Riformare gli esami e la scuola: piccola replica di un piccolo insegnante al direttore di un think tank
Che diritto ha una persona che dimostra di non sapere nulla di didattica della scrittura e di come si svolgano le prove scritte di italiano di scrivere un penoso pamphlettino in cui dimostra di essere non si sa se più ignorante del concreto funzionamento della scuola o più tumescente di ideologia e di disprezzo verso noi insegnanti?
E perché ogni articolo e discussione pubblica sulla scuola abbandona sempre il terreno del confronto intellettuale, culturale, pedagogico intorno a problemi complessi, per innalzarsi (volevo dire: abbassarsi) a quello del conflitto epocale tra forze del Futuro e forze del Passato?
Conclamate falsità
L’articolo a firma di Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, dal titolo «Addio al tema letterario, la scuola infrange l’ultimo tabù», uscito il 17 gennaio su La Stampa, è a dir poco sfrontato. Esso punta insieme a informare sulle Nuove linee guida per l’esame conclusivo del primo ciclo (da poco licenziate da una commissione presieduta da Luca Serianni) e a fare opera di fiancheggiamento delle Forze del Bene impegnate nella riforma di una scuola che recalcitra come un asino con la testa perennemente volta al passato. Ma l’economista Gavosto dimostra di non sapere di che cosa stia parlando.
Queste linee guida, secondo lui, infrangerebbero «uno degli ultimi tabù della nostra scuola: il tema letterario, da sempre principale cimento per tutti gli studenti»: oggi alle medie, domani anche alle superiori (sono in arrivo nuove linee guida anche per l’Esame di Stato). In questo secondo ordine di scuola, poi, già l’attuale prima prova avrebbe «affiancato testi sintetici e commenti al classico tema – che rimane comunque l’opzione preferita dagli studenti».
Tutto falso.
Alle medie non si fanno “temi letterari” da ere geologiche. Forse lo stesso ex Banca d’Italia Gavosto ha fatto in tempo ad esserne esentato al suo esame di licenza media: ma la cecità ideologica offusca evidentemente anche le memorie personali.
Il DM del 26 agosto 1981, poi ripreso in successive ordinanze e circolari, prevede: a) esposizione in cui l’alunno possa esprimere esperienze reali o di fantasia (sotto forma di cronaca, diario, lettera, racconto: la circolare 32/2008 ha aggiunto la forma dell’intervista); b) trattazione di un argomento di interesse culturale o sociale che consenta l’esposizione di riflessioni personali; c) relazione su un argomento di studio, attinente a qualsiasi disciplina. Queste, precisa il DM, sono indicazioni di massima: infatti nell’esame del primo ciclo le scuole sono discretamente autonome. Non solo: di norma le tipologie offerte agli studenti sono le stesse sulle quali si lavora durante l’anno, a garantire coerenza tra le prove e le capacità sviluppate.
A differenza del direttore della Fondazione Agnelli, io ho un po’ di esperienza diretta, sia della secondaria di primo che di secondo grado. Bene, in nessuna delle tre scuole medie in cui ho lavorato (una di montagna, una “difficile” di periferia, una di eccellenza in centro città) ho mai visto “temi letterari”. Di che cosa stiamo parlando, quindi?
Ma l’ex Fiat Gavosto è assai mal informato anche sull’Esame di Stato del secondo ciclo. Il nuovo esame, introdotto nell’anno scolastico 1998-99, prevede quattro tipologie di prima prova: A analisi del testo; B saggio breve o articolo di giornale (redatto a partire da un dossier di documenti); C tema storico; D tema generale. Che cosa intende l’ex Confindustria Gavosto quando parla di “testi sintetici” e “commenti”, contrapposti a temi troppo liberi?
Ma lo strafalcione più imbarazzante è nell’affermazione successiva, quella sulla preferenza che gli studenti ancora accorderebbero al vecchio tema: se per “vecchio tema” intendiamo la tipologia D, bene, questa non è affatto la tipologia prediletta. Nell’esame del 2015/16 queste sono state le scelte degli studenti italiani: tipologia A 6,8%; tipologia B 64,5%; tipologia C 7,1%; tipologia D 21,8% (qui il documento completo dei dati statistici sull’Esame di Stato). Ecco i dati dell’anno precedente, 2014-15: tipologia A 8,5%; tipologia B 76,0%; tipologia C 2,4%; tipologia D 13,1%. Posso rassicurare l’ex chief economist di Telecom Gavosto che si tratta di una tendenza stabile: il “vecchio tema” è ormai minoritario.
L’esperto di scuola che mai ha visto una scuola Gavosto afferma che «scrivere, a meno che uno non sia Joyce, “creare” testi nel rispetto di una serie di vincoli è assai più difficile e oggi utile che scrivere seguendo liberamente il flusso dei propri pensieri»; «lo svolgimento dei temi – su soggetti spesso ampi e mal definiti – rispecchia infatti una scuola che privilegia la capacità di scrittura letteraria, l’erudizione, l’argomentazione retorica».
Ora, qui è il busillis, qui tutti accorreranno a gridare che ha ragione, è vero, è così. Ma Gavosto, né insegnante né linguista, non sa di cosa parla anche in questo caso. Egli ha orecchiato, ma male e con un ritardo imbarazzante, la polemica, decennale in Italia, contro l’astrattezza del tema scolastico. Due sono le cose che non stanno in piedi nel suo discorso.
La prima: egli non ha mai letto gli scritti dei nostri studenti; se l’avesse fatto, non sfiderebbe il ridicolo affermando che essi sono ancora debitori di una concezione letteraria, erudita, retorica, neanche fossimo a un certamen poetico.
La seconda: uno studente impegnato nella tipologia B del nuovo Esame di Stato, che è ormai la preferita, già oggi deve soddisfare la richiesta di comprendere i testi del dossier e di riassumerne la tesi di fondo. Tuttavia, posso garantire che questa scrittura “meno libera” produce a volte testi peggiori del vituperato vecchio tema: si veda qui.
Ma Gavosto non è interessato ad analizzare la realtà scolastica: ha messo insieme approssimazioni, errori, falsità, per dipingere un totem da abbattere.
Dalle falsità materiali al livore ideologico
«È facile prevedere che le novità saranno accolte dal solito fuoco di sbarramento di chi ritiene intoccabile la scuola che ha frequentato quarant’anni fa e difende un’astrattissima visione della creazione linguistica». È curioso che chi dimostra di non avere la più pallida idea di come funzioni la scuola attuale accusi gli insegnanti, in blocco e preventivamente, di vivere nel passato: a me pare che ad avere in mente la scuola che ha frequentato quarant’anni fa sia proprio lui. Ma l’accusa è stereotipa, nota, squalificante: siamo delle forze del passato. E non è la sola accusa che ci venga mossa.
Alla nostra scuola mancherebbe anche il critical thinking. Siamo tutto nozioni e trasmissività, nozioni e trasmissività: «Da noi prevale l’idea di didattica trasmissiva, per cui quello che sostiene il docente è una verità ricevuta: non ci si allena ad analizzare criticamente tutto quello che viene insegnato. Certo, l’argomentazione logica spesso richiede di essere rivestita di una capacità retorica, di convincimento, in cui la nostra scuola ancora eccelle: ma senza il rigore critico sottostante, rischia di restare vuota o – peggio – ingannevole».
La soluzione proposta è di orientare sempre più la scuola verso l’americano debate, grazie al quale imparare ad argomentare una tesi e un’antitesi secondo procedure logiche rigorose, che sviluppino l’intelligenza critica. La nostra è la scuola dell’elocutio, quella anglosassone la scuola dell’inventio e della dispositio. Vuota forma contro solida sostanza. Una descrizione che puzza lontano un miglio di vuota, retorica, astratta, ingannevole tipizzazione.
Un dibattito serio
L’articolo di Gavosto non aiuta non dico a risolvere, ma nemmeno a inquadrare correttamente i problemi che pretende di mettere in campo. Di che cosa stiamo parlando, precisamente?
1. Forme di scrittura “vincolate” VS forme di scrittura “libere”. Luca Serianni è uno dei nostri migliori esperti di lingua ed è più volte intervenuto sul problema dell’analfabetismo funzionale in Italia. Ha molto caro il tema della comprensione testuale e ha osservato in più occasioni che il modo migliore per verificarla è fare un riassunto del testo (L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche, Laterza, 2010; Leggere, scrivere, argomentare, Laterza, 2013; ma si veda anche U. CARDINALE, L’arte di riassumere, Il Mulino, 2015). Il suo imprinting è forte nelle nuove proposte per l’esame della secondaria di primo grado: si pensa che sia necessario introdurre prove di competenza più stringenti e rigorose, come, appunto, il riassunto, la rielaborazione da parte dello studente della struttura argomentativa di un testo dato. Le attuali prassi scrittorie della scuola media sarebbero troppo vaghe, suggestive, difficili da valutare con rigore.
Io ho sempre trovato convincente la posizione di Serianni. Tuttavia, quando mi sono confrontato con alcuni colleghi critici con questa mia linea, ho capito che molte delle loro obiezioni vanno attentamente considerate: il riassunto è importante, ma dev’essere strumentale ad altro e non fine a se stesso; siamo sicuri che lavorando a un’intelligente didattica della scrittura, non si possa arrivare a leggere temi “creativi” e personali ben scritti e interessanti, nonché linguisticamente corretti? Perché rinunciare a questa forse alta ma motivante ambizione? Ecc… È una discussione importante, ma è una discussione che non tollera le semplificazioni ideologiche di Gavosto.
2. L’argomentazione. Un alieno che leggesse l’articolo del direttore della Fondazione Agnelli penserebbe che nella scuola italiana l’argomentazione sia una perfetta sconosciuta. Tutti a ripetere a memoria gli appunti del professore. Vogliamo dire che forse continuiamo a leggere troppa letteratura d’invenzione e poca saggistica e articoli di fondo e che se dessimo buoni modelli di prosa argomentativa gli studenti scriverebbero meglio? Diciamolo. Ma pensare che insegniamo ancora un’argomentazione improntata alla retorica e all’idealismo è ridicolo. Che altro è la tipologia B se non un confronto dialettico con le opinioni di altri, attraverso i loro scritti, per desumerne, o provare a farlo, una propria posizione?
Siamo seri. La differenza fondamentale tra il nostro modo di intendere l’argomentazione e il modello anglosassone è che noi non diamo molta importanza all’elemento, diciamo pure, agonistico del conflitto di opinioni; inoltre privilegiamo lo scritto all’orale. Dobbiamo fare scelte culturali e didattiche meditate, non seguire mode dettate da odio per le proprie viscere: discutiamo pure di debate, introduciamone dei suggerimenti, miglioriamo quel che c’è da migliorare. Ma siamo seri.
Alleati e avversari
Gavosto ha colto l’occasione del lavoro della commissione di Serianni, lavoro ad hoc, puntuale, per un attacco in grande stile a tutta la scuola italiana.
Il suo è qualunquismo: chiede riforme che già esistono, si attarda in polemiche ormai superate, parla per sentito dire, odia per partito preso. Torno allora alla mia domanda iniziale: con quali titoli un economista, ex Banca d’Italia-Fiat-Confindustria-Telecom, ci viene a insegnare la pedagogia linguistica? Che diritto ha di screditare l’intera classe insegnante anticipandone addirittura le reazioni («È facile prevedere che le novità saranno accolte dal solito fuoco di sbarramento…»)?
È presto detto: la Fondazione Agnelli è ormai un vero e proprio think tank nel campo delle politiche scolastiche e ha più peso e forza d’urto di qualsiasi intellettuale e pedagogista (per non parlare di noi insegnanti, che siamo il sottoproletariato di tutto il baraccone). Questo ente privato è riuscito a inoculare il germe della competitività nella scuola italiana, ma nella forma soft dell’empowerment, gradevole al tatto anche di moltissimi progressisti: con il suo Eduscopio ogni anno pretende di fornire alle famiglie italiane uno strumento per scegliere la scuola “migliore” per i propri figli; di fatto, questa classifica ha innescato una perversa competizione tra gli istituti e soprattutto ha dato la stura a una narrazione mediatica tossica, nella forma della gara nella quale vincere conta più che partecipare.
Facciamo quindi attenzione. Guardiamo a chi parla e con quali intenzioni. A Gavosto non interessa iniziare con noi una discussione sulle prove d’esame e sulla scrittura: attacca la scuola perché così com’è non si attaglia alla sua visione di società. Non caschiamo nella rete per cui il nemico è la scuola “conservatrice” e l’alleato è chiunque voglia “riformarla”. Guardiamo chi abbiamo di fianco e di fronte, scegliamoci con cura i nostri alleati e i nostri avversari. Le sue illazioni infondate e i suoi gratuiti veleni vanno rispediti al mittente. Solo allora potremo iniziare la discussione vera sulle proposte di Serianni.
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RE: Riformare gli esami e la scuola: piccola replica di un piccolo insegnante al direttore di un think tank
Meno male che qualcuno ha risposto con puntualità. Anch’io sono rimasta sconvolta da quell’articolo e mi sono chiesta alla scuola di quale era geologica facesse riferimento. Il giornalista poteva documentarsi sulle attuali pratiche di scrittura degli studenti italiani anche solo sfogliando un libro di testo degli ultimi anni, ma evidentemente ha preferito affidarsi a qualche vaga suggestione. Forse urge riforma degli esami per giornalisti.