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Leopardi pedagogo/Letteratura e bisogni speciali 2

L’egoismo è sempre stata la peste della società e quanto è stato maggiore tanto peggiore è stata la condizione della società. (G.Leopardi)

Tra malattia e sofferenza psicologica

Giacomo Leopardi (1798-1837) è uno degli autori che si incontra a scuola, noto per le sue posizioni originali tra classicità e romanticismo, razionalismo e poesia, filosofia e moralismo. Si leggono alcune delle sue poesie, un po’ meno le sue riflessioni di ordine storico-filosofico. Rileggendo Leopardi da un punto di vista pedagogico si può affermare che dimostrò che la fragilità non è un impedimento per apprendere ed esprimere il proprio potenziale ma, al contrario, è spesso uno stimolo per intraprendere delle vie inedite ed originali. In fondo l’indicazione che egli fornisce oggi agli insegnanti e gli educatori è quella di sapere scoprire un tipo di sviluppo originale nell’eterotipia, di andare a caccia di risorse e non di ‘comportamenti problemi’. Si sa che Leopardi non ha avuto una adolescenza semplice, anzi che fu piuttosto difficile, al punto che Benedetto Croce parlò di ‘vita strozzata’. Ma strozzata da cosa? Sappiamo oggi che soffriva di gravi disturbi alla spina dorsale; si dice che fosse stato colpito da una grave malattia infettiva alla colonna. Si parla del morbo di Pott; una spondilite tubercolari; il bacillo di Koch (microbatteri all’origine della tubercolosi) si colloca nelle vertebre provocando forti dolori alla schiena, alla gambe e alle braccia. Questa patologia di cui sembra fosse affetto Leopardi produce artrite, deficit di tipo neurologico e anche l’annebbiamento della vista. Febbre, scarso appetito, debolezza, gobba (dovuta alla deviazione della colonna), la bassa statura nonché forme d’asma e dì edema polmonare ne sono i sintomi. Leopardi, come Antonio Gramsci e Alberto Moravia dopo di lui, soffriva di questa grave patologia che condizionò tutta la sua esistenza. Soffriva anche di una seria forma di malattia oculare; un forma di oftalmia cronica con periodi di dolorose riacutizzazioni che lo costringevano a fuggire dai luoghi troppo illuminati. Questo ultimo disturbo fu sicuramente il suo tormento maggiore poiché v’erano momenti in cui non poteva leggere e scrivere a causa della perdita della vista. Nei momenti più acuti Leopardi affermava essere come “un tronco che sente a pena”. Non a caso nelle Operette morali (1824) troviamo una visione molto negativa della condizione umana la cui particolarità era, per l’appunto, la sofferenza sia fisica che psichica; il senso del Nulla, della Noia e della morte domina ed è molto presente in molte pagine della sua opera. Per Leopardi la natura soggioga l’uomo che s’illude di poterla controllare con la scienza; quest’ultima non fa che peggiorare le cose. Paradossalmente Leopardi trova nella sofferenza che vive anche a livello affettivo (l’autoritarismo del padre Monaldo e l’assenza di affettività di una madre distante) la fonte stessa della vita e dell’esistenza spirituale dell’uomo. Fin da bambino si butta in modo quasi ossessivo (anche perché il padre lo esibiva spesso come un ‘piccolo genio’, cosa che Giacomo detestava) nello studio e si costruisce leggendo nel testo gli autori greci e latini (in particolare Lucrezio e Epitteto), studia anche le lingue moderne (francese, spagnolo) e anche l’ebraico e il sanscrito. Il piccolo Leopardi soffre anche di depressione e dell’isolamento di Recanati. Appena ne avrà la possibilità lascerà il luogo di nascita per girare l’Italia da Milano e Napoli passando per Firenze, ma senza mai trovare la pace interiore. La sofferenza diventa un tratto della sua personalità ; lo spinge ad interrogarsi sull’esistenza e la condizione umana; precede gli esistenzialisti; alla differenza di Blaise Pascal e Soren Kierkegaard, che vissero situazioni di sofferenza e malattia, il suo pessimismo esistenziale non ha nessuna connotazione religiosa e si sviluppa come una riflessione razionale e storica dell’esistenza dell’umanità. In una nota dello Zibaldone (n.3551) scrive:

Nè v’è stato intermedio, come si crede, tra il soffrire e il godere; perché il vivente desiderando sempre per necessità di natura il piacere, e desiderandolo perciò appunto ch’ei vive, quand è non gode, ci soffre. E non godendo mai, né mai potendo veramente godere, resta ch’ei sempre soffra, mentre ch’ei vive, in quanto ci sente la vita: chè quanto ci vive, in quanto ci sente, non soffre, come nel sonno, nel letargo. Ma in questi casi ei non soffre perché la vita non è sensibile, e perché in certo modo ei non vive. Nè altrimenti ei può cessare o intermettere di soffrire, che o cessando veramente di vivere, o non sentendo la vita, ch’è quasi come intermetterlo di esser vivente. In questi soli casi il vivente può non soffrire. Vivendo e sentendo di vivere, ei nol può mai; e ciò per propria essenza sua e della vita, e perciò appunto ch’egli è vivente, ed in quanto egli è tale.

Tra scrittura della condizione umana e visione del molteplice

Vita e sofferenza sono per Leopardi un tutt’uno; non esiste nessuna vita senza sofferenza, questa non esiste senza la vita e anche il piacere che provoca si muta in sofferenza. Leopardi anticipa le riflessioni di Georges Canguilhem sul normale e il patologico, cioè che non v’è nulla di assolutamente sano e di assolutamente patologico. La concezione materialistica che ha Leopardi dell’esistenza umana come processo vitale in continua trasformazione è anche fatto di tante contraddizioni e di una dialettica continua tra vita e morte. Scrive : “la morte non è male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti, e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte e desiderano la vecchiezza”. Per Leopardi il confine tra salute e malattia è un confine molto relativo soprattutto nella vita dell’organismo che deve continuamente fare i conti con il dolore ma anche con un processo d’invecchiamento che costituisce la condizione umana. Leopardi sviluppa una visione pessimistica delle cose, non ha una grande fiducia, esattamente come Jean Jacques Rousseau, nell’essere umano e osserva con scetticismo critico l’avanzare della ragione scientifica e strumentale che ha la pretesa di controllare la natura. Leopardi ha un rapporto di odio-amore verso la natura che considera da un lato piena di ricchezza ma anche aggressiva; aggressività che vive tramite la malattia. Il suo rapporto con la ragione è dialettico; usa la ragione critica che produce pensiero ma rifiuta la ragione tecnologica che riduce il vivente ad un numero. Eppure Leopardi fa della sua debolezza un punto di forza; si potrebbe fare per lui quello che il filosofo francese Alexandre Jollien, diagnosticato come ‘insufficiente cerebrale motorio’, ha chiamato ‘l’elogio della debolezza’. L’idea che l’essere umano ha sempre delle risorse da attivare e che l’avversità stessa rappresenti una opportunità per crescere e intraprendere una via originale e creativa ha una importanza decisiva per chi si occupa di educazione e di processi di apprendimento a scuola e anche fuori. Si può dire che la vita e il pensiero di Leopardi hanno una valenza pedagogica in quanto dimostrano che quello che sembra un problema o un ostacolo possono diventare una leva originale per fare un salto nel processo di sviluppo sia a livello individuale che collettivo. La concezione leopardiana molteplice del processo di vita sociale, storico e naturale lo porta a mettere in evidenza come il nostro sguardo sia spesso autoreferenziale e non riesca a cogliere la grande varietà delle forme e dei punti di vista. Leopardi che, a causa della malattia, era diventato ‘disabile’ parla di questa varietà e della relatività degli sguardi a proposito della disabilità. Scrive a questo proposito nello Zibaldone:

Straordinario, ed apparentemente, più che umana facoltà e potenza che i ciechi, o nati i divenuti, hanno negli orecchi, nella profondità del pensare, nell’apprender la musica ed esercitarla e comporne ecc. Similmente dei sordi nell’attenzione, nella contenzione e concentrazione del pensiero, nell’imparare cose che paiono impossibili ai sordi nati, fino a leggere e scrivere, a parlare fors’anche ecc, come nelle scuole dei sordi muti. Le quali straordinarie potenze delle parti morali, che si scuoprono nell’uomo per la sola forza delle circostanze, e talora in un individuo medesimo che dapprima non le aveva, come in uno divenuto cieco a una certa età ecc…; sono analoghe , altrettanto straordinarie, delle parti fisiche, occasionate pur dalle sole circostanze, e che in tanto si credono possibili fisicamente all’uomo in quanto solamente si vede in fatti, qualche individuo che per forza delle sue circostanze, è giunto a possederle come quello che nato senza braccia suppliva co’ piedi a tutte le funzioni delle mani, fino alle più squisite: delle quali potenze niuno pure immagina che l’uomo e le rispettive sue parti morali o fisiche sieno in alcun modo capaci, se non vede e non conosce i fatti uno per uno per uno (1823).

Leopardi dimostra qui, probabilmente partendo anche dalla propria condizione personale, di avere colto che il deficit e la disabilità non sono un ostacolo per lo sviluppo delle capacità umani, anzi costituiscono una opportunità per praticare un modo originale d’imparare. Il poeta recanatese anticipa di cent’anni le considerazioni che farà Lev Vygotskij sui meccanismi compensativi e la zona di sviluppo prossimale: le capacità e le potenzialità umani sono colme d’inventività anche in presenza di una deficit che, secondo il senso comune, rappresenta un ostacolo. Tutto è relativo e molteplice; quello che per qualcuno è normale non lo è per qualcun altro; i veri ostacoli vengono dalla società e dal come si costruiscono i rapporti umani. Le norme sono relative al contesto culturale e storico in cui si vive; sono delle costruzioni e rappresentazioni che gli uomini hanno e si fanno delle cose. Per esempio cos’è che definisce ciò che è bello o ciò che è brutto?

Ciascuno è in grado di giudicar brevissimamente da se stesso, se il bello e il brutto possa mai essere assoluto. Consideriamo astrattamente la bruttezza di un uomo il più brutto del mondo. Che ragione ha ella in se per essere bruttezza? Se tutti o la maggior parte degli uomini fossero così fatti , non sarebbe bellezza? Così discorro d’ogni altro genere di bello o di brutto. Come quello che è schifoso per noi, non è schifoso per se stesso, e ad altro genere di esseri, o di animali, può riuscire e riesce tutto il contrario; come nessun sapore né odore ecc è spiacevole o piacevole per se e per essenza, ma accidentalmente, così nessuna bellezza o bruttezza è tale per se, ma rispetto a noi, ed accidentale, e non inerente in alcun modo all’essenza del subbietto.

Troviamo in Leopardi una filosofia della molteplicità che mostra che niente è centro e che siamo contemporaneamente tutti centro e periferia; dipende dal luogo, dall’epoca e dal punto di vista. Il riconoscimento delle differenze non vuol dire per Leopardi sposare una logica differenzialistica che tende a fare della diversità una essenza e non una realtà storico-culturale. Leopardi crede profondamente nell’eguaglianza tra gli esseri umani, proprio perché sono diversi ma anche simili gli uni agli altri. Per lui “la perfetta uguaglianza è la base necessaria della libertà” ma, nel medesimo tempo vedendo l’evoluzione storico politica in Europa si dimostra disincantato e nota: “è impossibile la durevole conservazione della perfetta uguaglianza, e la perfetta uguaglianza è il fondamento essenziale, e la conservatrice sola e indispensabile della democrazia”. Leopardi vede in quello che chiama il sistema di egoismo universale, cioè nella mancanza di qualsiasi solidarietà sociale , nell’estendersi “mostruoso della sfera del ‘privato’ , del suo prevalere sulla sfera del ‘pubblico’” la base della corruzione della società.

Leopardi elabora anche delle idee pedagogiche esplicite; s’interroga sul rapporto tra adulti e giovani generazioni e nota come spesso gli adulti tendano a pretendere che gli adolescenti si comportino esattamente come loro, senza prendere in considerazione il fatto che sono diversi non solo per età ma anche perchè vivono anche in una epoca storica diversa. Si tratta di un tema di grande attualità nei rapporti educativi sia a scuola che in famiglia. Scrive Leopardi in proposito:

Il gran torto degli educatori è di volere che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità: che la vita giovanile non differisca dalla matura; di voler sopprimere la differenza di gusti, di desideri ecc, che la natura invincibile e immutabile ha posta fra l’età dei loro allievi, e la loro, o non volerla riconoscere, o volerne affatto prescindere, di credere che la gioventù dei loro allievi debba o possa riuscire essenzialmente, e quasi spontaneamente diversa dalla propria loro, e da quella di tutti i passati presenti e futuri; di volere che gli ammaestramenti, i comandi suppliscano all’esperienza.

L’esperienza di vita è fondamentale poiché costituisce il fattore decisivo della crescita e dell’apprendimento; questa esperienza non avviene in astratto ma in condizioni storico-culturali, sociali, politiche e psicologiche particolari. Per Leopardi è quello che gli educatori e gli adulti fanno fatica a cogliere e ad accettare nel loro rapporto con gli adolescenti e i giovani. Si può affernare quindi che Leopardi pedagogo ci fornisce alcuni indicazioni di ordine educativo per l’oggi:

  1. la debolezza non è un ostacolo ma può essere una opportunità per uno sviluppo originale e creativo.

  2. Nell’ambito dei comportamenti umani non v’è nulla di assoluto e fisso una volta per tutte.

  3. Tutto è relativo alle condizioni storico-culturali e al punto di vista che si assume.

  4. Gli esseri umani sono simili e diversi contemporaneamente.

  5. La conoscenza è un processo di ricerca costante.

  6. Il confine tra normale e anormale, norma e devianza, malattia e salute è molto labile e sempre in movimento.

  7. L’educazione è un processo lungo di maturazione che deve tener conto delle specificità di ogni essere umano, di ogni generazione e di ogni epoca storica.

Oltre che ‘pedagogo’ Leopardi fu un filosofo della condizione umana e in quanto tale ancora una volta pedagogo; come scriveva Cesare Luporini nel suo libro Leopardi progressivo:

sotto il termine ‘filosofia’ si possono infatti intendere cose assai diverse e da ultimo non si può non ammettere che ogni uomo è filosofo, perché ogni uomo vive dentro un’intuizione del mondo e della vita (coerente e incoerente che sia) connessa intrinsecamente al linguaggio che egli parla e ai valori che agiscono in lui.

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