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Poesia e didattica/2. Un’esperienza di lavoro

Ci occupiamo con due interventi della didattica della poesia. Al primo articolo di Roberto Cescon, oggi segue un intervento di Giuliano Ladolfi, professore per vent’anni e preside in un liceo piemontese, fondatore della rivista «Atelier» che dirige insieme a Marco Merlin. 

Premessa

Ho insegnato vent’anni nel triennio del Liceo Scientifico italiano e latino e, anche quando ho intrapreso la carriera dirigenziale, non ho mai smesso di tenere corsi di letteratura e poesia, soprattutto di poesia contemporanea. Spiace, purtroppo, e lo constato parecchie volte durante gli esami di Stato che troppi docenti si limitano a svolgere il programma fino all’Allegria di Ungaretti e a Montale di Ossi di seppia con qualche rara puntata alle Occasioni. Ma sono passati altri ottanta anni in cui non si è smesso di scrivere in versi. «Non si riesce a coprire tutto l’Ottocento e il Novecento all’ultimo anno», «non ci sono libri di testo in grado di trattare questi argomenti in modo approfondito», «non è ancora stabilito il canone» mi si risponde. Per la scansione dei programmi basta apportare semplificazioni negli anni precedenti, i testi ci sono e per quanto riguarda il canone è preferibile inserire un poeta mediocre che creare quel baratro tra scuola e vita che non potrà più essere colmato con la conseguenza di staccare potenziali lettori dalle future pubblicazioni.

I presupposti di una didattica interdisciplinare

Il presupposto della mia esperienza didattica sta nella presentazione “interdisciplinare” della poesia. Con questo vocabolo non intendo la trattazione contemporanea di un argomento da parte di docenti di materie diverse che lo inquadrano secondo i relativi ambiti di competenza, ma di una disposizione ad affrontare la materia secondo le prospettive ricavate dalle diverse scienze che concorrono a formare un modello unitario spiegazione in cui le diverse nozioni trovano una collocazione (anche in forma problematica), tale da permettere un vero e proprio discorso critico: scire per causas. Solo in questo modo si riesce a superare la strisciante tentazione di un rinnovato nozionismo, che dell’antico ha mutato solo l’aspetto e che si presenta sotto due vesti principali: il contenutismo e lo strutturalismo. Il contenutismo recepisce la lodevole istanza di spingere l’alunno ad affrontare personalmente l’approccio ai testi. È penoso vedere docenti che all’esame di maturità (un esame cioè che dovrebbe valutare le doti intuitive e critiche di un giovane) giudicano il candidato limitandosi a calcolare la quantità di nozioni desunte dal riassunto dei brani presentati dal programma. Lo strutturalismo si limita ad analizzare l’aspetto stilistico, linguistico e formale di un fenomeno complesso come quello letterario. Non mi stancherò mai di mettere in luce i danni del metodo strutturalista nella didattica della poesia: occorre conoscere le rime, i ritmi, le figure retoriche, ma molto di più occorre conoscere il senso delle opere che si leggono. E il Ministero continua a propinare un’analisi del testo con gran parte di richieste di un metodo ormai apertamente sconfessato. Ma i professori attuali da una parte sono costretti ad abilitare gli studenti a rispondere alle domande e dall’altra sono cresciuti in un simile clima.

Questo mio discorso non si propone nel modo più assoluto di criticare queste due sacrosante esigenze didattiche sia perché è perfettamente inutile che si studino le idee espresse dagli studiosi su di un argomento senza la conoscenza diretta dell’argomento stesso sia perché senza il possesso intellettivo degli strumenti usati dagli scrittori per comporre non si può giungere ad un’idea di letteratura. Ma queste due metodologie non bastano. Sia l’uno sia l’altro aspetto costituiscono un elemento necessario, indispensabile, ma solo propedeutico, per innestare un discorso più profondo, più autentico, più formativo. Per interdisciplinarità si intende, dunque, la capacità di presentare un fenomeno letterario come manifestazione di un momento della civiltà occidentale. Secondo tale impostazione, è evidente che il docente non potrà esimersi dal compiere riferimenti alla storia, alla storia della filosofia, allo sviluppo delle scienze, dell’arte, della musica, all’economia, alla statistica, alla psicologia, alla storia delle istituzioni politiche e sociali, all’evoluzione della lingua, delle forme retoriche, ai gusti e alle mode e ad ogni elemento che possa “spiegare” un periodo, un autore, un testo, un verso. Questo concetto richiede anche una sinergica didattica interdisciplinare delle diverse materie, ciascuna specifica nel proprio ambito, per cui sarebbe veramente auspicabile una riforma della scansione dei programmi scolastici al fine di armonizzarli, anche se sono consapevole che una coincidenza assoluta non è possibile. Non è, infatti, possibile compiere un percorso simultaneo tra la storia e la letteratura del Trecento: la spiegazione di Dante, Petrarca e Boccaccio richiede un tempo assai superiore rispetto al tempo di trattazione dei capitoli relativi agli avvenimenti contemporanei a questi autori. È, però, possibile e sono testimone di progetti felicemente attuati di contemporaneità tra programma di italiano, di storia, di filosofia (con l’eccezione del terzo anno), di letteratura straniera e di storia dell’arte. Questo può offrire agli studenti un quadro più organico, ma non esime il docente di formarsi e formare una mentalità interdisplinare.

Un’idea di storia della letteratura

Alla base, però, di tutto questo discorso deve porsi un’identica concezione di storia della letteratura. Se con questo termine si intende lo studio di una galleria di autori o l’avvicendamento di elementi retorici, evidentemente questa istanza perde di senso. Se, invece, essa rappresenta la somma manifestazione dello spirito umano nel suo divenire, secondo l’interpretazione di Federico Schlegel e di Francesco De Sanctis, si comprenderà che questa impostazione trova piena giustificazione logica. In tal modo ogni movimento culturale viene interpretato come un momento del cammino della civiltà occidentale ed ogni autore come testimone ed interprete di tale evoluzione. Sono consapevole che questa indicazione didattica si scontra con le linee fondamentali del “pensiero debole”, che rifiuta ogni generalizzazione ed ogni sorta di interpretazione, intese come “gabbie di idee” che inducono a perdere di vista la complessità del reale. Occorre, tuttavia, superare questo limite metodologico, che scade nell’afasia o nella parcellizzazione. Si rende necessario, però, presentare ai giovani con estrema chiarezza i limiti e la provvisorietà di ogni proposta interpretativa che non pretende di fornire una verità, ma una metodologia, un percorso di lettura provvisorio, che trae la sua limitata validità dall’intima coerenza del discorso e dell’interpretazione. Questo tipo di didattica presenta anche un’inevitabile valenza morale, perché rende l’alunno consapevole che ogni conquista è soggetta a modificazione e a miglioramento e che l’unico atteggiamento adatto alla natura umana consiste nell’umiltà della ricerca.

Le discipline “correlate”

Ora, se la storia dello spirito umano è mossa dal pensiero, la struttura portante di questa impostazione sarà la filosofia. La causa dello scire dello svolgimento della civiltà risiede non nell’economia, come sostiene l’impostazione marxista. Per esempio, solo la presentazione chiara e corretta del pensiero medioevale (intendendo per pensiero non solo la filosofia codificata, ma anche la sua attuazione in strutture civili, in modelli comportamentali di qualunque genere) si può intendere la Divina Commedia. E l’acquisizione da parte della critica dell’interpretazione figurale di Erich Auerbach conferma questa ipotesi: solo la conoscenza della mentalità, con cui l’uomo medioevale vede la realtà, permette di capire il mondo ultraterreno di Dante. È necessario, tuttavia, non cadere nel difetto opposto: la letteratura non è il rispecchiamento della filosofia. Non si tratta di una ripresa dello schema della critica sociologica con la semplice variazione della filosofia rispetto all’economia. Non si può dimenticare la presenza di una personalità precisa che rielabora in modo originale gli elementi desunti dal contesto di vita e di determinate codificazioni retoriche e stilistiche che caratterizzano il fenomeno letterario. Ma proprio dalla dialettica tra queste componenti, dedotte sia dalla lettura dei testi sia dall’inquadramento generale sia dall’analisi strutturale, gli alunni possono impossessarsi di un sapere per causas, di contenuti su cui innestare la riflessione personale, il proprio commento, possono enucleare elementi di raffronto con le altre discipline, perché la vera sintesi si attua all’interno del processo di conoscenza del singolo discente.

L’esperienza didattica

Dal punto di vista pratico mi sembra fondamentale, dunque, stabilire chiare e puntuali relazioni tra filosofia e letteratura anche per suscitare un dibattito di idee, di valutazioni, di interpretazioni, per fornire all’intelligenza del giovane modelli di comprensione, di valutazione e di sintesi. I grandi momenti di questo processo possono essere scanditi secondo questo ritmo: Medioevo, Umanesimo e Rinascimento, nascita del mondo contemporaneo o Barocco, Illuminismo, Romanticismo, Positivismo, Decadentismo, Novecento e Posmodernismo. Questa metodologia non si limita a svolgere più o meno attentamente i capitoli relativi al pensiero speculativo che quasi ogni storia della letteratura italiana presenta, occorre cogliere l’interrelazione tra pensiero e testo. Prendiamo come esempio il fenomeno del Romanticismo (il problema esigerebbe una trattazione a parte a causa della sua complessità). Non si può continuare a presentare la letteratura italiana della prima metà dell’Ottocento come fenomeno totalmente svincolato dalla filosofia romantica: o queste due manifestazioni presentano elementi (di qualsiasi tipo) comuni o devono essere separate nella denominazione, come aveva proposto Gina Martegiani fin dal 1908. Non basta la contemporaneità per giustificare l’identico appellativo. Uguale discorso va riferito al Decadentismo: esistono precise istanze concettuali che si pongono alla base delle manifestazioni letterarie, come si è dimostratonel saggio Per un’interpretazione del Decadentismo (Novara, Interlinea 2000). Esse vanno rintracciate e chiarite, magari criticate e superate, ma senza un punto di riferimento filosofico si rischia di ricadere nello sterile nozionismo. L’esperienza didattica mia e di parecchi altri colleghi conferma che una simile impostazione apre veramente la mente, appassiona allo studio della letteratura, il quale viene vissuto come avventura dello spirito umano, favorisce dialogo, la discussione, spinge l’alunno all’approfondimento personale, lo arricchisce umanamente, perché egli comprende che ogni capolavoro nasce da un originale modo di rispondere ai quesiti esistenziali che ogni uomo si pone e che ogni epoca storica tenta di inquadrare in una originale interpretazione del reale.

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