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25 settembre: governo delle destre e rischio autoritario

Il 25 settembre tutti danno per scontato che dalle urne uscirà vincente il blocco delle destre. I sondaggi vanno in questa direzione da alcuni anni senza che nessuno abbia tentato di porre un rimedio, quando tempo e strumenti erano disponibili. Le responsabilità dei partiti di centro-sinistra, PD in testa, sono enormi. Andrebbe premesso che i sondaggi sono manipolabili, in particolare se i metodi seguiti sono di tipo non probabilistico come accade di norma. In tal caso le capacità reali di previsione sono modeste. Per quanto se ne può sapere il primo obbiettivo dei sondaggi è condizionare l’esito della competizione elettorale, e ciò potrebbe indurre qualche sospetto sui giochi in corso. Il divario tra i due schieramenti che si oppongono è tale che – come si dice – non sembra esservi partita. Vanno associate alcune considerazioni relative alla legge elettorale con cui torniamo a votare, il Rosatellum, un dispositivo definito da più parti incostituzionale, i cui effetti distorcenti in senso maggioritario sono di difficile previsione. Ad esempio in Toscana, a differenza da quanto si pensava, secondo uno dei massimi esperti di flussi elettorali, Antonio Floridia, l’effetto distorcente del Rosatellum moltiplicato dal taglio del Parlamento, sancito dall’ultimo referendum costituzionale, sembra produrre incertezza in molti più collegi del previsto. Con questo non voglio dire che i sondaggi sbagliano, ma che sono facilmente manipolabili. Quindi, l’esito del 25 settembre potrebbe riservare sorprese solo se si riuscisse a votare i candidati antifascisti che hanno possibilità di passare. Con questo non sostengo “il voto utile”, sostengo il voto a difesa della Costituzione.

La vera posta in gioco di queste elezioni è chi rappresenterà gli interessi della grande borghesia. Alla caduta del governo Draghi vi sono stati molti cambi di casacca significativi, in particolare quelli che hanno portato tutta l’ala “liberale” di Forza Italia verso il cosiddetto Terzo polo di Calenda e Renzi. Questo schieramento non ha la forza né organizzativa né politica di rappresentare pienamente la grande borghesia, nonostante la spocchia di Calenda, a cominciare dal fatto che lo stesso Draghi – almeno verbalmente – nega la disponibilità a un secondo mandato, che avevo previsto su questo blog in relazione ad un “pareggio” dei due schieramenti. La soluzione rimane nel novero delle possibilità, ma tutti i principali attori (Letta, Calenda, Renzi, Conte) hanno fatto del loro meglio per auto sabotare la possibilità di un pareggio.

Mi sembra che si profilino invece due scenari, che entrambi danno per scontata la vittoria della destra. A livello europeo si stanno ponendo le basi per una soluzione “giolittiana”, per usare un paragone storico con il tentativo di Giovanni Giolitti di addomesticare il fascismo. Le indiscrezioni de «Il fatto quotidiano» del 10 settembre, subito smentite dal Quirinale, riferiscono che in agosto ci sono stati due incontri riservati tra Mattarella e Meloni, in cui è stata messa sul tappeto la «compatibilità europea» del governo delle destre, attraverso l’assegnazione di quattro dicasteri fondamentali a personalità di provata fede europeista (soprattutto l’economia, ma anche gli esteri, la difesa e gli interni). Sembra che anche il voto al parlamento europeo contro la «democrazia illiberale» dell’Ungheria di Orban vada nella stessa direzione. La destra italiana ed europea è stata messa alle strette e i partiti di Meloni e Salvini hanno votato a favore, dimostrando quanto siano poco affidabili per l’establishment europeo. L’alternativa più dura a simili posizioni è: o le destre italiane si acconciano ad una «sovranità limitata» del proprio governo o è pronto il nodo scorsoio economico, già approntato dalla speculazione finanziaria internazionale sul debito sovrano italiano.

La borghesia nostrana – secondo una tradizione antica – si prepara a ricavare tutti i vantaggi possibili dal governo delle destre. Vanno in tale direzione gli ammiccamenti del presidente di Confindustria ed anche la campagna elettorale del Terzo Polo tutta rivolta contro il PD, compreso (durante la preparazione degli schieramenti) il plateale sabotaggio di Calenda della debole idea di «campo largo» di Letta. La soluzione ha un indubbio vantaggio, se si dovessero avverare le previsioni più severe di avvitamento della crisi. Con la previsione del prolungarsi della guerra guerreggiata ed economica e del peggioramento della crisi energetica, un governo più disinvolto nell’usare il bastone contro la possibile protesta sociale sarebbe vantaggioso. Possiamo considerare quanto sia meschino un vantaggio simile, ma ne abbiamo numerosi precedenti a cominciare dai fatti di Genova contro i no global, quando a dirigere le operazioni si trovò nella caserma di Bolzaneto uno dei padri nobili della Meloni, Gianfranco Fini. Tutto ciò la dice lunga su quanto il partito della Meloni e le destre italiane abbiano rotto con il fascismo. Dobbiamo, poi, aggiungere l’attrattiva della proposta della flat tax che sarebbe un evidente regalo alla classe dei ricchi.

Non siamo di fronte al ritorno del fascismo storico, ma all’affermarsi di quello che Josè Saramago, grande scrittore clandestino sotto la dittatura fascista di Salazar, definiva il fascismo «morbido»:

I fascisti del futuro non seguiranno lo stereotipo di Hitler o Mussolini. Non esibiranno quei gesti da militari duri. Saranno uomini che parleranno di tutto ciò che la maggioranza vuole sentire. Parleranno di gentilezza, famiglia, buone abitudini, religione ed etica. In quel momento sorgerà il nuovo demone, e così pochi capiranno che la storia si ripete.

Per quanto ci riguarda c’è un solo errore nel discorso: si parla genericamente di «uomini», ma in Italia tutto questo è rappresentato da una donna, per altro molto maschile nel piglio. È facile rintracciare i tratti dell’identikit di Saramago nelle posizioni della Meloni, ad esempio nelle sue recenti dichiarazioni antiabortiste. La premier in pectore, piuttosto confusa nel suo programma di governo, è stata chiara, invece, sul progetto di destrutturazione della Costituzione, centrato sul presidenzialismo, un obbiettivo storico della destra di sempre, più o meno golpista, da Pacciardi a Sogno, dal Gelli della P2 fino a Berlusconi. Si va, dunque, nella direzione di un rischio autoritario, che stravolge i fondamenti della Repubblica, nata dalla Resistenza partigiana, e il patto di convivenza civile contenuto nella Costituzione antifascista. Nel progetto di stravolgimento della Costituzione vanno inseriti: la secessione delle regioni ricche con autonomia differenziata, una “riforma” della magistratura, che metta la magistratura in un ruolo subalterno all’esecutivo, e una “riforma” della sanità che riduca ulteriormente i perimetro del servizio sanitario.

A proposito dell’antifascismo le dichiarazioni meloniane sono nette quanto oblique: come non esiste un pericolo di ritorno al fascismo, dato che ella afferma di non perseguirlo, mantenendo però nel simbolo la fiamma della Repubblica di Salò e del MSI di Almirante, non ha più senso l’antifascismo. Quindi dobbiamo aspettarci che il suo governo svuoti le istituzioni repubblicane e la festa nazionale della Liberazione da ogni contenuto antifascista.

Allora è utile chiedersi come cittadini democratici che fine ha fatto l’antifascismo. È stato abbandonato come “valore spendibile” in questa campagna elettorale, dove avrebbe avuto un suo senso come collante di un fronte ampio capace di tener testa al blocco delle destre. Letta ha provato a balbettare qualcosa all’inizio della campagna elettorale, ma si era guardato bene da dare questo connotato valoriale alla sua proposta di «campo largo», che ovviamente si è squagliato come neve al sole. Molti costituzionalisti si sono spesi perché si desse corpo ad un fronte unitario antifascista a difesa della Costituzione. Non sono stati ascoltati fino all’estrema proposta di un accordo tecnico che correggesse gli effetti incostituzionali del Rosatellum.

Possiamo dire che in questa fase la borghesia ha scelto il blocco delle destre come partito in grado di rappresentare i propri interessi di classe almeno finché esso dimostrerà di essere capace di difenderli. Si ha l’impressione che le prime delusioni verranno dal tentativo della Meloni di rinegoziare i piani del PNRR con il conseguente ritardo che, come è stato quantizzato, produrrà una perdita di almeno 20 miliardi di euro.

Sono gli interessi dei lavoratori a rimanere ancora senza rappresentanza, dato che si è dimostrato fallimentare il tentativo del PD di rinnovare i fasti dell’interclassismo democristiano. Ciò spiega come mai alcuni strati operai (ad esempio quelli della FIAT ingannati dalle sirene dell’età pensionabile) si sentano rappresentati dalle destre. Ribadire il rapporto storico, per altro contenuto nella Costituzione, tra piena occupazione, diritti del lavoro, limite del valore sociale delle imprese e antifascismo, avrebbe potuto contenere l’avanzata delle destre e può essere un obbiettivo per il prossimo futuro.

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