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Inchiesta sul lavoro di editor/3: Gerardo Masuccio (Utopia)

 A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato

Con l’intervista di oggi continua l’inchiesta – che ha cadenza quindicinale –  sulla professione dell’editor. Nel corso del Novecento questo “mestiere” è stato svolto da scrittori come Calvino, Vittorini, Sereni che fungevano da mediatori tra società letteraria, case editrici e pubblico; oggi il mondo dell’editoria è stato investito da grandi trasformazioni che sembrano aver dissolto la figura dell’intellettuale-editore e modificato in profondità il lavoro editoriale. Questa indagine mira a sondare come sia mutata, tra dissolvenze e persistenze, la funzione dell’editor all’interno della filiera del libro, coinvolgendo sia case editrici indipendenti sia l’editoria maggiore. Sono state già pubblicate le interviste a Fabio Stassi e Laura Bosio.

1. Editing e condizioni materiali del lavoro intellettuale. Qual è il suo rapporto lavorativo e quanti libri è chiamato a editare in un anno?

Mi occupo perlopiù di letteratura straniera, con un certo rigore nelle scelte. Non mi capita mai di lavorare su testi che non abbiano valore letterario. La lettura nella lingua originale, o in una lingua franca e interposta, mi lascia intravedere la potenziale resa in italiano. Il lavoro con i traduttori è uno scambio intellettuale: anche se non conosco la lingua (capita spesso, perché lavoro con più interesse su rotte linguistiche inesplorate o regionali), intervengo sempre nella resa e discuto con i redattori e il traduttore. Per me la cura di un libro è un servizio letterario di squadra. E tra pari. Come editor di Utopia, seguo una dozzina di libri all’anno.

2. Su che basi si imposta il dialogo tra l’editor e lo scrittore.  Come viene “associato” un autore a un editor (per affinità tematiche, di generi letterari…); quanto del lavoro di editor può rientrare in queste categorie: semplice revisione (ruolo tecnico), interpretazione (ruolo di critico); riscrittura (ruolo creativo). Quanto e come queste tre funzioni si traducono in un dialogo con l’autore?

L’editor elegge l’autore e gli riserva attenzione. L’autore accetta, se può e vuole, e si lascia affiancare dall’editor. Con gli stranieri a maggior ragione. La fiducia dello scrittore deve trovare un contrappeso nell’amore dell’editor per la sua letteratura. Ho conosciuto molti editor in questi anni. Tutti sanno leggere, non molti comprendono il testo, quasi nessuno riesce a respirare all’unisono con l’autore. A calarsi nella sua vita, nella sua poetica, nel suo stile. Non è un caso che i migliori editor in cui mi sono imbattuto siano degli scrittori a loro volta, partecipi del senso più intimo della scrittura. La revisione spetta alle redazioni; l’interpretazione ai lettori e ai critici, la riscrittura agli editor di autori mediocri. Io non lavoro mai con autori mediocri. Lavoro sempre con scrittori che, da lettore, amo. E ai quali posso suggerire un punto di vista. Non andrei oltre, mai.

3. La sua specifica formazione da editor.

Un lungo percorso, matto e disperatissimo, disordinato e intenso, di lettura. L’ascolto di editor maturi, che stimo, e da cui ho imparato. L’esempio di altri editor, la maggior parte, a cui non vorrei mai assomigliare. Da tutti si impara, ma non sempre per emulazione.

4. Tradizionalmente si considera l’editor un agente dell’editoria che tende a formattare il prodotto letterario per favorirne la vendita. Quanto questa immagine oggi corrisponde al lavoro reale di editor?

Molto, ma non è la mia ambizione. Mi occupo di letteratura e consulto le classifiche di vendita per capire cosa non abbia senso pubblicare. Pochi grandi scrittori le scalano. Oggi è un indizio di mediocrità. Indizio, non prova. Ci sono delle eccezioni, rarissime.

5. Come lavora allo scouting? Quali modalità di “reclutamento” e selezione predilige? Quali canali utilizza? 

È un gioco meraviglioso che mi diverte e mi emoziona ogni giorno, senza mai stancarmi. Un confronto continuo con un centinaio tra editori e editor stranieri, scout, agenti letterari, lettori forti, consulenti linguistici e traduttori. Sono alla perenne ricerca di libri, è il mio passatempo preferito, più che un lavoro. La selezione è rigorosa, ma l’adrenalina di imbattersi in un nuovo testo, di parlarne con altri lettori qualificati, di lanciarsi in offerte e trattative per l’acquisizione dei diritti, di valutare la sostenibilità di un piano economico, ecco, credo non abbia pari. Un editor di valore deve conoscere il diritto d’autore e i principi della microeconomia, è indispensabile. Ho conosciuto pochi editor che sapessero leggere un bilancio, pochissimi che avessero piena contezza di come lavorare su una citazione o su una elaborazione artistica. È il futuro.

6. Quale rapporto ideale (dissolvenza, rimozione, assunzione di eredità) gli editor odierni intrattengono con le figure editoriali ‘leggendarie’ del novecento (da Vittorini a Sereni)?

Un rapporto, e parlo per me, di enorme affetto e riconoscenza. Non ho stima che per gli intellettuali, gli scrittori e i poeti che abbiano lavorato e lavorino come editor. Vittorini e Sereni, certo, ma anche Pavese, Calvino, Ginzburg, De Michelis, Calasso. La letteratura italiana è stata profondamente indebolita dalla repentina sostituzione, nelle case editrici, degli intellettuali con i funzionari. I funzionari sono degli ottimi passacarte; la letteratura ha bisogno d’altro.

7. Casi di studio: può fare uno o più esempi di testi esemplari con si è confrontato?

Negli ultimi tre mesi, in ordine: la revisione di una traduzione di un classico norvegese, un premio Nobel, con Margherita Podestà Heir; la resa dall’inglese di un saggio di Anne Carson da parte di Patrizio Ceccagnoli; la resa dal francese di un romanzo di Ananda Devi da parte di Billy Allegri. Sto lavorando su un romanzo danese con Ingrid Basso e su un testo portoghese con Prisca Agustoni. La ricerca di testi stranieri è più appagante; l’Italia è minuscola, e così l’area linguistica italiana. Sessanta milioni su sette miliardi di vite. E l’impressione è che oggi le grandi rivoluzioni letterarie interessino altre aree del mondo.

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