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Perché ho firmato l’appello per la scuola pubblica. Il dibattito sull’Appello sulla scuola pubblica/8

 Ho firmato l’Appello, perché mi pare molto condivisibile in tutte le sue parti, anche in quella relativa alle competenze: è infatti innegabile che il senso attribuito alla didattica per competenze da chi ha riflettuto e sperimentato nell’ottica di una fattiva e critica ricerca-azione, come il gruppo di ricerca COMPITA, di cui faccio parte, NON È lo stesso con cui viene intesa dalla stragrande maggioranza dei colleghi e dalle stesse indicazioni ministeriali: di fatto si invita a un “laboratorialismo” sciatto e privo di contenuti, esaltando pratiche “innovative” e chiaramente non efficaci, regalando l’illusione che basti montare un power point e accostare senza connettere una slide all’altra per costruire un percorso di senso. La saldatura, semplicistica eppure prevalente, tra didattica per competenze-animazione digitale-fatevoistudenti ha prodotto risultati devastanti, creando una artificiale e teoricamente infondata frattura tra didattica delle discipline e didattica per competenze: infatti, di fronte al dilagare di “percorsi laboratoriali” improvvisati e improbabili, privi di rigore scientifico e di riflessione critica, molti docenti sono corsi a recuperare la lezione frontale e i manuali più antichi ancora in circolazione.

Inoltre la Buona Scuola ha promosso l’alternanza scuola-lavoro nei licei e penso che essa vada abolita. Il fatto che ci siano qua e là esperienze positive non stupisce: a fronte di un lavoro immane svolto da decine di colleghi e di un cospicuo impiego di risorse anche economiche, qualche risultato di pregio è auspicabile! Ma l’impatto sulla didattica di questo immane movimento di studenti, per una enorme quantità di ore, è stato a mio avviso molto negativo: gli studenti migliori sono penalizzati e vivono con significativa ansia la compresenza di una molteplicità di impegni, i mediocri razzolano qui e lì barcamenandosi tra giustificazioni e assenze e procrastinando ulteriormente un serio e costruttivo impegno scolastico – e sono i più penalizzati-. L’attività di pianificazione didattica è saltata, ma non è variato il numero delle verifiche e la loro qualità: l’asse dell’azione si è quindi spostato sull’aspetto valutativo, con serio detrimento di un efficace e sensato dialogo educativo. Inoltre le tante attività didattiche proposte dalle diverse scuole in orario extrascolastico – dal teatro, alle visite artistiche, ai circoli di lettura, ai cineforum- hanno visto una grave flessione delle presenze per il semplice fatto che i ragazzi non hanno più tempo. Inutile dire che, laddove l’alternanza scuola-lavoro è utile e ha un senso, in scuole che non siano licei, essa si faceva già da tempo e con eccellenti risultati.

Infine ciò che mi ha convinto a firmare è stato in realtà il tono appassionato dell’appello, che certo avrebbe potuto essere più conciso, più misurato: vi traspare invece una passione che non è affatto restaurativa e di lode del passato, né tanto meno mi pare si possa definire “regressiva” o “individualistica”, come pure da alcuni è stato detto; ci ho sentito un chiedere la parola, un desiderio di riaprire un dibattito, uno spazio di riflessione nel quale si possa finalmente essere presenti come parte attiva.

Smettiamo di farci dettare l’agenda.

La scuola deve creare bisogni, non recepire passivamente quelli creati da altri, altrove.

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