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diretto da Romano Luperini

Questo intervento a più mani nasce da un caso e da una comune esigenza. Il caso: i quattro autori, che insegnano in differenti indirizzi liceali (scientifico, linguistico, scienze umane), hanno scoperto di avere fatto lo stesso piccolo esperimento, indipendentemente gli uni dagli altri: fornire ai propri studenti, alla fine della classe quinta, una traccia di prova scritta nella quale chiedevano loro di riflettere sul proprio percorso dentro la letteratura e il canone. L’esigenza: tutti e quattro gli autori intendevano fare uno stress test al canone, per verificare la capacità degli autori della nostra letteratura di incidere o meno sulla formazione degli adolescenti. Anche se le tracce proposte, le consegne, il taglio, i tempi, la quantità di studenti coinvolti sono stati in parte diversi, abbiamo deciso comunque di mettere insieme il materiale che avevamo raccolto e di discuterne, per trarne un bilancio collettivo.

Ad aggiungere fortuita coincidenza a fortuita coincidenza, negli stessi mesi nei quali facevamo la medesima esperienza a scuola, la nostra redazione preparava una serie di interviste a docenti universitari proprio sul tema del canone. L’articolo qui presente, pertanto, si presenta nella veste dell’introduzione a un ciclo che inizierà la prossima settimana e che accompagnerà le nostre pubblicazioni nei prossimi mesi. Dopo l’empirica verifica del canone che qui illustriamo a partire dalle parole dei nostri studenti, continueremo con le parole autorevoli di studiosi italiani. Speriamo che l’intreccio di tutte queste voci possa rappresentare una buona dimostrazione di come la letteratura continui ad essere un terreno di incontro tra questi mondi insieme vicini e lontani.

Le riflessioni dovute a Morena Marsilio, Emanuela Bandini, Daniele Lo Vetere sono del tutto inedite. Quelle dovute a Luisa Mirone sono già comparse, in forma più estesa, negli Atti del XIX Congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Roma, 9-12 settembre 2015).


Che cosa «abita l’immaginario degli studenti al termine dell’esperienza di studio storico-letteraria del liceo»? Quale «uso […] fanno della letteratura e dei classici»? Che cosa «guardano nella letteratura, cosa cercano nei classici per raccontare se stessi o la realtà intorno a loro? Cosa scoprono, e cosa scoprono di poter raccontare, con gli strumenti letterari, che non pensavano fosse oggetto di narrazione?» (Luisa Mirone). Per rispondere, sia pure imperfettamente, a queste domande, abbiamo suddiviso il materiale raccolto in rubriche:

  1. quali autori “funzionano” ancora bene o benissimo con gli studenti?
  2. quali, invece, sono gli autori che riescono ostici, lontani, complessi o che sono apprezzati solo da alcuni?
  3. che cosa pensano gli studenti dell’esistenza stessa di un canone, di una tradizione e dell’impianto storico-letterario della scuola italiana?
  4. quale valore ha avuto la letteratura nel loro percorso scolastico e di formazione personale?

Naturalmente quanto leggerete non ha alcun valore medio o statistico. Non si tratta di una ricerca estesa su un campione rappresentativo. Sono i feedback che ciascuno di noi ha raccolto alla fine del proprio percorso con una classe. Sono spunti di riflessione e materiali di discussione.

1. Gli autori promossi

I due autori che vincono a mani basse, staccando di gran lunga tutti gli altri per quantità di citazioni positive non dovrebbero essere una sorpresa per nessun insegnante: si tratta di Dante e Leopardi. Soprattutto Leopardi. Se è un risultato in effetti prevedibile, le motivazioni di questa preferenza dicono un certo numero di cose interessanti.

I temi affrontati dai due scrittori sono considerati universali e attuali: non hanno bisogno di troppe mediazioni. Leopardi è un fratello maggiore, che «ispira verità e sincerità» (Federica) e che è in grado di esprimere sentimenti che gli studenti sentono essere ancora i loro:

Mi affascina […] la [sua] capacità di esprimere un’emozione o un concetto articolato in una sola parola, e le immagini sublimi che riesce a dipingere attraverso la sua poesia. Ma, a mio parere, ciò che fa del “giovane favoloso” il più grande poeta italiano dell’epoca moderna è l’universalità che contraddistingue la sua opera, sempre attuale e in grado di parlare a tutti in qualsiasi momento storico.

Lo scrive Cecilia, ma lo ripete, con parole appena diverse, la gran parte degli studenti interpellati:

Pensi a quanto sei piccolo, indefinito, incerto, e quanto tutto intorno a te sia così precario ma comunque molto più grande di te e fuori dal tuo controllo. Ne aveva già scritto Leopardi (Maddalena).

Leopardi non è solo la capacità lirica di far parlare per interposta voce l’anima di ciascuno: il messaggio politico di solidarietà umana de La ginestra è un messaggio ancora valido perché inadempiuto; le Operette morali e lo Zibaldone, con la loro filosofia asistematica, non hanno minor successo dei Canti. Lo scolastico “pessimismo” sembra essere una sottilissima patina che viene levata non appena ci si addentra nella lettura della sua opera.

Dante è Dante, anche per i nostri studenti, che non sembrano mossi da volontà o velleità demonumentalizzanti. La Commedia è davvero un’opera-mondo e i ragazzi sono affascinati dalla sua complessità non solo teologico-morale, ma anche strutturale, e dai continui riferimenti alla storia, alla mitologia, alle Scritture:

la Divina Commedia affronta tutti i temi, religiosi, politici, storici, passionali, familiari e tanti altri, è un’opera completa (Beatrice).

Allo stesso tempo, però, li incanta la capacità di Dante di prendere la vicenda del singolo e renderla emblema di una condizione universale. Ma Dante resta anche l’autore perfetto per la fascinazione della lingua e dello stile: la sua precisione e concisione linguistica, a fronte della complessità degli argomenti che affronta, colpisce. La scarsa incidenza di sovrastrutture storiografiche e critiche nella lettura dei nostri studenti rende possibile prendere in considerazione persino quel valore morale e parenetico dell’opera che noi moderni dovremmo, a rigore, ritenere inattuale:

[la Commedia] è fondamentale […] poiché vuole insegnare che le tentazioni del mondo vanno conosciute per poterle combattere, ma non bisogna fare in modo che queste tentazioni diventino il nostro stile di vita (Benedetta)

Per Dante si rinuncerebbe anche ad altri autori:

La Divina Commedia dovrebbe essere affrontata in modo approfondito, senza tralasciare nulla, anche se si accantona qualche altro autore (Silvia)

L’opinione di Silvia ci permette di aggiungere qualche considerazione su un problema che affligge ogni insegnante, quello del tempo a disposizione, problema che diventa fortemente sentito proprio in relazione alla lettura di Dante. Non sono pochi gli studenti che lamentano la frammentarietà con la quale si affronta la Commedia, il fatto che la lettura antologica sacrifichi l’organicità di un capolavoro:

Inferno, Purgatorio e Paradiso andrebbero studiati in successione e non [dovrebbero] essere spezzettati nel triennio (Elena)

Prima di passare alle seconde e terze file degli autori promossi, vale la pena di aggiungere un’ultima considerazione su Dante e Leopardi. Si tratta di due autori canonicamente ottocenteschi e romantici, la cui forza sta nell’intreccio di passione umana e sublimità lirica, tormenti personali e proiezione verso la dimensione collettiva della storia e della politica: è come se tra noi e i nostri studenti e De Sanctis non fosse passato poi troppo tempo. Nonostante le avanguardie, il modernismo, il postmoderno, la stanchezza del moderno, il superamento del moderno, nonostante l’eccesso di consapevolezza, il cinismo, l’ironia, il citazionismo, restiamo moderni nel senso più originario del termine, ovvero romantici.

Questa interpretazione potrebbe essere confermata anche da indizi indiretti. Ad esempio, Foscolo è forse il primo autore che i ragazzi sentano vicino a sé, ancor prima di Leopardi. I suoi sonetti sono amatissimi, ma anche i Sepolcri e l’Ortis: colpiscono l’autobiografismo e la tensione del suo itinerario artistico. Inoltre, di fronte a poeti della seconda metà del Novecento, gli studenti preferiscono Luzi, Pasolini o Sereni al più ironico Caproni, preferenza che ripete l’anteporre Tasso ad Ariosto: per apprezzare l’ironia, lo sguardo di sbieco, il gioco di secondo grado sulla vita, bisogna forse aspettare qualche anno.

Tuttavia, tra gli autori che possono giocare la carta della leggerezza, Boccaccio non se la passa male. Viene considerato di piacevole lettura e moderno, e non manca un’osservazione che molti già riservavano a Dante:

Boccaccio è un genio che in un solo libro ha unito tutti gli aspetti del mondo conosciuto (Petra).

Diversamente che con la poesia, in cui il riferimento al testo originale non può mai mancare, per i testi in prosa come le novelle alcuni di noi alternano la lettura degli originali alle riscritture moderne a disposizione, in particolare al Decamerone di Aldo Busi. L’influenza, il “disturbo di segnale” che il ricorso a queste traduzioni moderne ha sulla percezione di un classico non è facile da ponderare. Se nel caso di qualcuno sembra aver agevolato la lettura e l’apprezzamento, non manca chi si è sentito urtato dalla modernizzazione del testo: proprio Petra, che ha amato il Decamerone come opera-mondo nell’originale, precisa di non aver apprezzato la riscrittura di Busi. 

Abbiamo accennato alla preferenza riservata a Tasso su Ariosto. Bisogna però precisare che non si tratta di una preferenza esclusiva; peraltro i poemi cavallereschi dei due non sembrano sopportare mezze misure, o sono amati o detestati.

Tra gli autori cronologicamente più vicini a noi, spicca, forse in modo un po’ inaspettato, Pascoli: lasciata da parte la vulgata tradizionale del bucolico cantore del “nido” familiare, i ragazzi restano colpiti dalle ombre del perturbante che filtrano nella sua poesia, dal suo «simbolismo misterioso» (Aurora) e, soprattutto, dalla sua capacità di esprimere il dolore per la presenza di un Male impossibile da comprendere e giustificare.

Più difficile provare a stilare una lista degli autori pienamente novecenteschi più amati: benché qualche nome faccia capolino qua e là, non si può non notare quanto la stragrande maggioranza delle menzioni appartenga a secoli precedenti il XX. Forse questo dipende dal fatto che gli studenti, come si è visto, sviluppano un’idea di canone molto forte, ma il gran numero di nomi che si affastellano nel quinto anno lo fanno letteralmente esplodere; forse, più banalmente, è accaduto che, nel periodo in cui gli elaborati sono stati svolti, non ci fosse stato ancora abbastanza tempo per trattare in modo esaustivo o metabolizzare gli autori più recenti.

2. Autori bocciati e autori dalla percezione contrastata

Per parlare degli autori ‘bocciati’, è necessaria una premessa. In questo caso le certezze sono molte meno che nel caso degli autori promossi. Ciò dipende in parte dal fatto che qualcuno di noi avesse chiesto soltanto un discorso “in positivo”: quali fossero gli autori più amati. Ma anche chi aveva chiesto di fare nomi “in negativo” ha notato una maggiore reticenza da parte degli studenti, probabilmente solo per la paura di esporsi o una forma di comprensibile umiltà. Nelle opinioni di quanti si sono espressi, in ogni caso, è difficile trovare una convergenza massiccia su un giudizio simmetrico e opposto all’attestazione d’amore trasversale per Dante e Leopardi: non ci sono nomi di condannati senza appello. Gli autori che “non funzionano” sono diversi per ciascuno.

In generale, ci sembra di poter affermare che sia debole il Settecento poetico. Parini e Alfieri vengono percepiti come

autori su cui si p, seppur con dispiacere, soprassedere, per meglio concentrarsi sulle figure di Foscolo e Manzoni che costituiscono un’importante pietra miliare nella nostra letteratura (Emanuela).

Ci esprimiamo però cautamente, perché questa percezione degli studenti potrebbe benissimo dipendere anche dal fatto che noi stessi ormai tendiamo a sacrificare questi autori per avanzare più spediti verso l’Otto-Novecento. Decisamente più nelle corde degli studenti, invece, il Settecento illuminista dei trattati e dei pamphlet (Beccaria su tutti), che consente di aprire scorci sull’attualità e fruttuose intersezioni con la filosofia e con i percorsi di Educazione civica.

Ci sono autori sui quali il giudizio è contrastato: i già citati Tasso e Ariosto, ma anche Manzoni, Verga e D’Annunzio.

Il giudizio su Manzoni è difforme: da un lato, l’importanza letteraria e linguistica dello scrittore milanese è riconosciuta senza esitazioni, e la riflessione storica che sottostà all’elaborazione dei Promessi Sposi e della Storia della colonna infame è anche ciò che stimola gli studenti, forse per la prima volta, a chiedersi quale possa essere il proprio ruolo all’interno della Storia:

È stato soprattutto con questo romanzo che ho riflettuto sui rapporti fra Micro e Macro Storia, fra la storia e ciò che vorrei essere in essa, e dunque sulla responsabilità che ne deriva. Perché la Storia è responsabilizzante, ed è quello il terreno in cui posso esaminare dove sono più vera, inverandomi io stessa nel momento in cui mi ci immetto. Diciamo che era proprio quello che avevo bisogno di capire (Chiara B.).

Leggere Manzoni è stata, per me, una grande occasione per riflettere sull’importanza delle responsabilità individuali all’interno della Storia […] perché esiste un principio morale che va al di là del qui e dell’adesso. Questo concetto mi ha molto colpito ed è stato fondamentale all’interno del periodo che stavo vivendo quando ho studiato Manzoni (Anna).

D’altronde, le profonde certezze morali e religiose di don Lisander stanno strette a chi si sente in costante evoluzione e lo percepisce dunque non solo come poco moderno, ma addirittura come «arrogante e saccente» (Aurora) nell’espressione delle sue convinzioni letterarie e morali.

Verga è menzionato da pochi studenti, spesso in contrapposizione ad altri, (Manzoni o Leopardi, spesso), come fa Chiara:

il pessimismo di Verga […], a differenza di quello di Leopardi, non mi ha stimolato una riflessione introspettiva, ma mi ha lasciato una visione di ineluttabilità, [l’idea che] anche la via d’uscita da una vita sofferente può causare ulteriori dolori.

La distanza dal mondo dei vinti è evidentemente profonda: la lotta per la sopravvivenza e il fatalismo della fiumana del progresso restano nozioni astratte nella nostra società affluente. Lo confermano due prove e contrario: uno studente che per motivi di personale biografia e di estrazione sociale si era dovuto scontrare con certe durezze della vita, risparmiate alla maggioranza dei suoi compagni, ha amato a tal punto Verga da intraprendere in autonomia la lettura integrale dei Malavoglia (per scontrarsi poi con la difficoltà della sua narrazione priva di ogni tipo di didascalia). La lettura dell’addio di ‘Ntoni al paese ha provocato addirittura le lacrime di una classe di detenuti in regime di massima sicurezza, tale era l’identificazione con lo strappo dalla propria terra (comunicazione di una collega).

D’Annunzio può essere amato per le stesse ragioni per le quali è odiato: il vitalismo, il superomismo, il senso di superiorità e distinzione, il culto della parola (l’ascolto della lettura de La pioggia nel pineto da parte di Roberto Herlitzka ha folgorato, per l’intensità della resa fonosimbolica, una studentessa). È curioso come il suo nome venga fatto da due studentesse in contrapposizione a quello di Leopardi: in un caso per valorizzare il recanatese, nell’altro per valorizzare il pescarese.

Il vitalismo dello spocchioso e aristocratico D’Annunzio risulta falso e superficiale, mentre «il pessimismo di Leopardi deriva da una voglia insaziabile di rivoluzione e di cambiamento» (Rachele). All’opposto, Sofia ritiene che su Leopardi ci si sia soffermati fin troppo e rimpiange il fatto che questo abbia impedito di approfondire l’assai più interessante D’Annunzio, che è significativo nella letteratura come nella storia politica. (per inciso, come dimostrano anche le parole di Chiara citate poco sopra, Leopardi conferma il proprio ruolo di “asso pigliatutto”: torna utile anche come pietra di paragone).

Ma più delle affermazioni esplicite a sfavore di un autore, sono eloquenti i silenzi. Vero è che l’argumentum e silentio andrebbe annoverato tra le fallacie logiche, ma la (quasi) completa assenza nei testi di tutti gli studenti dei nomi di due veri giganti ci invita a concludere che essi non hanno fatto breccia. Del nostro più grande poeta dopo Dante, Petrarca, si tace o lo si nomina appena nel contesto della poesia amorosa medievale, senza dargli alcun particolare rilievo. Come già osservava Roberto Contu su questo blog, Petrarca è un autore difficile per i nostri studenti, che forse lo incontrano in un momento della loro evoluzione, personale e letteraria, in cui sono catturati dal pathos dell’Inferno e non dall’astrattezza levigata del Canzoniere. Toccherà trovare nuove strategie per valorizzare ai loro occhi quanto di straordinario la sua opera contiene.

Un altro grande rimosso è, nella maggior parte dei casi, Goldoni. L’unico commento positivo alla Locandiera è di una studentessa che ha apprezzato la forza di una figura femminile anticonformista: dunque un’identificazione con il personaggio, a prescindere da un giudizio sul genere teatrale. Un’altra studentessa stronca invece senza mezze misure la visione de La locandiera nell’adattamento televisivo del 1986 di Giancarlo Cobelli: «la messa in scena è rozza». Non sappiamo come interpretare questo silenzio e questa stroncatura. Forse il fatto che anche di Pirandello si citino e apprezzino i romanzi (più Uno, nessuno e centomila che Il fu Mattia Pascal), ma non i drammi, potrebbe suggerire l’ipotesi che sia il linguaggio teatrale a essere distante da giovani abituati ormai a un montaggio filmico e televisivo rapidissimo e non ai lunghi dialoghi sulla scena. Tuttavia, a disconferma di questa ipotesi, potremmo dire che quando ci è capitato di accompagnare fisicamente a teatro gli studenti, la risposta a questa esperienza concretissima è stata ben diversa dalla distanza e dalla noia della visione di uno spettacolo in tv o su Youtube, e anche le opere teatrali di Goldoni e Pirandello, che lasciano poco più che indifferenti alla semplice lettura in classe, trovano la loro rivincita.

3. Percezione del canone e della storia letteraria

Per unanime giudizio, ci sentiamo di affermare che il canone e la storia letteraria godono di buona salute. Addirittura, in qualche caso, affiorano commenti di sapore propriamente storicista. Naturalmente è facile obiettare che questa forma mentale venga instillata dall’impianto disciplinare che la scuola offre, ma non ci pare che anticipazioni (Montale subito dopo Leopardi/Dante) o percorsi di genere (I quadrimestre poesia/II quadrimestre prosa) producano risultati davvero migliori di quelli di chi si attiene al dato cronologico. Beninteso, non si prenda questa affermazione come una difesa della storia letteraria contro i percorsi per genere o tema. Non è di questo che si si tratta ora. Ci limitiamo a osservare e provare a interpretare quanto è emerso dalle risposte degli studenti quando li abbiamo sollecitati su questo argomento.

Il desiderio di affrontare autori e testi grandi e importanti è molto diffuso. Lo dimostra il fatto che i “tagli” spesso vanno legittimati: se un nome è assente dalla nostra programmazione o l’autore è stato affrontato in modo cursorio, il confronto con altre classi o altre scuole è immediato. Al netto del conformismo, questa è anche la spia del fatto che gli studenti percepiscono l’esistenza di una tradizione che ha una sua organicità e doverosità. Sono però anche perfettamente consapevoli del fatto che il nostro canone è troppo vasto per poter essere affrontato in modo esauriente e sentono, come noi, la scissione tra l’impulso di fare bene la letteratura di ciascun secolo e l’esigenza di non trascurare quella a noi più vicina, nella fattispecie quella novecentesca.

Osserviamo la stessa ambigua oscillazione nella preferenza accordata ad autori del passato remoto e del passato prossimo: se il linguaggio e i temi più vicini a loro li colpiscono senza alcun dubbio, non vorrebbero per questo tralasciare i grandi scrittori del passato, che anzi rappresentano per loro una certezza. In un certo senso è come se il processo stesso della ricostruzione storiografica, per il quale quanto più un evento si allontana da noi, tanto più ci è facile circoscriverne i confini, stabilirne il senso, fissarlo in una tabella di valori certo non immutabile ma comunque stabile, fosse qualcosa di istintivo. La tradizione è rassicurante. 

Un altro tratto caratteristico della storia letteraria che gli studenti colgono e spesso apprezzano è la possibilità di studiare gli autori come documenti di un’epoca, di una corrente o di un gusto. Nonostante apprezzino tagli inconsueti e poco scolastici, nonostante il primo movente del loro interesse per la letteratura sia la possibilità di trovare risposte alle proprie domande di senso, molti sentono anche la necessità di comprendere un autore in relazione al suo contesto storico, il suo esserne emblema o epitome. Nei testi non cercano solo se stessi, ma esplorano anche le molteplici forme dell’altro da sé:

Tutti gli scrittori fatti sono stati utili a comprendere in maniera più completa le diverse idee e le diverse epoche delle quali abbiamo parlato. Confrontare stili e pensieri anche molto diversi tra di loro ci ha permesso di avere un percorso letterario completo (Beatrice);

ci sono autori, argomenti o addirittura pensieri che non condivido e penso che mai condividerò, ma come faccio a giudicare quel pensiero se mi rifiuto di studiarlo o comprenderlo? (Elisa).

La dimensione storica dello studio della letteratura consente di cogliere un senso di evoluzione, sviluppo, cambiamento, in modelli e temi persistenti:

La cosa più bella del percorso letterario è stato proprio il poter vedere come il pensiero, la mentalità e la cultura italiana si sono evolute nel tempo e poter notare le differenze tematiche di due opere scritte in epoche diverse (Sofia).

Se quando si programma e quando concretamente si fa lezione l’insegnante presta attenzione a questo binomio persistenza/sviluppo, sono gli studenti stessi a rilevarlo spontaneamente: come fa chi afferma di aver apprezzato la figura della Lupa verghiana perché rovesciava secoli di rappresentazione femminile angelicata (dimenticando, però, la donna petra e Becchina).

Come già accennato, l’apprezzamento per il senso dello sviluppo storico può assumere persino un gusto prettamente storicistico, e intendiamo schietto storicismo ottocentesco:

per ogni conquista, così come per ogni fallimento, è necessario cercarne le motivazioni in ciò che è stato in un tempo già trascorso (Fiamma).

Il senso della continuità storica e il nostro essere immersi in essa, a dispetto della presunta presentificazione dell’orizzonte di senso delle nuove generazioni, sono sentimenti colti benissimo nella figura di Alfieri, il cui rifiuto del proprio tempo diventa una forma di impotenza all’agire in esso, compensata dall’eroismo solitario della scelta: 

[Alfieri] decide di mettere in primo piano se stesso, slegandosi da qualsiasi rapporto con la realtà e ponendosi fuori dal contesto storico. Ciò comporta un limite: vivere in una condizione a-storica nella quale egli è inetto, incapace di agire e soprattutto di comunicare; d’altro canto è una sorta di riscatto del sé, di riscatto dell’io e della sua eccezionalità individuale (Christian).

4. Il valore della letteratura

Il passo della letteratura è lento e posato. Richiede tempo e pazienza. La letteratura fa crescere ma a sua volta ha bisogno della sufficiente maturità come precondizione per un’adeguata fruizione. Osserviamo infatti, da parte dei ragazzi, una crescente consapevolezza del suo valore, parallela alla crescita personale. Alla fine del percorso scolastico, esprimono con parole molto belle e profonde il significato della letteratura per il loro percorso di crescita. Molti studenti, all’università, non studieranno materie umanistiche, perciò si rendono conto che la scuola superiore è l’ultima occasione che hanno per affrontarla con l’ausilio di una guida:

Gli studenti sono come Dante, si perdono in una selva oscura e hanno bisogno del loro Virgilio per uscirne (José).

Naturalmente identificazione e immedesimazione sono le prime molle che devono scattare: un riconoscimento di sé (psicologico, innanzitutto) nelle parole degli autori. Ma non si tratta di un semplice rispecchiamento: la letteratura è formalizzazione di quanto in loro è confuso, è oggettivazione e trascendimento di quanto credevano fosse solo ed esclusivamente loro, e che invece scoprono universale. Con la letteratura si capisce qualcosa di più di se stessi, nella forma della scoperta o della riscoperta. La letteratura è uno

strumento completo che mette i pensieri dell’individuo all’interno di forme (da quelle delle parole in sé a quelle del genere, della strofa, del capitolo…), e così li rende assoluti in modo che ogni lettore possa sentirli intimamente propri (Marta).

Ho colto questa opportunità cercando nelle opere dei grandi letterati quei casi capaci di portare fuori da me le condizioni esistenziali interne che da tempo cercavano non necessariamente una soluzione, ma una semplice spiegazione del loro essere e perché (Chiara).

Vedo la letteratura in generale come un modo per esternare i processi della propria mente, per riordinare i propri pensieri e sentimenti, vedendoli dall’esterno. […] Avevo bisogno anch’io di fare tutto questo, riordinare il flusso dei miei pensieri, capire meglio ciò che penso e trovare un senso di pace dal tormento che è vivere una vita di cui non si potrà mai sapere tutta la verità (Veronica).

Il rispecchiamento-trascendimento di sé può riguardare il classico tema dell’amore: 

più che un percorso di letteratura è stato un momento di profonda conoscenza di sé e di meccanismi (mi vengono in mente gli stadi dell’innamoramento [in Stendhal, Dell’amore, ndr]) che, seppure nel nostro piccolo, viviamo continuamente (Petra);

oppure la fatica di esprimersi, per chi al primo anno era sostanzialmente dialettofono, e ritrova il proprio sforzo di comunicare in modo chiaro e diretto in Saba:

Arrivare all’elaborazione di una poesia così “semplice” e chiara, capace di riproporre la rima “fiore-amore”, è una sfida ardua, ma io in questa sperimentazione ho rivisto la mia personale: trovare parole semplici che dicano con chiarezza ma con un impatto forte i miei messaggi, le mie verità. (Christian).

Tuttavia proprio il fatto che la scuola italiana non “usi” la letteratura come semplice mezzo per l’espressione di sé, ma attraverso il suo studio approfondito ed esteso spinga a dislocarsi, a cercare una qualche forma di oggettivazione del proprio sentire, che è poi dire una forma di intersoggettività, favorisce una consapevolezza anti-narcisistica:

Perché ho scelto questi scritti? Perché mi rappresentano: rappresentano me, il mio fisico, il mio stato d’animo, ciò che ho pensato più e più volte, solo o in compagnia, e credo che possano rappresentare il pensiero di molti, o quantomeno, di che ancora oggi hanno un cuore naturale. […] Ma ho paura che la fruizione che ho di questi dieci testi sia completamente scollata da una Valutazione oggettiva: e allora coglierò questa opportunità per cercare nella mia Valutazione qualcosa che sia valido per tutti, in qualche modo (Giuseppe).

Il fatto che la letteratura sia “per noi”, ma sia stata in passato “per altri”, simili e diversi da noi, è una consapevolezza ricorrente. Gli uomini e le donne del passato ci prefigurano:

Ciascun [autore] ha permesso a noi studenti del secondo millennio di confrontarsi con una realtà a volte assai diversa dalla nostra, altre volte già PREFIGURANTE RISPETTO ALLA società moderna. È stato possibile entrare in contatto con ideali, punti di vista differenti e accorgersi di quanto la società sia cambiata nel corso del tempo, ma nel profondo sia rimasta identica perché i problemi posti da molti intellettuali tempo fa ancora persistono (Valentina)

e possono insegnarci a superare noi stessi e a realizzare qualcosa che è ancora incompiuto. I testi del passato sono fondamentali per

giovani che si preparano a diventare uomini e donne consapevoli che le loro idee, che sono le stesse degli uomini di secoli fa, possono cambiare il mondo, anche se non subito, ma possono farlo (Emanuela).

Per questa sensibilità che possiamo definire certamente, anche se latamente, politica, sono molto apprezzati anche gli autori che affrontano tematiche civili e politiche sentite ancora attuali: Pasolini, narratori e poeti del ‘900 come Lussu, Primo Levi, Silone e Fenoglio. Ma anche il più lontano Machiavelli parla ancora:

All’inizio credevo che non sarei mai riuscita ad entrare nel profondo della questione e apprezzarla, considerando anche il mio scarso interesse per la politica; tuttavia mi sono resa conto che ciò che stavo studiando non era affatto lontano dalla realtà che mi circondava (Miriana).

Conclusione

In conclusione, lasciamo la parola a tre nostri studenti. Crediamo che nelle loro parole ci sia la miglior sintesi del senso del nostro lavoro.

La letteratura gira intorno all’uomo e ai suoi sentimenti, che nel tempo sono rimasti immutati nella sostanza ma hanno assunto infinite forme, differenti le une dalle altre. Si utilizzano proprio le parole perché hanno il potere di ordinare l’interiorità, che spesso risulta caotica e indecifrabile, e riescono a dare una forma a sentimenti astratti, come l’amore, il desiderio di esso e la paura di non essere amati, che ritroviamo in una quantità enorme di opere prodotte nel corso del tempo. Questa capacità delle parole mi spinge ad averne bisogno per dare vita a ciò che provo ma che non comprendo, e mi aiuta ad entrare ed uscire in mondi e personaggi che non hanno nulla a che fare con me, per farmi costantemente ricercare il posto più adatto a me. La letteratura e la scrittura permettono di scomporre la realtà, e la nostra visione di essa, a piacimento, per poi ricostruirla su un foglio di carta tramite le parole, creando un piccolo mondo in cui possiamo essere qualunque cosa. Dobbiamo essere però in grado di distinguere realtà e finzione, mantenendo gli elementi positivi di una nell’altra dimensione. […] Questo percorso mi ha permesso di trovare tanti personaggi e “luoghi” in cui “rifugiarmi” e dai quali imparare a stare al mondo, quello reale. Penso che abbia contribuito alla mia crescita personale e mi abbia aiutato a coltivare passioni che non avrei mai pensato di possedere (la scrittura e la poesia in particolare), tanto che mi è balenata l’idea di fare lettere moderne (idea ancora presente ma poco considerata) (Davide F.).

C’è stato un periodo […] in cui consideravo la letteratura come altre materie scolastiche, in cui il mio obiettivo era sostanzialmente raggiungere un buon voto, soddisfacendo semplicemente ciò che mi veniva richiesto. Non riuscivo quindi a dare di più, a causa del poco interesse che prestavo alla letteratura. […] Per superare tutto ciò, mi sono quasi obbligato ad andare avanti e a leggere sempre più testi, in modo tale da essere preparato. Con la lettura di Dante, però, ho capito veramente l’importanza della letteratura a livello soprattutto personale, individuale, e non solo strettamente scolastico. Il mio obiettivo quindi è cambiato: leggere e analizzare i testi letterari è diventata una cosa che prima di tutto deve far contento me stesso e soddisfarmi, mentre solo in secondo luogo avrebbe dovuto contribuire a un buon rendimento scolastico. Nel leggere la Divina commedia in classe, seguendo le lezioni, sono riuscito ad appassionarmi davvero e ciò era dimostrato dal fatto che tornando a casa, il pomeriggio stesso, avevo voglia di metterci impegno, riprendere ciò che era stato spiegato in classe e studiare. Penso che, essendo riuscito a non vedere più la letteratura come un peso o un dovere, io sia stato in grado di amarla e interessarmene sul serio. Cominciando a leggere i testi con mente più aperta inoltre ho capito che su ogni strofa, su ogni verso di un’opera ci si potrebbe soffermare ore, poiché in essa c’è molto di più di quello che si legge, soprattutto in un’opera come la Divina Commedia (Davide S.).

La letteratura è uno degli strumenti di conoscenza dell’uomo più efficaci che siano mai esistiti. Non importa la lingua, la forma, il contenuto, la data a cui risale l’opera letteraria: in un modo o nell’altro, le parole dell’autore diventano anche le nostre, cioé possiamo trarne qualcosa di significativo ed associarlo a delle emozioni o esperienze che stiamo vivendo, anche se apparentemente non hanno nulla a che fare con quanto espresso dallo scrittore.

Tra i testi che abbiamo letto in classe, molti sono stati in grado di sfiorare i tasti più sensibili del mio io, in particolare quelli legati agli aspetti più oscuri dell’esistenza, quali il dolore, la ricerca di qualcosa di positivo e di certo nei meandri dell’anima umana e, in generale, di ciò che a voce è quasi impossibile esprimere. Spesso, quando siamo in sofferenza, tendiamo infatti ad estraniarci da tutto ciò che ci circonda: di conseguenza, cadiamo nell’errore di nascondere il nostro tormento, per paura di non essere compresi dagli altri o, alla peggio, di essere derisi per la propria fragilità.

Qui fa il suo ingresso la letteratura, grazie alla quale scopriamo che alcune emozioni che pensavamo di aver provato solo noi, in realtà sono più comuni di quanto credessimo e, tutto d’un tratto, la solitudine scompare: non ci sentiamo più in colpa per non riuscire ad essere felici e le pagine dei libri che ci capitano tra le mani fungono da rifugio, permettendoci di abbandonare, almeno momentaneamente, la nostra corazza. Inoltre, quando leggiamo di un’esperienza molto simile alla nostra, siamo spinti ad empatizzare con l’autore: quest’ultimo non è quindi solo una spalla su cui piangere, ma diventa, allo stesso tempo, un amico da consolare (Nadia).

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