Inchiesta sul lavoro di editor/8: Vanni Santoni (Tunuè, dal 2014 al 2020)
A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato
Con l’intervista di oggi continua l’inchiesta – che ha cadenza quindicinale – sulla professione dell’editor. Nel corso del Novecento questo “mestiere” è stato svolto da scrittori come Calvino, Vittorini, Sereni che fungevano da mediatori tra società letteraria, case editrici e pubblico; oggi il mondo dell’editoria è stato investito da grandi trasformazioni che sembrano aver dissolto la figura dell’intellettuale-editore e modificato in profondità il lavoro editoriale. Questa indagine mira a sondare come sia mutata, tra dissolvenze e persistenze, la funzione dell’editor all’interno della filiera del libro, coinvolgendo sia case editrici indipendenti sia l’editoria maggiore. Sono state già pubblicate le interviste a Fabio Stassi, Laura Bosio, Gerardo Masuccio, Riccardo Trani, Andrea Gentile, Eugenio Lio e Oliviero Toscani.
1. Editing e condizioni materiali del lavoro intellettuale. Qual è il suo rapporto lavorativo e quanti libri è chiamato a editare in un anno?
Negli anni in cui ho diretto la collana di narrativa di Tunué ho chiesto e attuato una politica di soli quattro libri l’anno. La scelta era determinata dalla volontà – ma anche dalla necessità, dato che per un piccolo marchio tutte le uscite sono “l’uscita importante” – di seguire in modo adeguato ogni titolo nel suo lancio e dargli il tempo di trovare i suoi lettori senza venire coperto dalle uscite successive.
2. Su che basi si imposta il dialogo tra l’editor e lo scrittore. Come viene “associato” un autore a un editor (per affinità tematiche, di generi letterari…); quanto del lavoro di editor può rientrare in queste categorie: semplice revisione (ruolo tecnico), interpretazione (ruolo di critico); riscrittura (ruolo creativo). Quanto e come queste tre funzioni si traducono in un dialogo con l’autore?
Nel mio caso la direzione della narrativa e l’editing erano sovrapposti, dato che in casa editrice me ne occupavo soltanto io.
Le categorie di interpretazione e revisione sono molto importanti ma sempre successive alla prima e fondamentale: il dialogo, potremmo dire maieutico, con l’autore o l’autrice attorno al suo libro (o progetto di libro: non dimentichiamo che spesso si decide di mettere sotto contratto una “voce”, anche solo partendo da un progetto supportato da poche pagine già pronte). Per quanto mi riguarda, la categoria di riscrittura non esiste: l’editor deve suggerire dove intervenire, ponendo delle questioni all’autore, ma poi l’intervento diretto sul testo deve sempre venire da quest’ultimo. Se proprio l’autore si è incagliato su qualche punto, l’editor può arrivare a suggerire delle possibili modalità d’intervento, ma la loro messa in opera deve sempre essere attuata dall’autore o verrebbe meno quello che potremmo chiamare il “patto etico” tra le due figure.
3. La sua specifica formazione da editor.
Ho cominciato revisionando i testi dei miei amici su riviste autoprodotte, così come loro revisionavano i miei; successivamente, quando ero già uno scrittore professionista, è capitato che dei colleghi mi chiedessero di revisionargli un romanzo in lavorazione, così come di svolgere questo lavoro come freelance per questa o quella casa editrice. Il momento veramente decisivo a livello formativo è stato il progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva, fondato nel 2007 con Gregorio Magini, che ha portato nel 2013 alla pubblicazione di In territorio nemico per minimum fax (a tutt’oggi, con le sue 230 mani, il romanzo con più autori di sempre). In quegli anni, lavorando prima ai racconti che pubblicavamo online e poi al romanzo mi sono confrontato con la revisione di centinaia e centinaia di testi di diversi autori, sviluppando una prima vera professionalità in tal senso. In effetti fui chiamato da Tunué anche in virtù dell’eco che aveva avuto tale progetto.
4. Tradizionalmente si considera l’editor un agente dell’editoria che tende a formattare il prodotto letterario per favorirne la vendita. Quanto questa immagine oggi corrisponde al lavoro reale di editor?
Nel mio caso – e credo si possa dire nel caso di tutti gli editor delle piccole e medie che fanno narrativa di ricerca, nonché di tutti gli editor che, all’interno delle major, si occupano di quel tipo di testo – tale immagine non corrisponde alla realtà. Quello che si fa è, piuttosto, aiutare l’autore o l’autrice a trovare e affinare la propria voce. Prima di tutto ciò, è bene ricordare che l’editor svolge anche una funzione non meno importante, quella di selezione dei testi e quindi di costruzione dell’identità della collana.
5. Come lavora allo scouting? Quali modalità di “reclutamento” e selezione predilige? Quali canali utilizza?
La fonte principale per lo scouting per le piccole, e in parte per le medie case editrici sono ineludibilmente le riviste letterarie. Le cose cambiano per le major, le quali, come è naturale, vanno anche e soprattutto a pescare tra chi, uscito con piccole e medie, ha ottenuto un buon riconoscimento. Ma nel caso delle piccole, ancor più se specializzate in esordi come era il caso della collana che ho diretto, le nuove voci si trovano spulciando le riviste cartacee e online. Ho approfondito questo aspetto in questo articolo. Visto che il percorso della collana “Romanzi” di Tunué si è concluso, può valere la pena fare un riepilogo di come sono stati trovati tutti i libri che abbiamo pubblicato: non avrà valenza statistica, ma certo è un campione significativo. Dettato di Sergio Peter, a fronte di migliaia di manoscritti vagliati, è l’unico che è stato pubblicato a partire da un invio spontaneo, un dato che se vogliamo è già significativo di per sé. Iacopo Barison l’ho conosciuto tramite MySpace, dove teneva un blog in cui postava i suoi scritti, già piuttosto validi; mi parlò di questi due personaggi che “vedeva”, un ragazzo con i baffi e una ragazza cieca: gli diedi fiducia e da lì nacque Stalin+Bianca, il primo successo significativo della collana. Lo Scuru di Orazio Labbate mi arrivò da un’agenzia, anzi da due: mi arrivò da un primo agente e lo scartai, poi mi ritornò migliorato tramite un secondo agente e decisi di farlo; ebbe bei riscontri, contribuendo a consolidare subito il nome della collana tra lettori e librai (Stalin+Bianca era uscito solo pochi mesi prima). Successivamente a ciò, Orazio ha scelto di non passare a case editrici più grandi nonostante ne avesse la possibilità, e abbiamo dato continuità a questo lavoro con Suttaterra; prima delle mie dimissioni abbiamo cominciato a lavorare anche a un terzo titolo, Spirdu, che conclude la trilogia del “gotico siciliano” e che sono ben lieto sia, oggi, prossimo all’uscita per la collana Incursioni di ItaloSvevo/Gaffi diretta da Dario De Cristofaro. Francesca Matteoni aveva scritto delle prose uscite sulla rivista “Nazione Indiana” che trovavo molto convincenti, così le ho chiesto di capire se poteva metterle insieme e trasformarle in un romanzo, ed è nato Tutti gli altri. L’appartamento di Mario Capello doveva uscire per un’altra casa editrice, che però in seguito al licenziamento di alcuni collaboratori aveva bloccato i libri legati a costoro; da lì lo “salvai”. Il nome di Luciano Funetta, il cui Dalle rovine è stato il più grande successo della collana, mi venne fatto da due colleghi: prima Gianluca Liguori della rivista Scrittori precari, che lavorava molto sullo scouting, e poi Alcide Pierantozzi, mi dissero che quel Funetta aveva un romanzo importante per le mani che fin lì aveva ricevuto solo rifiuti; contattai allora l’autore e lo persuasi a venire in Tunué (per quanto le major lo avessero rifiutato, c’erano tuttavia un paio di altre piccole interessate). Mauro Tetti, col suo A pietre rovesciate, aveva vinto il premio Gramsci quando era ancora una raccolta di racconti e si chiamava Bestiario. Mescolo tutto di Yasmin Incretolli l’ho scoperto grazie a un estratto pubblicato sull’Indice in virtù della menzione speciale al premio Calvino. Luca Bernardi aveva pubblicato alcune poesie molto convincenti su una rivista autoprodotta, “Collettivomensa” e da lì venne la mia richiesta di proporre un romanzo; dopo il primo tentativo, non molto riuscito (tant’è che glielo rifiutai), lui fece un gesto notevole: invece di odiarmi, dopo cinque mesi si presentò con un altro romanzo, completamente nuovo, che divenne Medusa. Da qui si arriva a Francesco D’Isa, con La stanza di Therese: D’Isa è mio amico e ha fondato la rivista in cui ho esordito io stesso, “Mostro”, quindi conoscevo e apprezzavo già la sua scrittura; la scintilla è scattata quando ha cominciato a pubblicare, su una rivista che aveva da poco cominciato a dirigere (quell’“Indiscreto” nel frattempo divenuto così centrale nel dibattito letterario italiano), alcuni testi incentrati sulla figura di una ragazza che speculava sulla metafisica: ho chiamato Francesco per chiedergli se esistesse un progetto di libro al di là dei testi che erano usciti sull’Indiscreto, e così è nato La stanza di Therese. Tabù di Giordano Tedoldi era in lettura presso altri editori che però tergiversavano, forse perché era un libro con un innesco a lungo termine, che inizia a ingranare davvero oltre la centesima pagina; ho detto a Tedoldi di venire con noi in Tunué: avremmo pubblicato il libro subito, e così è andata. La storia dell’Amore a vent’anni di Giorgio Biferali è simile a quella di Medusa di Luca Bernardi: conoscevo l’autore grazie ai suoi scritti sulle riviste, gli chiesi un testo, lo scartai, e dopo un po’ lui si presentò con un nuovo libro, stavolta valido. ll manoscritto di Karen De Martin Pinter, quello che poi divenne Dimentica di respirare, mi giunse da un amico traduttore. Gianluigi Ricuperati era un autore che conoscevo e stimavo già moltissimo, così quando mi parlò di un’idea per un “romanzo russo” la abbracciai all’istante e da lì nacque Ricrescite di Sergio Nelli era uscito quindici anni prima per un’altra casa editrice, l’avevo sempre considerato un libro importante del nostro canone e appena c’è stata l’occasione l’ho “recuperato”. Andrea Zandomeneghi era uno dei direttori dell’ottima rivista “Crapula Club” e già si era fatto notare lì; poi me lo sono ritrovato tra gli studenti di un mio corso con un testo ancora abbozzato ma prosasticamente notevole: l’ho messo sotto contratto e così ha scritto Il giorno della nutria. Talib o la curiosità di Bruno Tosatti l’ho trovato grazie al Premio Calvino: era tra i finalisti l’anno in cui facevo parte della giuria. Configurazione Tundra di Elena Giorgiana Mirabeeli è emerso dalle selezioni di esordienti operate dalla rivista “The FLR” per il festival pistoiese “L’anno che verrà”. Infine, Taccuino delle piccole occupazioni mi è stato mandato direttamente dall’autore Graziano Graziani, di cui seguivo la scrittura da anni. Da questo excursus emerge dunque come le riviste siano state anche nel caso di Tunué il territorio di scouting principale, seguite dal sempre proficuo Premio Calvino e dai contatti diretti attraverso altri professionisti; si può altresì prevedere che in futuro aumenti ulteriormente l’influenza delle agenzie letterarie.
6. Quale rapporto ideale (dissolvenza, rimozione, assunzione di eredità) gli editor odierni intrattengono con le figure editoriali ‘leggendarie’ del novecento (da Vittorini a Sereni)?
Nel mio caso, nessun rapporto. Va da sé che mi sono sentito estremamente lusingato quando il mio lavoro è stato accostato a figure come quelle, o ancora al Calvino editor, ma ho approfondito le possibili similitudini (e la misura di quelle esagerazioni) solo a posteriori.
7. Casi di studio: può fare uno o più esempi di testi esemplari con si è confrontato?
Credo che ogni testo sia a suo modo “esemplare” poiché il lavoro di editing, al netto delle revisioni finali, è sempre diverso di libro in libro. Anche qua può essere interessante un excursus completo, onde dimostrarlo. In Dettato, libro molto luminoso e “positivo”, ho invitato l’autore a mettere in evidenza dei “punti scuri” in modo che il chiaro arrivasse più forte – una sorta di liquido di contrasto – e abbiamo lavorato sul riposizionamento di alcune parti non consequenziali. In Stalin + Bianca ci siamo per lo più concentrati sull’affinamento dell’ambientazione, quel meló soffusamente distopico, e sul potenziamento narrativo dell’ultima parte. Nello Scuru c’era soprattutto da temperare lo stile strabordante dell’autore nei punti in cui non ce n’era bisogno, così che poi colpisse con forza dove richiesto; inoltre abbiamo riflettuto sulla caratterizzazione di alcuni comprimari. Analogo il lavoro fatto con Suttaterra, ma di minor portata visto la crescita in esperienza dell’autore. In Tutti gli altri abbiamo anzitutto unito le prose esistenti per vedere cosa avevamo; da lì abbiamo dialogato con l’autrice per capire cosa andasse cassato e, soprattutto, quali nuovi brani avrebbero dovuto essere scritti per fare di quei testi un romanzo compiuto. L’appartamento, arrivando già lavorato, non ha richiesto grandi interventi se non qualche passaggio sullo stile, che era stato un po’ sporcato dalle riscritture, oltre che sui metatesti presenti nel romanzo. Dalle rovine ha richiesto per lo più un lavoro di potatura, avendo una seconda metà che germogliava in direzioni poco utili, e di focalizzazione della voce, originalissima ma ancora un po’ schizoide, dell’autore. Non diverso da quello su Tutti gli altri è stato il lavoro su A pietre rovesciate, a cui si è aggiunta una riflessione sul piano simbolico e allegorico del romanzo. In Mescolo tutto c’era prima di tutto da portare l’autrice ad ampliare la seconda metà, troppo scarna rispetto alla prima, e ad affinare meglio il curioso idioletto della voce narrante, oltre che a sbrogliare passaggi troppo arzigogolati. Medusa ha chiesto invece un lavoro di “ribassamento” dell’ambientazione, che aveva degli elementi futuribili di marca postmodernista che la vicenda, efficace ma scarna, non era in grado di sostenere. Nella Stanza di Therese quello che mancava era una sponda dialogica ai monologhi della protagonista, che desse al testo una maggiore narratività, e dialogando a mia volta con l’autore l’ho aiutato a trovarla. Su Tabù abbiamo riflettuto soprattutto sull’eliminazione di alcuni paratesti superflui. Nella prima versione dell’Amore a vent’anni mancava un vero motore narrativo e ho invitato l’autore a trovarlo, confrontandomici finché non è uscito quello giusto. Dimentica di respirare pativa un numero eccessivo di riscritture che lo avevano “ingolfato”: ho lavorato con l’autrice per tornare alla radice del suo testo e da lì farlo rinascere in una forma più fresca e spontanea. Est ha avuto un lavoro di editing particolare: ci eravamo trovati con i tempi molto stretti visti gli innumerevoli impegni dell’autore, così ci abbiamo lavorato in parallelo – ogni giorno mi arrivavano delle pagine e ogni giorno mandavo le mie riflessioni, per lo più orientate a tenere ben interallacciati i due piani narrativi in cui si sviluppa il romanzo. Il giorno della nutria aveva bisogno di una sfrondatura, una situazione simile a quella di Dalle rovine – non a caso entrambi i libri avevano autori altamente preparati e consapevoli, contesti in cui, quando si è alla prima prova, si può a volte avere la tentazione di strafare –, nel suo caso relativa a una certa proliferazione di metatesti, più che di sottotrame. Su Talib o la curiosità, un romanzo radicato su un grande lavoro di worldbuilding (l’autore è in effetti un Dungeon Master), c’era da premurarsi che questo aspetto non cannibalizzasse la vicenda. Analogamente, in Configurazione Tundra, che invece è praticamente “theory fiction”, c’era da far sì che i personaggi emergessero bene e non fossero schiacciati dall’attenzione maniacale al contesto e agli apparati concettuali. Infine, in Taccuino delle piccole occupazioni, abbiamo riflettuto e lavorato molto sull’ordine da dare ai frammenti che compongono il romanzo, e sul fil-rouge narrativo che li attraversa. Va da sé che Ricrescite di Sergio Nelli, essendo una riedizione, non ha avuto alcun lavoro sul testo.
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