Jean-Jacques Rousseau l’errante/ Letteratura e bisogni speciali 6
Una figura controversa e originale
Parlare di Jean-Jacques Rousseau non è mai una impresa semplice, è stato uno degli scrittori e filosofi più studiato e più discusso. Ancora oggi la sua opera è oggetto di pareri contrastanti e di furiose dispute: le accuse continuano a piovere sulla vita e l’opera di Jean-Jacques. Ad esempio secondo alcuni sarebbe all’origine del terrore giacobino, del totalitarismo staliniano secondo altri, sarebbe anche poco credibile sul piano umano ed educativo poiché confessò di avere lasciato i propri figli all’Istituto degli ‘enfants trouvés’. La figura di Rousseau è stata anche un punto di riferimento per molti repubblicani, socialisti e comunisti. Ha influenzato il romanticismo, si può dire che la sua opera anticipi le riflessioni della psicoanalisi sulle emozioni e l’inconscio. Fu un personaggio complesso e scomodo, pertanto, anche per molti suoi amici filosofi.
Jean-Jacques è un illuminista particolare: rivaluta le ragioni del cuore e pensa che sentimenti e ragione non debbano essere scissi od opposti; troviamo queste sue tesi nelle ‘Confessioni’ dove dimostra essere il fondatore moderno del racconto autobiografico come forma di presa di coscienza e di autoterapia. Afferma per la prima volta, con il suo libro L’Emile, che il bambino non è un piccolo adulto, che occorre saper prendere tempo e lasciarlo crescere nella ricerca e la costruzione di sé. Per Jean-Jacques educare vuol dire imparare l’arte di vivere e diventare uomo e cittadino. In molti dei suoi testi difende i ‘selvaggi’ dell’America mostrando quanto lo siano anche gli europei nelle diverse guerre che li oppongono gli uni agli altri. Nei suoi diversi Discorsi troviamo una critica radicale della società e delle sue diseguaglianze.
Rousseau, critica sociale ed eguaglianza
Rousseau è fra tutti i pensatori dell’Illuminismo quello che si è espresso in modo radicale sulla questione delle ingiustizie. La parola chiave di tutto il suo ragionamento è eguaglianza. Prima di Karl Marx, individua nella proprietà privata la fonte di tutti i guai dell’umanità e propone un nuovo contratto sociale dove libertà e responsabilità sociale vengono regolati dalla costruzione di una comunità repubblicana di eguali.
In questo Rousseau è senza dubbio il più rivoluzionario di tutti i pensatori dell’Illuminismo ed è anche un severo critico del lusso (anticipa la critica a quello che diventerà, con il capitalismo, la società dei consumi e delle spettacolo) e della società dell’apparire che non sopporta. Da questo punto di vista si può dire che, al contrario dei suoi colleghi filosofi (Diderot, D’Holbach, D’Alembert e Voltaire) è il più radicale critico della modernità e del progresso; le pagine di Rousseau sull’urbanizzazione, il traffico, la migrazione dalle campagne verso le città sono di una grande attualità di fronte ai disastri dell’ecosistema sociale e naturale provocati da un capitalismo selvaggio e senza regole. Rousseau si chiede anche se il progresso scientifico e tecnologico sia di per sé sufficiente per rendere la società più umana e l’essere umano più felice:
Siamo diventati migliori e più saggi per questo, sappiamo meglio quale sia la strada e quale sarà il termine della nostra breve carriera, ci accordiamo meglio per davvero ai primi doveri e ai veri beni della specie umana? Cosa abbiamo acquisito con tutto questo vano sapere se non litigi, odi, incertezza e tanti dubbi? Ognuno, ogni setta afferma essere l’unica ad avere la verità.
Libertà e potere
Jean-Jacques Rousseau fu odiato da Voltaire che non sopportava il suo carattere plebeo, il suo amico Diderot non comprenderà mai perché non accettasse la pensione che gli destinava il Re dopo aver sentito la sua opera musicale Les Muses galantes; in effetti Rousseau era un amante della musica (che aveva imparato ad apprezzare nei suoi viaggi in Italia) e finì per comporre due opere estremamente dignitose come Le Devin du village e, appunto, Les muses galantes.
Invitato a corte, per incontrare il re che vuole conoscerlo, rifiutò. Denis Diderot si precipitò a casa sua per convincerlo di accettare ma lui rifiutando la pensione reale scrisse:
Addio la verità, la libertà, il coraggio? Come si potrebbe parlare allora di indipendenza e di disinteresse? Dovrei ormai solo lodare e tacere pure di ricevere la mia pensione? Ho dunque creduto, di rinunciare, per essere coerente con i miei principi e sacrificare così l’apparenza alla realtà.
Sappiamo che questo atteggiamento di assoluta libertà non sarà visto bene non solo dai suoi nemici, ma anche da uomini come Voltaire che finirà per accumulare ricchezza e per scendere a compromessi con Federico II di Prussia; lo stesso Diderot finirà per essere attratto da Caterina II di Russia. Jean- Jacques, invece, non si piegherà mai, rimarrà un libero plebeo e repubblicano fino alla fine.
Religione e senso dell’altro
Jean Jacques combatteva la superstizione, l’intolleranza e il potere secolare della Chiesa ma era credente, credeva in una forma di divinità e in uno spirito collegato all’universo e alle grandi anime del passato. Vedeva nella natura e nella sua armonia la prova di questo grande mistero e di questo grande disegno che l’uomo possiede se sa ascoltare la propria anima e se sa far vibrare la poesia del proprio cuore. Pur considerando la ragione critica una delle qualità principali dell’essere umano, non respingeva l’esistenza di un mistero nell’universo; a modo suo era credente e veicolava una forma di panteismo respinta da alcuni dei suoi amici atei e materialisti.
Di fronte al pessimismo dei suoi amici filosofi sull’essere umano, opponendosi alla visione negativa dell’uomo di Hobbes che finisce per giustificare la necessità della monarchia assoluta e della repressione, Rousseau ha una visione ottimistica e positiva delle potenzialità naturali dell’essere umano. Egli pensa che siano le istituzioni politiche e sociali che corrompono l’uomo e lo fanno diventare cattivo attraverso la competitività, l’individualismo, il narcisismo e l’apparenza.
Riteneva anche che un’educazione che faccia leva sulla bontà innata del bambino e sul suo sviluppo naturale possa creare le condizioni per una umanità migliore. Educare vuol dire per lui emancipare la persona, metterla nella condizioni di diventare cittadino consapevole e di accedere alla propria umanità. Contrariamente a quello che Voltaire ha voluto far credere, Jean-Jacques considera la relazione con l’altro fondamentale nella formazione della personalità umana. Basta leggere Les Confessions per capire che per Rousseau l’Io si crea nell’esperienza relazionale e che l’altro è in fondo dentro di noi; spiegherà che è proprio nella relazione che impariamo a diventare noi stessi ed a riconoscerlo come altro, insieme simile e diverso da noi. Anzi è la base dell’apprendimento del sentimento dell’eguaglianza cioè del fatto che l’altro è un altro Io diverso da me, cioè sente come me ma lo esprime a modo suo.
Thérèse
Molti dei suoi conoscenti dei salotti parigini non capivano perché portasse con sé la sua ‘compagna’ Thérèse Levasseur, una lavandaia analfabeta. Agli occhi dei tanti era scandaloso per due ragioni, da una parte perché il filosofo non poteva stare con una analfabeta popolana e dall’altra perché si mostrava in pubblico con lei senza essere sposato (cosa che Jean-Jacques farà alla fine della sua vita come riconoscimento nei confronti della donna che era stata con lui durante tutta la vita, anche nei momenti difficili delle persecuzioni). Basta leggere quello che scrive su Thérèse nelle Confessioni, per rendersi conto del rispetto affettuoso che avesse per lei:
Questa persona che sembra limitata, anche stupida se vogliamo, è tuttavia una eccellente consigliera nelle occasioni difficili. Spesso in Svizzera, in Inghilterra, in Francia, nelle catastrofi in cui mi trovavo ha visto sovente quello che non vedevo e mi ha dato dei pareri da seguire; mi ha spesso evitato i peggiori pericoli verso i quali mi precipitavo ciecamente.
Rousseau tra anomalia genetica e disordini psichici
Ma chi era veramente Jean-Jacques Rousseau? Un pazzo? Un fanatico? Un paranoico? Un falso? Un malato? E’ impressionante vedere come certe dicerie e l’odio abbiano inseguito la figura di Rousseau fino ad oggi e colpisce che le cose dette su di lui per ferirlo e distruggerlo, da parte di ‘amici’ e ‘nemici’, continuino ad essere proposte oggi, a distanza di 250 anni!
Jean-Jacques Rousseau soffriva non solo psicologicamente, ma anche fisicamente; sappiamo dagli studi che aveva la porfiria acuta intermittente, cioè un difetto di uno specifico enzima (in genere ereditario, un’anomalia genetica) che gli provocava grossi dolori addominali con nausea e vomito che a volte si presentava anche con convulsioni che provocavano talvolta una specie di paralisi motoria. Rousseau ebbe la sua prima grossa crisi all’età di 24 anni e soffrì di questi attacchi in modo discontinuo. A queste manifestazioni fisiche si aggiungevano i disordini psichici che si aggravarono con il tempo (angoscia, insonnia, squilibrio mentale). Si sa anche che soffriva di una sindrome neurologica seria che si manifestava anche con difficoltà motorie parziali e disturbi sensoriali, in particolare a livello uditivo:
Nell’impossibilità di scrivere in cui mi mette un gran mal di stomaco (…). Ho avuto dei forti dolori ai reni che mi hanno costretto a lavorare tutto il giorno e la notte in piedi (…). Il rumore interno era così forte che mi tolse la finezza nell’udito che possedevo prima, e mi ha reso, praticamente sordo. Questo ronzio non mi lascia più da almeno vent’anni.
Jean-Jacques Rousseau soffriva di incontinenza sfinterica, di crisi epilettiche con delle convulsioni talvolta così forti che lo costringevano a stare in una condizione di torpore per un certo tempo; sono descrizioni di Bernardin de Saint-Pierre che lo accompagnò nei suoi ultimi anni. Come scrive lo studioso francese Charles Gardou:
Rousseau fa parte di quei personaggi considerati come casi clinici notori, che hanno sempre provocato la curiosità dei medici, psichiatri e psicoanalisti, che non sono mai riusciti a mettersi d’accordo su una diagnosi precisa. Ha suscitato i verdetti più vari: malinconia, lipemania (cioè sindrome da melanconia depressiva), psicopatia, nevrosi o paranoia e forma combinata di delirio (…) con disturbi cerebrali di origine uremica, neurastenia spasmodica ossessiva con disturbi uditivi associati, psicastenia con omosessualità latente, con ossessioni e reazioni isteriche e delirio tossico.
Secondo alcuni alienisti come Paul Sérieux e Paul Capgras soffriva di un ‘delirio d’interpretazione e di persecuzione’ paragonabile a quello di cui era affetto August Strinberg. Cesare Lombroso, lette Le Confessioni, dichiarò che Rousseau soffriva di follia da lipemania.
Non c’è dubbio che Rousseau fosse ipocondriaco. Lo confessa lui stesso in modo esplicito scrivendo:
Lungi dall’essere sorpreso di essere morente, lo ero ancora di più nell’essere vivo; non potevo leggere la descrizione di una malattia che subito non diventasse mia (…). In ogni malattia trovavo i sintomi della mia e credevo averle tutte
e ancora annotava:
Sono due mesi che il mio stato cambia continuamente a vista d’occhio (…). Quando mangio la deglutizione mi è penosa; è come se l’ingresso del mio stomaco fosse troppo stretto. A questo si aggiungono le palpitazioni (…). Ogni notte ho la febbre, un gran mal di testa, e dei ronzii nelle orecchie (…). Soffro d’insonnia, ormai ho perso il sonno da almeno vent’anni.
Jean-Jacques resiliente
Ma Jean-Jacques trasforma l’esperienza della malattia e del dolore con la parola e la presa di coscienza tramite la scrittura; il racconto lo aiuta a gestire il male ed a trasformarlo in una leva interiore per comprendere meglio se stesso e l’altro, per indagare la condizione umana e compiere un lavoro di introspezione.Non amava i medici e non aveva grande fiducia nella medicina. In questo senso si può dire che Rousseau era un resiliente che fece della scrittura e della narrazione uno strumento di autoanalisi e di autocura permanente che ancora oggi possono essere utili ad altri uomini che si riconoscano nel suo racconto. Rousseau non nasconde le sue contraddizioni, le sue lacerazioni, le sue ambivalenze, anzi vuole che sia così poiché afferma di voler mettersi a nudo davanti a tutti. Per esempio, è dalle sue Confessioni che sappiamo che avrebbe abbandonato i figli anche se non si è mai riusciti a trovare tracce o documenti della loro esistenza; potrebbe anche essere una sua invenzione ed una sua provocazione.
Talvolta Rousseau che soffriva così tanto nel corpo e nell’anima dimostra della durezza verso chi è disabile e ammalato e in altri momenti esprime esattamente il contrario. Jean Starobinski, in un libro dedicato a Rousseau, dirà che aveva una struttura sado-masochista e scrive:
Il lamento doloroso del malato s’inverte qui nel suo contrario, secondo una perfetta complementarità, per diventare fredda e crudele verso i più fragili fisicamente. Il disprezzo per la debolezza diventa un motivo supplementare per rammaricarsi per una esistenza segnata dalla malattia. Al di là del piacere che Rousseau poteva provare nel ferire e nell’essere ferito, possiamo ammettere che la sua fragilità fisica, questa sua malattia, lo portava ad un ideale di salute che gli mancava.
Un uomo errante
Eppure Jean-Jacques sapeva entrare in empatia con il povero, l’oppresso e la persona in difficoltà con la quale riusciva ad immedesimarsi e lo fece continuamente nella sua opera. Ma da dove gli veniva questa forza di vivere e di superare se stesso nonostante questa sua fragilità? Dalle Confessions emerge che persino la sua nascita fu un evento traumatico:
Sono nato infermo e malato; sono costato la vita a mia madre e la mia nascita fu la prima delle mie disgrazie (…) Sono nato quasi moribondo, nessuno sperava di conservarmi. Portavo il germe di una incomodità che gli anni hanno rinforzato e che adesso mi lascia talvolta respirare, ma per farmi soffrire ancora più crudelmente in un altro modo. Una sorella di mio padre si prese talmente cura di me che mi salvò.
In questo passaggio Rousseau dimostra di essere un anticipatore delle tesi psicoanalitiche di Otto Rank sul trauma della nascita. Prosegue, poi, il suo racconto narrando di essere stato picchiato da ragazzo da un pastore al quale era stato affidato da suo padre; maltrattato, l’adolescente Jean-Jacques fugge per girare la Francia lasciando Ginevra, la sua città natale. Vagabonda per le strade di Francia e anche d’Italia e vive esperienze che lo formano e lo proiettano verso Lione, Torino, Venezia e finalmente Parigi. Questo suo errare alla ricerca di se stesso e alla scoperta del mondo sarà un momento decisivo della sua esistenza, sarà un apprendimento all’autonomia e alla libertà.
In quegli anni, che sono anche quelli della formazione e dell’incontro con Mme di Warens (più grande di lui) che lo educherà in tutti i sensi, compreso quello affettivo e sessuale, legge molto: Fontenelle, Plutarco, Voltaire, Platone, Le Sage, Tacito ecc… Impara anche la musica e sarà sempre riconoscente all’Italia per avergli suscitato questa passione, al punto che scriverà musica, cosa che gli costerà fatica ma che farà per tutta la vita vivendo del suo piccolo e misero stipendio di copista di partizioni musicali.
Nei suoi viaggi incontra ricchi e poveri, ma lui che si sentiva ‘popolo’, come amava dire, s’indigna rapidamente per la condizione di oppressione nella quale vive il contadino. Nelle Confessioni descrive il suo incontro con un povero contadino che lo accoglie nei pressi di Lione e che lo accoglie e gli offre da mangiare ma rifiuta il suo denaro. Questo incontro lo segnerà e la sua fede nell’eguaglianza diventerà inflessibile:
Tutto ciò che mi disse sulle tasse e di cui non avevo assolutamente idea, mi fece una impressione che non si è mai cancellata dalla mia mente. Fu il germe di quell’odio inestinguibile che si sviluppò nel mio cuore contro le vessazioni che subisce il popolo infelice e contro i suoi oppressori (…) mentre la nobile immagine della libertà mi innalzava l’anima, quella dell’eguaglianza, dell’unione, della dolcezza dei costumi e dell’amicizia mi toccava fino alle lacrime (…) Nel popolo, dove le grandi passioni parlano solo saltuariamente, i sentimenti della natura si fanno più spesso sentire. Negli strati più elevati, sono assolutamente soffocati, e sotto la maschera del sentimento parlano esclusivamente l’interesse e la vanità.
Gli incontri di Rousseau
Non si è abbastanza rilevato quanta importanza Rousseau attribuisce ai suoi incontri con persone umili. Certo è che sia nella sua corrispondenza che nei suoi scritti autobiografici troviamo le descrizioni dei suoi incontri con Diderot, Grimm, D’Holbach, Condillac e Rame, troviamo le sue valutazioni, ma vi sono anche tante osservazioni sull’influenza che hanno avuto su di lui persone anonime, persone umili come il contadino, la lavandaia oppure il giardiniere di Mme de Warens che lo introdusse alla passione per la botanica. Basta pensare anche alla descrizione che fa del suo incontro, appena arrivato a Parigi, e della sua provvisoria convivenza con lo spagnolo IgnatoEmanuel de Altuna:
Non ho mai conosciuto una persona tollerante come lui. Non s’informava mai su nessuno e su come le persone la pensavano in materia di religione. Che il suo amico fosse ebreo, protestante, turco, bigotto, ateo, a lui non importava, dal momento che era un uomo onesto (…). Quando si trattava di religione e anche di morale, si raccoglieva su se stesso e taceva, o diceva semplicemente: ‘sono responsabile solo di me stesso.
Durante il suo errare fa anche la conoscenza di un sacerdote greco con il quale parla latino e italiano, poi decide, dopo avere conosciuto un armeno, di vestirsi come lui per commodità con un abito lungo (cosa che gli provocò la derisione degli abitanti di Motiers che lo aggredirono per questo ed anche per la condanna subita da parte della Chiesa per i suoi scritti).
Solo un nome
Il vagabondare di Rousseau diventerà a causa delle persersecuzioni, una fuga continua; diventerà un nomade, un senza patria e questo lo porterà a considerare il cuore umano come l’unica patria vera. Rousseau incontra l’altro come un esploratore nei suoi diversi viaggi ed il suo modo di osservare è quello di un anticipatore dell’antropologia: un uomo aperto all’incontro con l’altro e sempre in dialogo con se stesso. Claude Lévi-Strauss scrive a proposito di Jean-Jacques, l’unico filosofo dei lumi che veniva chiamato con il suo solo nome (segno che erano in tanti, soprattutto nel popolo, a sentirlo prossimo, fratello, amico dell’umanità sofferente):
Rousseau il più etnografo di tutti i filosofi: se pure non ha mai viaggiato in terre molto lontane, la sua documentazione era alquanto completa per un uomo del suo tempo, e la rendeva viva– a differenza di Voltaire – con una curiosità piena di simpatia per i costumi dei contadini e il pensiero popolare; Rousseau il nostro maestro, Rousseau il nostro fratello, verso cui si è dimostrata tanta ingratidune, questo omaggio non è indegno della tua grande memoria.
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