Ogni volta che torno a casa indugio in una dolce malinconia, una calda sensazione che mi tiene sempre sulla soglia del pianto. Oggi, giorno di partenza, ricacciando indietro la nausea delle sveglie precoci, salgo sul treno Altavelocità per Roma. Una partenza come le altre se non fosse per un annuncio che accolgo con fastidio. La linea superveloce di Salerno non funziona, il treno attraverserà la linea storica fino a Napoli per poi tornare normale. Spettacolo desueto, vedere questo enorme tubo amaranto procedere goffo tra binari troppo piccoli, attraverso case affogate di uomini, legno e lamiere, calcinacci e cani randagi. Le case che vedo sono ferite della memoria, oscene e morbose come malattie veneree. Un uomo, nudo ed in accappatoio, ci guarda scorrere, istupidito. Una donna ferma in macchina davanti al passaggio a livello, bellissima e dura. Noi come un bambino acromegalico.
S. Giovanni a Barra. La mia terra, quella dei fuochi, che mi fa sempre un po’ paura sentirlo dire. Qualche giorno prima, al convegno per cui mi trovo in Italia, un amico mi chiede “come fanno a restare lì, le persone, anche se sanno che moriranno per tutti i rifiuti sepolti”? È vero, come fanno? Come fanno mia madre e mio padre, così orgogliosi delle stupende verdure, dei broccoli di una valle in cui anche uno sputo fa crescere qualcosa? Parte dello stesso sistema, mi accorgo di non riuscire mai a sentirmi veramente fuori da casa mia. Come facciamo? Il mio principio di realtà è innamorato della pulsione di morte, pulsa assieme a lei e la considera normale. Il sud è casa mia, io ne sono parte, come una simmetria, siamo parti uguali e diverse. Soffro sempre, ogni volta che un amico parla per scherzo di terroni. Non ho mai avuto senso dell’umorismo per questo. Anche se, da qualche tempo, ogni volta che rientro a Battipaglia uno slogan pubblicitario enorme pende da un palazzo per ricordarmi che “a volte restare è un atto d’amore”. Ho sempre avuto la certezza di voler andare via, prima sogni di evasione di adolescente, poi destino in cui mi sono ritrovato per caso. Vivo una vita con molti incontri, amici temporanei di una realtà in divenire. Vivo in sempiterna fortuna di essere andato via. Sono spesso arrabbiato. Ma non riesco mai a sentirmi così malinconico come quando torno a casa mia. Portici. Il mare non è verde moccio (forse l’Irlanda?) ma blu notte. Sembra di toccarlo anche da questo treno Altavelocità che oggi attraversa il reale, senza i suoi odori. Dal regionale che prendevo anni fa per andare a Napoli si sentiva il sapore ferroso del vento, misto all’odore di urina e disinfettante dei vagoni. Oggi non sento nulla, solo quest’odore disumano, che da sempre mi aumenta la nausea. Odio i treni Altavelocità. Stanno bene a Milano e Bologna, persino nella finta Firenze. A Roma sono già strani, loro, come me, non appartengono qui. Eccola Napoli, maestosa e abbacinante. Da qui non sembra una cicatrice, ma una madre meravigliosa, distesa languida sulla mia terra. Tra poco ci fermeremo in stazione. Un drogato verrà a vendermi i calzini e a raccontarmi la sua storia di morte e redenzione. E io, come dieci anni fa quando andavo a Siena, avrò l’impulso di scendere, perdermi nella mia casa, rimanere così per qualche ora, o per giorni a vagabondare sui treni. Gustandomi questa malinconia che non tornerà fino al prossimo viaggio indietro. Anche stavolta rimarrò fermo. Dieci anni sono passati, nessuno che ti avvisi di iniziare a correre.
{module Articoli correlati}
Articoli correlati
Nessun articolo correlato.
-
L’interpretazione e noi
-
Oltre il politicamente corretto e la cancel culture. Su Guerre culturali e neoliberismo di Mimmo Cangiano
-
Le poesie di Seamus Heaney
-
Una scrittrice tra parentesi. Note sulle ‘Rime’ di Isabella Morra a cura di Gianni Palumbo
-
Il rischio di difendere lo status quo. Su “La regola del gioco” di Raffaele A. Ventura
-
-
La scrittura e noi
-
Perché leggere “Gli anni perduti” di Vitaliano Brancati
-
“L’estate breve” di Enrico Macioci
-
Le nostre vite labili e preziose – Su “La condizione della memoria” di Giulia Corsalini
-
Smarginature periferiche e solitudini esistenziali. “La colpa al capitalismo” di Francesco Targhetta
-
-
La scuola e noi
-
“Estranei. Un anno in una scuola per stranieri” di Alessandro Gazzoli
-
Appunti per un racconto fantastico
-
Scuola autentica e scuola inautentica
-
L’inizio e la fine: un percorso ad alta velocità tra Svevo e Pirandello
-
-
Il presente e noi
-
Prime crepe nel “blocco” meloniano? La rivolta dei trattori, il voto sardo e lo stop abruzzese
-
Contro la sindrome legalitaria. Ancora sui fatti di Pisa
-
Dalla parte sbagliata della storia. Gaza e noi
-
Tossico non è il canone letterario
-
Commenti recenti
- Gioiello Tognoni su “La suprema inchiesta.” Sul romanzo di Alberto CasadeiSorprende, ma forse no, di non vedere questo romanzo fra quelli scelti nei principali premi…
- Eros Barone su Prime crepe nel “blocco” meloniano? La rivolta dei trattori, il voto sardo e lo stop abruzzeseIl fenomeno dell’astensione è in crescita da lungo tempo. Rispecchia il declino dell’imperialismo italiano e…
- La postura e l’impostura, la scuola che si posta – Le parole e le cose² su L’insegnante è collettivo (il consiglio, il dipartimento, il collegio)[…] fisici della sua presenza: la classe, il consiglio, il dipartimento, il collegio docenti. Di…
- Matteo Zenoni su Scuola autentica e scuola inautenticaCaro Stefano, ho letto anche io il volumetto di Corsini, “La valutazione che educa”, che…
- Roberto Gelmi su L’inizio e la fine: un percorso ad alta velocità tra Svevo e PirandelloProposta intelligente e fattibile con una classe quinta motivata e con buone basi letterarie e…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Annalisa Nacinovich, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Daniele Lo Vetere
Editore
G.B. Palumbo Editore
Lascia un commento