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Dante e i nipotini di padre Bresciani

Il pensiero politico di Dante (che pure, si sa, potrebbe essere considerato, e fu in effetti considerato, un pericoloso innovatore ed eretico, tanto che il De Monarchia fu proibito e messo nell’Indice) può apparire oggi, al lettore moderno, reazionario, e come tale fu visto, per esempio, da Edoardo Sanguineti, marxista, poeta e professore universitario, che ha firmato un libro intitolato appunto Dante reazionario. Sostenere la necessità dell’impero nell’epoca della nascita degli stati nazionali e della affermazione in Italia dei Comuni appare fuori tempo, un sogno del passato improponibile all’inizio del Trecento. E d’altronde la polemica della Commedia contro il maledetto fiorino e la nascente borghesia mercantile, contrapposta alle vecchia e virtuosa nobiltà cittadina, non può certo incontrare i favori della destra attuale.

Beh, e allora?, mi si dirà. Anche Verga crispino era un reazionario, anche Pirandello che al fascismo aderì addirittura subito dopo il delitto Matteotti. E potremmo fare numerosi altri nomi di italiani e stranieri (che dire di Céline, che addirittura scrisse l’elogio del nazismo e dei suoi massacri?).

Dante o Verga o Pirandello o Céline sono stati reazionari, ma a nessuno verrebbe in mente di vederli come maestri attuali del pensiero politico della destra. Anzitutto perché nessuno oggi potrebbe pensare di riproporre per l’Europa moderna un impero retto dalla diarchia imperatore-papa. Sostenere, come ha fatto il nostro ministro della cultura, che la «costruzione politica» di Dante «è profondamente di destra» significa applicare insensatamente categorie di oggi a un pensatore che a tali categorie evidentemente non è riducibile.

Ma il problema è un altro. Dire Dante significa oggi dire Commedia, dire Verga significa dire I Malavoglia, e così via. Le opere, quando sono dei capolavori, non sono mai né di destra né di sinistra perché giungono a noi portando nella loro identità le strutturazioni e l’eco delle letture di un pubblico sterminato e secolare. D’altronde i loro autori sono conservatori e progressisti insieme: godono del privilegio della forma e parlano quasi sempre il linguaggio della classe dominante incomprensibile alle grandi masse, ma nello stesso tempo, rivolgendosi a tutti, avanzano una istanza di liberazione e di eguaglianza. I grandi autori non possono essere introdotti a forza nelle categorie del pensiero moderno, perché parlano all’umanità intera di ogni epoca. D’altronde il nostro Dante non è più quello esule di Foscolo o di Mazzini o quello romantico di De Sanctis e neppure il lirico puro ma saltuario di Croce; le interpretazioni che si sono susseguite, diceva Bachtin, ne hanno modificato l’immagine e, con essa, la percezione del lettore.

Perché allora sostenere, come ha fatto il ministro della Cultura Sangiuliano, che Dante è il fondatore del pensiero della destra? Verrebbe voglia, come è stato fatto, di scherzarci su e di liquidare la questione con una risata. Ma non sarebbe giusto. Gramsci non si limitava a prendere in giro padre Bresciani e i suoi nipotini, ma cercava di capirne i legami e le radici che li collegavano a una condizione storica precisa e un fondo politico e culturale proprio del nostro costume nazionale.

Nelle frasi del ministro si avverte una intenzione politica che va smascherata e che riguarda il neofascismo attuale (ché di neofascismo bisogna palare, e non di postfascismo: Meloni non ha mai dichiarato una rottura con il passato del MSI e della Repubblica sociale). Le sue parole mostrano una chiara volontà di appropriazione, manifestata in modo scoperto, seppure con la tremarella (evidente soprattutto nella replica pubblicata sul Corriere della sera due giorni dopo) di chi avverte di averla sparata grossa e si sente confusamente in colpa.

Questa volontà di appropriazione deve far riflettere. La statura minima di chi oggi la esprime non deve ingannarci. La destra avverte che è il suo momento e fa le sue prove, dando avvio alle sue appropriazioni anche con questo ministro.

Oggi si assiste a una grave crisi della democrazia, come mostrano, fra l’altro, l’assalto dei trumpiani a Washington e quello dei seguaci di Bolsonaro a Brasilia. Veri e propri tentativi di colpo di stato. In genere si dice che la borghesia capitalista sceglie la carta reazionaria quando è a corto di consensi e si sente per questo minacciata. Oggi la minaccia per il capitalismo occidentale non è quella della perdita di consensi, ma è più grave ancora: viene sul piano commerciale e tecnologico dalla espansione economica della Cina e sul piano militare dalla aggressività della Russia. Gli Usa fanno fronte alla prima con ingenti investimenti (ultimamente 500 miliardi di dollari per lo sviluppo tecnologico), alla seconda con la guerra in Ucraina. Ma per la prima volta dal 1945 avvertono la precarietà della propria situazione e del rapporto stesso fra capitalismo e democrazia.

In questi ultimi mesi, insomma, il clima è diventato favorevole alla destra, anche quella neofascista, che infatti ha cominciato a farsi largo a poco a poco, occupando ogni spazio, anche quello culturale, d’altronde da tempo lasciato sciaguratamente sguarnito dalla sinistra. È lecito dunque aspettarci il peggio. Il ministro Sangiuliano è un povero nipotino di padre Bresciani, ma la forza che lo spinge e di cui forse è persino inconsapevole è più grande di lui, e fa paura.

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