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diretto da Romano Luperini

Bagni 20150417 0073

Scuola. Si poteva fare peggio?

 Concorso

Si poteva sperare che a fronte dei tanti nuovi problemi con cui le scuole sono state chiamate a fare i conti in questo inizio d’anno segnato dall’avvento degli albi territoriali, delle candidature dei docenti e delle chiamate dirette, le scuole potessero vedere risolto (o almeno avviato a soluzione) quello del precariato. Si poteva sperare fosse l’anno buono per dare stabilità ai docenti e alle scuole, ma non sarà così. Non avevamo fatto i conti con l’incapacità dell’amministrazione centrale di organizzare un concorso minimamente serio – perché solo la serietà delle prove poteva giustificare la richiesta di ulteriori verifiche della preparazione di docenti pluriselezionati e abilitati a proprie (ingenti) spese, che hanno tutti i titoli per insegnare e lo fanno già da anni – che producesse una graduatoria di merito a cui attingere per coprire i posti mancanti. Invece abbiamo letto programmi concorsuali onnicomprensivi caratterizzati dal nozionismo di sempre; abbiamo sentito di prove svolte in condizioni logistiche e tempistiche del tutto inadeguate; sentito le denunce di molti candidati che hanno svolto l’orale prima di conoscere le griglie di valutazione; assistito alle dimissioni di intere commissioni per l’impossibilità di svolgere dignitosamente la propria attività nelle condizioni imposte; alla caccia ai commissari, spesso reclutati all’ultimo momento (in Liguria una candidata bocciata allo scritto si è sentita richiedere di essere commissaria per gli orali…). Il risultato è che invece di una selezione si è avuta una decimazione con oltre metà dei candidati che non hanno superato lo scritto: si stima che il concorso sarà vinto da poco più di 40mila dei 175mila candidati abilitati, da cui consegue che più di 21mila posti resteranno vacanti nel prossimo triennio. Inoltre per i ritardi nelle procedure delle commissioni il ruolo per molti dei vincitori slitterà di un anno da cui la necessità di attingere maggiormente alle Graduatorie ad esaurimento, e là dove sono già esaurite, ai supplenti. Il risultato finale di tutta questa situazione sarà la creazione di un’altra bella schiera di precari.

Strumenti di valutazione

Ci sono almeno tre punti che meritano di essere sottolineati. Il primo rimanda ad una prassi desueta nel nostro paese che è la valutazione degli strumenti di valutazione. Si leggono sui giornali giudizi sui quesiti dello scritto che lasciano allibiti. Si va da “assurdi” a “incoraggianti il dilettantismo”, con “l’infarinatura” che diventa più redditizia della conoscenza. Mediamente c’erano 18 minuti di tempo per la risposta online: una follia. Se noi insegnanti valutassimo i nostri alunni con questi metodi si farebbe prima a contare i sopravvissuti che i dispersi. Qui non è in discussione l’uso del concorso pubblico, e probabilmente il giudizio deve essere diversificato per le diverse classi di concorso e settori dell’istruzione, ma è indispensabile rivederne completamente la forma e i contenuti. a maggior ragione quando i candidati hanno tutti alle spalle percorsi lunghi e tortuosi di abilitazioni e anni di insegnamento.

Formazione e università

Secondo punto. Quest’anno si offre un’occasione importante: per ogni docente che passa di ruolo ce ne sarà uno della scuola che dovrà esserne il tutor. Un tale esercito di docenti, chiamati ad osservarsi confrontandosi su obiettivi, strategie, e metodi può riuscire a contaminare l’intera scuola spingendola verso una riflessività che non vi ha mai trovato lo spazio necessario. A questo punto avrebbe grande significato la collaborazione con l’università, nel senso di un’alleanza formativa giocata finalmente sul campo, in grado di far crescere, insieme agli insegnanti di domani, la scuola e l’università di oggi. Ma quando un concorso boccia metà dei candidati, in possesso di abilitazioni acquisite al termine di percorsi universitari che prevedevano prove preselettive e almeno due valutazioni, si boccia insieme ai candidati anche l’università e le scuole. E già qualcuno ventila la necessità di pensare ad altri soggetti, più affidabili, a cui affidare la formazione dei docenti. Nessuno che abbia sottolineato le difficoltà in cui sono state messe le università per gestire percorsi di specializzazione continuamente riformati senza aver mai attivato una seria riflessione nel merito; con ritardi gravissimi nell’attivazione dei percorsi e dei tirocini a causa della lentezza della macchina burocratica ministeriale.

Mobilità

Terzo punto. Sta dilagando l’ironia sugli insegnanti colpevoli di ignoranza e con l’unico desiderio del posto fisso accanto a casa. Da un lato si fa passare l’idea di un precariato fatto da giovani con capacità talmente modeste da non riuscire a raggiungere un posto stabile. Niente di più falso. A scuola ci sono certamente docenti inadeguati che dovrebbero fare altro, ma purtroppo ve ne sono tra i precari come tra i docenti di ruolo. L’unica differenza sostanziale è che i precari da anni sostengono le nostre scuole senza la certezza che la scuola sostenga il loro futuro. Sono quelli che arrivano per ultimi nelle scuole e per primi vengono licenziati appena il giorno dopo l’ultimo scrutinio. Quelli che molto spesso si prendono le cattedre fatte di spezzoni con orari pieni di buchi. Se hanno ancora qualcosa di giovane, sono i figli. Ma il precariato è un problema della scuola, non solo dei precari. Un collegio che abbia oltre il 30% di docenti non di ruolo ne assume la precarietà diventando incapace di progettare alcunché dalla primavera all’autunno successivo, altro che piani triennali. Dall’altro lato si vuol far credere che gli insegnanti rifiutano di trasferirsi. Le scuole italiane del Nord sono piene di docenti del Sud e delle isole che regolarmente subiscono gli attacchi di coloro che col pretesto di un ridicolo senso della purezza delle origini sentono le tradizioni territoriali “minacciate”. Gli insegnanti si sono sempre spostati in lungo e in largo per l’Italia nonostante questo significhi lasciare metà stipendio per le spese di mantenimento, e studenti e genitori questo lo vedono tutti i giorni tant’è che la scuola italiana, insieme a poche altre istituzioni, gode ancora della fiducia della maggioranza dei cittadini. Quello che dovrebbe invece essere sottolineato da tutti è il gravissimo errore politico di aver imposto fretta in procedure che sono sempre state delicate e che richiedono ben altra attenzione. Ne è conseguita la serie incredibile di errori che costringerà docenti con alti punteggi ed anni di esperienza a lasciare la propria regione mentre vi resteranno quelli che ne hanno meno; le assegnazioni provvisorie faranno sparire posti e certezze di lavoro di altri docenti, mentre conciliazioni, contenziosi e ricorsi ritarderanno probabilmente per mesi lo svolgimento regolare delle lezioni. Una volta tanto sarebbe bello che qualcuno fosse chiamato a rispondere di questo disastro che sta andando oltre ogni più pessimistica previsione.

NOTA

Una versione leggermente diversa di questo articolo è uscita sul sito del Centro di Iniziativa Democratica  degli Insegnanti. La versione originale dell’articolo può essere letta qui http://www.cidi.it/cms/doc/open/item/filename/1929/scuola-era-possibile-far-peggio.pdf.


 Fotografia: G. Biscardi, Assenze, Palermo 2015

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