuni contenuti “tradizionali” per inserirvi una parte di quelli generalmente trattati nel quinto anno. Ma che cosa tagliare? Credo che si possa intervenire abbastanza di netto su XVII e XVIII secolo, soprattutto per due ragioni: 1) in questi due secoli la letteratura italiana perde il primato europeo che aveva avuto fino a Tasso e comincia ad ispirarsi a modelli stranieri; 2) alcuni degli argomenti che sono abitualmente inseriti nella programmazione del docente di lettere (rivoluzione scientifica, Barocco, Illuminismo…) sono affrontati in modo piuttosto esaustivo anche da altre discipline (storia, filosofia, storia dell’arte, letterature straniere), con cui è possibile prevedere percorsi di collegamento che riducano lo spazio ad essi dedicato nelle ore di italiano.

Personalmente, salvo pochissimo del Seicento: ritengo sufficienti un quadro generale del Barocco e qualche testo poetico che illustri i concetti di metafora, arguzia, estetica del brutto, e una brevissima incursione galileiana solo se preventivamente concordata con i colleghi filosofi (a cui lo lascio più che volentieri). Lavoro un poco di più sul Settecento, dando spazio alla Riforma goldoniana e proponendo solitamente un breve percorso sulla Leserevolution e l’Illuminismo milanese, in cui uso un centinaio di versi del Giorno pariniano come testo-documento; anche Beccaria, per le mie classi, è solitamente materia filosofica perché si presta molto ad essere trattato insieme aVoltaire, Kant e affini; Alfieri l’ho ormai abbandonato a sé stesso, legato alla scrivania nel suo studiolo astigiano, hélas. Ovviamente, tali scelte sono dettate sia da convincimenti e ragionamenti individuali, sia dalla possibilità che, anno dopo anno, ho di collaborare con i colleghi e le colleghe delle altre discipline: credo però che si possa concordare sul fatto che sia molto più difficile intervenire con le cesoie sul Cinquecento (spesso già maltrattato perché disarticolato su due anni) o su autori come Foscolo e Manzoni – che, comunque, nel corso degli ultimi venti anni, hanno subito un corposo ridimensionamento rispetto a quando occupavano interamente il primo trimestre del quinto anno.

A questo punto, non resta che decidere a chi e cosa assegnare lo spazio liberato, spostando in quarta un “pezzo da novanta” che abitualmente viene affrontato in quinta, e credo che la scelta possa vertere solo su due opzioni: Leopardi o il Paradiso. Tertium non datur.

Si proverà di seguito a sintetizzare i pro e i contro di entrambe le opzioni.

Anticipare il Paradiso in quarta

I vantaggi di ordine strettamente letterario per anticipare il Paradiso al quarto anno sono piuttosto chiari: innanzitutto si rende più compatta e coerente la lettura e analisi della Commedia, che, anziché sbriciolata su tre anni, viene esaurita nel corso di poco più di un anno, soprattutto se si è avviato l’Inferno, in terza, immediatamente prima o dopo Natale, dopo aver trattato l’Alighieri in generale; in tal modo, se in quarta si dedica tutto il primo trimestre al Purgatorio (che sia con una scelta antologica di canti integrali, o con un percorso antologico-tematico), a gennaio si possono iniziare a leggere i cinque o sei canti che solitamente compongono l’antologia minima del Paradiso (per me I, proemio del II, III, VI, XI, XVII, XXXIII), terminando il tutto entro la fine di febbraio o l’inizio di marzo.

In secondo luogo, la continuità e progressione tematica tra Purgatorio e Paradiso agevola il passaggio dall’uno all’altro: il percorso ascensionale di Dante, il libero arbitrio, la questione della corruzione politica ed ecclesiastica, il continuo alternarsi dell’auctor e dell’agens sono elementi che ritornano ad ogni piè sospinto, e che gli studenti colgono e collegano molto più facilmente perché la lettura della cantica precedente è ancora fresca nella memoria. Da ultimo, vista la nuova struttura dell’Esame di Stato, risulta molto difficile inserire il Paradiso in un percorso interdisciplinare che possa essere sfruttato ai fini del colloquio, a meno che non lo si progetti esplicitamente; inoltre, pragmaticamente parlando, qualunque insegnante sa benissimo che chiedere ad un maturando, in sede d’esame, di tirare fuori la Commedia e commentare un passo del Paradiso significa metterlo, molto spesso, in grande difficoltà.

Le ragioni contrarie all’anticipo, invece, sono legate più a questioni di equilibrio nella scansione dei contenuti e di motivazione degli studenti: affrontare due cantiche anziché una in un solo anno significa dedicare molta più attenzione a Dante che a qualunque altro autore, lasciando un po’ in secondo piano, per gran parte dell’anno, la storia letteraria. Non nascondiamoci, poi, che generalmente la lettura di Purgatorio e Paradiso, rispetto a quella dell’Inferno, risulta meno stimolante e più faticosa per quasi tutte le classi, chequindi possono patire il lavoro prolungato su entrambe le cantiche.

Anticipare Leopardi in quarta

La trattazione dell’opera di Leopardi alla fine dei quarto anno è già prevista dalle Indicazioni nazionali negli Istituti tecnici e professionali, quindi non dovrebbe costituire scandalo tentare di anticiparla anche nei Licei, dove invece essa è istituzionalmente collocata all’inizio della quinta «in ragione delle risonanze novecentesche della sua opera e, insieme, della complessità della sua posizione nella letteratura europea del XIX secolo». Lo spostamento di Leopardi in quarta consente infatti una trattazione più continua e organica del Romanticismo nostrano, a completare quanto detto su Foscolo e Manzoni, magari usando come perno del confronto la posizione eclettica di tutti e tre i nostri maggiori scrittori del primo Ottocento rispetto allo scoppio della cosiddetta “polemica classico-romantica”: già a Londra Foscolo, dove dà alle stampe l’edizione definitiva dell’Ortis, il romanzo italiano più aderente ai modelli protoromantici europei; defilato inizialmente e poi ritardatario estensore di quel vero e proprio manifesto che è la Lettera al Marchese Cesare D’Azeglio Manzoni; incompreso e di opinioni eterodossamente classiciste Leopardi. Esaurire la terna Foscolo-Manzoni-Leopardi in quarta significa soprattutto poter aprire il quinto anno con la letteratura dell’Italia postunitaria: la Scapigliatura, Verga, e poi avviarsi di gran carriera verso il tanto agognato Novecento.

I contro sono, anche in questo caso, di natura eminentemente “umana” più che letteraria. Innanzitutto, trattare un autore così complesso (anche sotto l’aspetto filosofico) come Leopardi alla fine dell’anno, con studenti stanchi e impegnati in verifiche e interrogazioni, può difettare di mordente ed efficacia; e se ciò è valido per qualunque opera o autore, a mio parere lo è ancora di più per Leopardi. Secondo la mia esperienza, infatti, Giacomo Tardegardo da Recanati è un autore con cui ragazzi e ragazze entrano quasi inevitabilmente in risonanza emotiva ed intellettuale, perché la sua opera riesce ad intercettarne e ad esprimerne i bisogni, le speranze, le paure, i desideri: Leopardi all’inizio della quinta è “l’autore giusto al momento giusto”, una sorta di fratello maggiore che fa scattare il clic di quando, finalmente, si comprende che la letteratura è un mezzo per conoscere ed esprimere il mondo e sé stessi (se ne era già parlato qui).

Le ragioni di una scelta

Qualunque delle due opzioni si decida di sperimentare, l’anticipo in quarta di Leopardi o del Paradiso permette di liberare, in quinta, un “pacchetto” di una quindicina ore (circa quattro settimane di lezione): non sono molte, e forse bisognerebbe provare ad anticipare entrambi tagliando ulteriormente sui contenuti di III e IV anno (e, a pensarci, è impresa da far tremar le vene e i polsi), ma permettono comunque di costruire almeno un paio di percorsi novecenteschi sensati e coerenti che conducano oltre il periodo tra le due guerre o dell’immediato secondo dopoguerra.

Personalmente, da ormai tre cicli di triennio ho scelto, con soddisfazione, la strada dell’anticipo del Paradiso in quarta, non solo perché la sento più congeniale al mio modo di lavorare e perché sono convinta che sia davvero vincente potersi giocare il jolly leopardiano all’inizio della quinta, ma anche perché, qualche anno fa, mentre meditavo ed elaboravo questa piccola pazzia didattica, ho chiesto un parere ad un paio di classi in cui stavo lavorando (una quarta e una quinta): la risposta dei ragazzi è stata, unanimemente, quella di mantenere Leopardi nella sua collocazione istituzionale; ho scelto dunque di affidarmi al giudizio dei miei studenti e studentesse, forse istintivo ma certamente capace di cogliere ciò che avrebbe avuto maggior presa sui propri coetanei.

Insomma, ogni insegnante che desideri dare più spazio al Novecento deve prendere atto della necessità di operare tagli, riduzioni e spostamenti sulla letteratura che lo precede: sono scelte che andranno valutate individualmente, soppesando con cura pro e contro, ma serve anche il coraggio di provarci, almeno una volta. Del resto, credo che la didattica della letteratura consista esattamente in questo: compiere delle scelte, non sempre facili, cercando un ragionevole equilibrio tra i tre poli del rigore critico-letterario (che ci indica il “cosa?” delle nostre lezioni), delle caratteristiche della classe (ed ecco il “per chi?”) e di quelle dell’insegnante che stabilisce il “come”, cioè con quali metodi e strumenti, portare a termine il lavoro che ha immaginato, pensato, progettato.

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