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Riflessioni sul documento di orientamento per la redazione della prova di italiano nell’esame di stato conclusivo del primo ciclo

 

Martedì 16 gennaio, a quattro mesi dalla fine della scuola, è uscito il Documento di orientamento per la redazione nell’esame di stato conclusivo del primo ciclo che chiarisce quanto abbozzato nel dpr. 62 e nel DM 741 del 3 ottobre 2017 e fornisce indicazioni precise e programmatiche su come dovranno essere le tracce all’esame di italiano per l’anno scolastico 2017/18. Il testo, si legge, «è frutto del lavoro di un’apposita commissione di esperti guidata da Luca Serianni e composta da Massimo Palermo, ordinario di Linguistica italiana all’Università per stranieri di Siena, Nicoletta Frontani, docente di Lettere presso il liceo classico “Augusto” di Roma, Antonella Mastrogiovanni, docente e collaboratrice dell’INVALSI (Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione), Carmela Palumbo, Capo del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del MIUR». Sarebbe stato auspicabile che nella commissione ci fosse una quota ampia di docenti che insegna italiano alla scuola secondaria, non solo studiosi che riflettono su come vi si debba insegnare o docenti di ordini superiori. Perché se è vero che l’esperienza non garantisce immediatamente competenza, è pur vero che nel panorama della scuola secondaria di secondo grado esistono realtà di sperimentazione e dibattito sull’insegnamento dell’italiano: la presenza di questi docenti avrebbe permesso di ragionare su come concretamente si insegna e lavora lì, sulle difficoltà e sui punti di forza.

Insegnare cosa, insegnare come
Io spero che questo documento venga discusso e dibattuto nei dipartimenti, ci spinga a ragionare e ad andare in profondità su quello che ci viene chiesto e come. Che non si riduca il tutto a creare delle tracce su modello di quelle indicate: a noi docenti spetta il compito di fare metacognizione prima di tutto su noi stessi e sul perché scegliere un modus operandi piuttosto che un altro, una traccia piuttosto che un’altra. Autonomia e libertà dell’insegnamento per me è anche questo: studiare, riflettere, indagare e creare una didattica vera in situazione. Da sempre mi domando perché mentre sono state dedicate ore e ore di formazione a competenze, curricoli, autovalutazione, non si sia speso lo stesso tempo alla lettura analisi e studio delle indicazioni nazionali che sono chiare e hanno alle spalle una visione del docente che condivido: professionista artigiano che rende concreto ciò che gli viene indicato, giacché conosce le caratteristiche di apprendimento degli studenti che ha di fronte. È vero però che le indicazioni non hanno generato, credo, il cambiamento che avevano in programma, spesso sono rimaste lettera morta. Ma torniamo al documento sulle tracce d’esame. L’ esame di stato, il primo per i ragazzi, deve certificare le competenze raggiunte, ma deve anche essere strutturato in modo che tutti lo possano sostenere, ciascuno secondo le proprie possibilità: deve tener conto, quindi, delle profonde differenze che ci sono all’interno di una stessa classe di scuola secondaria di primo grado. È un esame che arriva alla fine di un triennio al termine del quale “l’allievo dovrebbe essere in grado di produrre testi di diversa tipologia e forma coesi e coerenti, adeguati all’intenzione comunicativa e al destinatario, curati anche negli aspetti formali” (Indicazioni nazionali p. 29). L’art.7 del DM 741 3 ottobre 2017 stabilisce per la prova di italiano che la commissione predisponga almeno tre terne di tracce, formulate in coerenza con il profilo dello studente e i traguardi di sviluppo delle competenze delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, con particolare riferimento alle seguenti tipologie:

a) testo narrativo o descrittivo coerente con la situazione, l’argomento, lo scopo e il destinatario indicati nella traccia;
b) testo argomentativo, che consenta l’esposizione di riflessioni personali, per il quale devono essere fornite indicazioni di svolgimento;
c) comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico anche attraverso richieste di riformulazione.
d) La prova può essere strutturata in più parti riferibili alle diverse tipologie di cui al comma 2.

La commissione guidata da Serianni aveva il compito di rendere concrete queste indicazioni: personalmente mi sono domandata se davvero ce ne fosse bisogno e perché non potessero pensarci i dipartimenti dei singoli istituti. Ma tant’è. Il documento si apre con due premesse che subito svelano quale sia il suo obiettivo: dare indicazioni sulle tracce dell’esame e fornire linee guida sull’insegnamento della scrittura nella scuola secondaria di primo grado. Si tratta di un documento di orientamento, non prescrittivo, se è vero che le commissioni possono liberamente scegliere le prove nell’ambito di quelle previste dalla normativa e definire le tracce tenendo conto delle indicazioni nazionali, che restano il documento di riferimento per l’insegnamento dell’italiano. Eppure fra le righe, neppure tanto nascoste, stanno indicazioni di tecniche e strumenti per insegnare a scrivere. La seconda premessa è la più interessante: «indipendentemente dalle prove d’esame si richiama all’attenzione di far svolgere l’esercizio del riassunto». L’occasione è ghiotta: partire dall’esame e indicare la via dell’insegnamento dell’italiano, con un procedimento tutto italiano per cui si parte dalla coda per riformare il resto. La tecnica del riassunto compare già dalle premesse come attività che presenta alcuni requisiti fondamentali in vista del felice superamento delle prove d’esame impostate su diverse modalità di esecuzione, il riassunto è attività necessaria e fondamentale per comprendere un testo, proporre testi di varia natura, usare un lessico adeguato, mostrare il variare della lingua. Se nelle indicazioni nazionali il riassunto è citato solo tra le indicazioni essenziali che il docente deve fornire all’alunno per la produzione di testi per lo studio, ora invece assurge a strumento principe della didattica dell’italiano. Insegno ai ragazzi la tecnica del riassunto, come esercizio di lettura e comprensione, utilizzando la nominalizzazione, la suddivisione in sequenze, lo storyboard, la gerarchizzazione, l’analisi dei paragrafi e dei connettivi: è un lavoro che affronto in modo graduale dalla prima, legato soprattutto alla decodifica dei testi per lo studio. Tuttavia non mi convince l’uso del riassunto come testo a se stante, come esercizio di scrittura fine a se stesso e ritengo che ci siano altri strumenti per sperimentare e abituare all’uso del lessico adeguato e all’analisi del variare della lingua.

Le tracce proposte
Dopo le premesse si passa agli esempi di tracce da proporre e qui c’è un po’ di confusione tra strumenti indicati per insegnare italiano, finalità dell’insegnamento e tracce vere e proprie, perché gli autori vogliono indicarci la via maestra per l’insegnamento: così non mi è chiaro, ad esempio, perché per sviluppare le competenze di scrittura relative al testo descrittivo si debba puntare sulle competenze grammaticali e lessicali e lo stesso non possa dirsi per gli altri generi individuati. Per ciascuna delle tipologie di prova proposta vengono infatti indicati: le caratteristiche del genere, gli strumenti per affrontarlo in classe e le caratteristiche della prova, di cui si offre un esempio.

La tipologia A: testo narrativo e descrittivo
In linea con le indicazioni si auspica una gradualità nell’acquisizione delle competenze di lettura e scrittura. Da raggiungersi come? Per il testo narrativo, attraverso la lettura iniziale di brevi racconti (non è chiaro se si intenda brani tagliati o racconti compiuti) corredati da esercizi che attestino la reale comprensione del testo: macrosequenze e sintesi. L’uso poi di testi modello fornirebbe l’occasione di esercizi sulla riscrittura che rafforzerebbero le competenze linguistiche e di analisi e stimolerebbero la creatività.
Per il testo descrittivo sono indicati invece esercizi di completamento e riconoscimento, il confronto tra descrizioni oggettive e soggettive. In pratica quello che da tempo viene proposto nei testi di antologia. In anni di didattica della scrittura mi sono resa conto che le riscritture, i ricalchi, gli esercizi in generale sono utili strumenti ma devono essere accompagnati da un costante lavoro in classe, da tempo per scrivere, dal confronto con il docente che fa da vero e proprio editor, dall’insegnamento delle pratiche di scrittura e delle tecniche di correzione e revisione. Tali esercizi, nella mia didattica della scrittura, possono solo essere propedeutici alla produzione di testi autonomi, possono solo servire a sperimentare una tecnica, non sono il cuore della scrittura. Per formulare le tracce del testo narrativo, si suggerisce di ricavare il materiale da esperienze di studio: la letteratura, la storia, le scoperte scientifiche, le vite di personaggi famosi. A meno che per letteratura si intenda la fiction in generale, grandi assenti sono, ancora una volta, i testi per ragazzi: non è un caso che si propongano brani di Calvino, Lodoli, Ammaniti. Confuse mi sembrano anche le indicazioni sul testo descrittivo: da una parte si dice ha un rapporto di reciprocità con il testo narrativo, dall’altra poi si propongono tracce (che sembrano più esercizi a dire il vero) autonome piuttosto discutibili. Nel terzo esempio, laddove si propone al candidato di scrivere un testo in cui convincere i genitori ad acquistare un oggetto, più che di testo descrittivo credo si parli di argomentativo.

La tipologia B: il testo argomentativo
L’esempio di traccia sul testo argomentativo, poi, mi sembra mostrare lo scollamento tra questa commissione e il mondo dei ragazzi. Vengono indicate 4 tipologie tra le quali preparare la traccia: dialogo tra due interlocutori, sviluppo di una tesi, redazione di un verbale, riscrittura di un breve testo argomentativo e assunzione di un punto di vista diverso da quello presente nel testo. Nell’esempio proposto si è scelto un brano tratto da Marcovaldo e si chiede al candidato di esprimere le proprie opinioni rispetto a se sia meglio vivere in campagna o in città. Un problema caro ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado, pare.

La tipologia C: comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico, anche attraverso la riformulazione
Mi lascia più perplessa la tipologia C che prevede la comprensione sintesi e riscrittura di un testo letterario, divulgativo, scientifico: si tratta cioè di una prova di comprensione e non di scrittura, una sorta di doppione dell’Invalsi che prevede esercizi a risposta multipla, completamenti, sostituzioni di parole, domande aperte di comprensione, riscritture e sintesi. L’unica traccia fornita come esempio prevede la riflessione a partire da un brevissimo brano di Ennio Flaiano. Tale prova ha dunque caratteristiche, anche in sede di valutazione, ben diverse dalle prove precedenti e se ne dovrà tenere conto.

La prova strutturata su più parti, riferibili alle tipologie a), b), c)
Decisamente complessa invece è la tipologia 4 che prevede la prova strutturata in più parti, in cui lo studente dimostri (in quattro ore) le competenze necessarie per la gestione dei testi: lettura e comprensione, individuazione di gerarchie, analisi di lessico e lingua, abilità nel riformulare un testo e produzione di un testo autonomo. Una sorte di prova sommativa con un coefficiente di difficoltà ben più alto delle precedenti: nell’esempio proposto, dato un testo sui draghi tratto da Focus junior ai ragazzi viene chiesto di rispondere a domande a risposta multipla o quesiti aperti, di riassumere il testo della metà e infine di immaginare e narrare l’incontro con un animale fantastico su un’isola. Una prova bella indubbiamente, ma che immagino verrà difficilmente scelta in un contesto come quello dell’esame. Senza dimenticare che le tracce tra cui potrà scegliere il candidato saranno comunque solo tre.

Per concludere
Pur con i limiti che ho cercato di spiegare sopra, questo documento evidenzia con forza alcuni aspetti della didattica dell’italiano che non sono ancora diventati patrimonio comune nel mio ordine di scuola: la necessità di acquisire competenze in lettura e scrittura attraverso un apprendimento attivo; il piacere della lettura come finalità essenziale dell’azione didattica; la necessità di evitare il ricorso a tassonomie troppo analitiche nell’analisi del testo; la scrittura come processo reale attraverso l’esplicitazione del contesto, del destinatario, dell’argomento e dello scopo.
Il cuore della questione, del dibattito, però non sono le tracce d’esame, la questione è come e perché insegnare a leggere e scrivere alla scuola secondaria di primo grado: io credo che con un’efficace, capillare e costante didattica della lettura e della scrittura si possa e debba spingere i ragazzi a trovare la propria voce, a scrivere testi personali e creativi interessanti e ben strutturati, a comprendere i testi letti e a saperne argomentare. Ogni ragazzo deve essere in grado anche di scrivere testi personali, autonomi, rispondenti a un genere ma svincolati da una traccia o un’attività di riscrittura. Poi che nelle prove d’esame la si voglia risolvere con esercizi, va anche bene; ragazzi abituati a lavorare costantemente sulla scrittura e la lettura non incontreranno difficoltà. Purché si rifletta sul percorso che porta all’esame.

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