Dialogo sopra i miseri sistemi, ovvero dell’aggiornamento dei docenti
Questo dialogo è liberamente ispirato a fatti veri. D’altra parte, come tutta la letteratura, descrive la realtà molto meglio della cronaca; inoltre, come ogni autobiografia che si rispetti, è in effetti l’autobiografia di tutti.
L’autore è fra quanti credono che la letteratura sia utile solo se, una volta chiuso il libro o spento lo schermo del pc, ci si ributta nella realtà (personale o collettiva). In parole povere: spera che questo dialogo possa servire né più né meno di una presa di posizione netta e ferma contro il Piano di formazione del 3 ottobre 2016.
Già oggi di burocrazia e retorica, nelle scuole, stiamo morendo. Abbiamo bisogno di altro. Innanzitutto, di silenzio e cultura; poi, ben armati di quanto abbiamo appreso in solitudine, di lavoro di squadra. Ammesso che mai lo sia stato, oggi non è più il tempo in cui ci si salva da soli, chiudendosi la porta alle spalle. Dobbiamo collaborare, lavorare insieme, coi colleghi della scuola. Che, però, è ben diverso dal “lavorare in team” e dal “promuovere l’innovazione continua” di cui parlano tutte le Linee guida e i Piani di vario genere che ci arrivano annualmente dal Miur (e magari fossero invece quinquennali: almeno avremmo quattro anni di tregua ogni cinque. Invece siamo ormai alla nevrastenia riformatrice che si ripete ad ogni nuovo inizio).
Dialogo sopra i miseri sistemi
Personaggi
Lo Vetere, professore di belle speranze ammaccate
Il funzionario, miglioratore del mondo
ATTO I
«Così lei, Lo Vetere, vuole fare l’insegnante…»
«Sì»
«Ci ha pensato bene?»
«Certamente»
«È motivato?»
«Sicuro»
«Allora sappia che il tempo dell’Italietta è finito. Qui non si fanno mica più ramazzate del genere “tutti dentro quelli che passano per strada”. Oggi facciamo sul serio: vogliamo p-r-o-f-e-s-s-i-o-n-a-l-i-z-z-a-r-e il docente. Valutiamo e selezionamo con la gravità e serietà che questo compito delicato impone. Lo sa, vero, che il mondo di oggi chiede studenti dotati non di conoscenze ma di competenze? Lo sa, vero, che oggi il mondo del lavoro è mutevole, dinamico, flessibile? Lo sa, vero, che qui si parla di generazione 2.0? Lo sa, vero, che abbiamo bisogno di una nuova generazione di docenti che… Ma mi sta ascoltando?»
«Come? Ehm, no… sì. È che pensavo a una poesia di Giudici…»
«Mi scusi?»
«L’essere è più del dire, siamo d’accordo / ma talvolta non dire è anche non essere. Il primo verso è un’autocitazione. In un’altra poesia, Giudici aveva scritto che le parole, i progetti di riforma, saranno sempre difettivi rispetto alla realtà, e che in fondo sono forse inutili; poi però, in questa poesia, si corregge, con un guizzo reagisce, vuole reagire, sia pure come reagiscono i poeti: “dicendo”»
«Non si metta a far poesia, scusi. Qui parlavamo di professionalità docente»
«Sì, ho capito. Io infatti pensavo che il peccato originale di chi vuol fare l’insegnante è proprio il fatto di essersi nutrito di tante parole negli anni della formazione. Solo che nel nostro mestiere siamo chiamati a fare cose con quelle parole, a trasformare la realtà, voglio dire, a trasformare delle persone. Ed è una cosa difficile, una cosa forse impossibile. Però, ecco, chiacchierare all’infinito non serve, sì, bisogna che la scuola serva a preparare al mondo, alla realtà. Quindi accolgo il suo richiamo alla concretezza, persino al “fare”. Anche se, se permette, su questo dovremmo intenderci: io non credo che la realtà coincida precisamente con il mondo del lavoro e credo che la retorica del 2.0 e delle competenze sia una retorica…»
«Adesso non si metta a far filosofia. Per carità, i massimi sistemi, lei pone questioni importanti, però qui… insomma. Veniamo alle cose concrete. Lei è laureato, vero?»
«Certo»
«Saprà che oggi non basta più. Oggi chiediamo molto ai nostri docenti. Vogliamo gente preparata, che conosca la didattica, anche quella inclusiva, quella per competenze, quella a progetto, quella laboratoriale, e poi la docimologia, la psicologia dello sviluppo, la pedagogia, e poi che sappia usare il computer, conosca l’inglese, insomma: persone pronte alle sfide dell’innovazione!»
«Mmm… ho capito. Io comunque mi sono iscritto alla scuola di specializzazione post laurea. Ma è la strada giusta, vero?»
«Assolutamente sì. Se lei studierà per benino avrà abilitazione e cattedra. La legge è chiara. Consideri però che dovrà fare un po’ di gavetta, prima del ruolo…»
«Sì, il precariato…»
«Via, che brutte parole!»
«No no, dicevo così per dire. Io sono pronto»
«Lei mi sembra determinato»
[Lo Vetere sorride]
ATTO II
«Ah, Lo Vetere, di nuovo lei…»
«Mi scusi, ma ho sentito che il nuovo ministro ha dichiarato che da oggi le cose cambieranno, che ora si comincerà a fare sul serio con il reclutamento dei docenti. Sono tornato perché questo discorso mi ha ricordato cose che lei mi ha detto qualche anno fa. Concretamente: potrebbe spiegarmi questa novità del concorso a cattedra?»
«Non c’è nessuna novità: lei, con la specializzazione, ha fatto una scuola che l’ha abilitata, mica le ha garantito il ruolo! Oggi ristabiliamo la legge nel suo più sincero dettato»
«Scusi, mi sta dicendo che le immissioni dei miei amici e colleghi, in questi anni, sono state illegali? Poi fu lei a dirmi…»
«Ah, Lo Vetere, lei mi stupisce. E in negativo, sa?»
«E perché mai?»
«Lei non vuole essere valutato e selezionato»
«No, mi perdoni: io sono già stato valutato e selezionato e, ribadisco, fu lei a dirmi che avevo preso la strada giusta per…»
«Il concorso sarà molto selettivo. Vogliamo lasciarci alle spalle la vecchia Italietta: abbiamo bisogno di selezionare in un modo antico ma nuovo. Finalmente, direi. Oggi chiediamo molto ai nostri docenti. Vogliamo gente preparata, che conosca la didattica, anche quella inclusiva, quella per competenze, quella a progetto, quella laboratoriale, e poi la docimologia, la psicologia dello sviluppo, la pedagogia, e poi che sappia usare il computer, conosca l’inglese, insomma: persone pronte alle sfide dell’innovazione!»
«Sì, ok, questo l’ho capito, me l’ha già detto, proprio con le stesse parole, ma io…»
«Ora devo salutarla, Lo Vetere. Alti doveri incombono. Faccia il concorso, basta con questo sottinteso molto italiano sul posto fisso che spetterebbe di diritto»
«Senta, ma io…»
«Arrivederci»
ATTO III
«Caro Lo Vetere! Ha visto che ha fatto bene ad ascoltarmi? Ci voleva tanto? Si fa il concorso, e se si è bravi lo Stato le riconosce quanto le deve»
«Sì, io… sono felice… è una notizia bellissima, davvero…»
«Be’, addirittura commuoversi… su, su, lei è un professionista, prenda un fazzoletto, via»
«Finalmente potrò lavorare con serenità, con continuità, non più nel solco dell’emergenza. Ho una “mia” cattedra»
«Certo, certo, bravo, bravissimo. Naturalmente, prima c’è l’anno di prova…»
«Lo so, lo so, è una vecchia legge, però, se permette, forse adatta all’epoca in cui si entrava in ruolo subito dopo la laurea. Insomma, come direbbe lei, i tempi sono cambiati. Oggi di selezioni quelli della mia generazione ne hanno fatte parecchie… Io non potrò sottrarmi, pazienza, ma fossi in voi farei una revisione un po’ a tutta la baracca. A volte mi sembra di essere entrato in un loop formativo che sembra il sogno ossessivo di un cocainomane… senza offesa, eh»
«Carissimo Lo Vetere, noi siamo gente seria. Prima di dare una cattedra, vogliamo valutare e selezionare. È una necessità di sistema, ma le dirò di più: è un dovere morale, capisce? Abbiamo bisogno di professionisti preparati, anzi p-r-o-f-e-s-s-i-o-n-i-s-t-i r-i-f-l-e-s-s-i-v-i. Vogliamo verificare che lei conosca la didattica, anche quella inclusiva, quella per competenze, quella a prog…»
«Lo so, me l’ha già detto, questa è la terza volta»
«Ma nient’affatto, nient’affatto! Grandi novità invece! Quest’anno lei farà un anno di prova nuovo di zecca, come vuole il DM 850/2015. Basta con i pro forma della vecchia Italietta!»
[Lo Vetere ha la sensazione che gli abbiano posato un macigno sulle spalle, traballa]
«Ma… nuovo… in che senso?»
«Be’, naturalmente farà corsi di didattica, anche inclusiva, per comp…»
«Dio mio, il loop…»
«Come dice, prego?»
«Lasci stare. Sarò io, forse, che… pensavo a Pavese. Una volta osservò che se un argomento ti interessa, se davvero hai bisogno di capirlo, puoi pure andare a una conferenza, ma poi l’unica è tornare a casa e aprire un libro. Se no si finisce per innovare e far cooperare nel vuoto pneumatico»
«Lo Vetere, ma lei fatica a capire il senso delle mie parole: lei è recidivo!»
«Chi io? Ah be’…»
«Lei ha a che fare con un mondo nuovo e con una generazione 2.0 che figurarsi se i libri cartacei… Pavese, Pavese, via, come è rigido! Lei lo sa che la scuola di oggi…»
«Il loop, il loop… [mormorando. Poi ad alta voce] Ma, insomma, dove sarebbe la novità di questo anno di prova nuovo di zecca?»
[L’interlocutore sgrana gli occhi eccitato] «Lei compilerà un portfolio delle competenze e un bilancio delle competenze!»
[Sotto il macigno, una gamba di Lo Vetere comincia a cedere. Non ha studiato invano la docimologia e sa bene che cosa sia un portfolio e che cosa lo aspetti]
«Ma dove? Come?»
«Ma sulla nuova piattaforma Indire!»
«…»
«È uno strumento che mettiamo a sua disposizione per diventare un professionista riflessivo. Ad esempio, il sistema informatico le chiederà di ragionare sul tema Osservare e valutare gli allievi secondo un approccio formativo. E la guiderà anche nella compilazione, pensi: Si prendano in esame da un minimo di uno ad un massimo di tre descrittori, spuntandoli dalla lista che segue. Con l’aiuto delle domande guida disponibili nel documento ‘Indicazioni per la compilazione del bilancio di competenze’, si elabori un testo di massimo 2.000 battute, che argomenti e sintetizzi la propria posizione rispetto ai livelli di competenza percepiti. Livelli da considerare: 1) ho l’esigenza di acquisire nuove competenze 2) vorrei approfondire alcuni aspetti, 3) mi sento adeguato al compito»
«Capisco, sì. Scrivere una programmazione sensata, ragionare su ciò che voglio fare e su come farlo: gli strumenti, i tempi, le metodologie… guardi, se è per quello conservo sul mio pc tutte le programmazioni, e ogni anno le uso come cartina di tornasole: tolgo quel che non ha funzionato, provo cose nuove, modifico, rinnovo. Quello che lei chiamarebbe “feedback”»
«Bravissimo!»
«Però la mia programmazione è reale, voglio dire, mi guida nella mia attività quotidiana. Qui si parla di interagire con una macchina in una finta riflessione senza uno scopo concreto… non era lei che esigeva concretezza?»
«Eh già, Lo Vetere. E io come faccio a controllare che lei abbia svolto il compito se non mi lavora sulla piattaforma Indire? Guardi che oggi un professionista come lei ha il dovere dell’accountability: non avrà mica nostalgia dell’Italietta nella quale nessuno doveva mai rendere conto di quello che faceva? I più seri studi internazionali sulla valutazione di sistema ci dicono con chiarezza che…»
«Regolare, integrare, accelerare energicamente, garantire, unificare, adattare, controllare, includere e indirizzare. Sembra loro inoltre urgente: elaborare descrizioni tecniche e tassonomie didattiche, raggruppare le finalità dell’insegnamento e i loro ambiti, descrivere gradi e piani di studio in modo sufficientemente esatto, e distinguere scrupolosamente l’uno dall’altro i livelli di controllo delle finalità didattiche… Dal momento che io , contrariamente alla commissione permanente del Ministero della pubblica istruzione della Repubblica federale tedesca, non ho “a disposizione 36 unità complessive di punteggio da distribuire uniformemente nei livelli di controllo finale dell’insegnamento”, probabilmente non sono abilitato ad emettere un giudizio equilibrato. L’unico suono che riesco a percepire nelle frasi citate è un brusio di imbecilli»
«Lo Vetere, è impazzito? Cosa si mette a recitare mantra? E che cosa c’entra, ora, la Repubblica federale tedesca?»
«Niente, citavo un brano di Enzensberger»
«Chi?»
«Enzensberger, un poeta tedesco. Scriveva queste cose quarant’anni fa. Come al solito noi italiani siamo sempre provinciali e siamo arrivati in ritardo anche sull’altrui fallimento»
«Io non la seguo più, francamente, e mi pare che lei, oltre che recidivo, sia anche riottoso»
«Per schiudere ai giovani l’orizzonte della realtà nel suo insieme e con ciò anche rendere loro accessibile il superamento di questa stessa realtà bisognerebbe disporre di due cose: della solitudine e della libertà. Per fare quest’esperienza servono non tanto programmi didattici quanto dei veri insegnanti. Si parla però di insegnanti, che si sentano liberi rispetto a programmi troppo dettagliati; di insegnanti cui devono essere concessi ampi spazi per le proprie lezioni»
«E ora questo chi era? Di nuovo il suo Enzen… come diavolo si chiama?»
«No, Gadamer»
«Eh?»
«Gadamer, un filosofo tedesco, diciamo non proprio dei minori»
«Vedo che è fissato con la Germania, Lo Vetere. Ognuno ha i suoi hobby. Del resto, del suo tempo libero lei può fare quello che le pare, ma qui stiamo parlando, torno a ricordarglielo, di cose concrete: la sua professionalità, la sua professionalità riflessiva. Poi lei divaga, a lei piacciono i massimi sistemi, vecchio difetto dell’Italietta tutta cultura umanistica e citazioni, ma zero efficienza e modernità»
«Guardi, se è per questo io sono nipote di operai e contadini, non rimpiango mica il passato, sarei a lottare con la dura terra o in catena di montaggio, senza la modernità. Però lei ha un’idea di modernità che francamente…»
«Ora basta. Tanto lei il porfolio delle competenze e il bilancio delle competenze me lo deve compilare. Poi, se le aggrada, torni pure ai suoi hobby»
ATTO IV
«Lo Vetere, caro, carissimo Lo Vetere, ma non è stanco di venire qui a disturbare la gente che lavora per il benessere del sistema?»
«È che ho sentito del nuovo concorso»
«Ma a lei che gliene frega, mi perdoni? Lei è già di ruolo»
«Lo so, però ho sentito che “questa volta” il concorso sarà serio e selettivo»
«E allora?»
«Ecco, siccome questa l’ho già sentita, sa, mi è venuto lo scrupolo di aver fatto male a non aspettare questo. Non vorrei che il mio sia stato un concorso “da vecchia Italietta”. Qui basta cambiare tutto per non cambiare mai niente. Capirà, se ogni volta è la prima volta “che si fa sul serio”… Sembra “l’Eterno ritorno dell’eguale” di cui parlava…»
«Gadamer?»
«No, Nietzsche. Tedesco, anche lui»
«Lei ama scherzare, Lo Vetere»
«Guardi che, ad essere generosi, sembrate un disco rotto, mentre ad essere maligni sembra che amiate riempirvi la bocca di… ha mai visto “Robin Hood, il principe dei ladri”, quello con Kevin Costner?»
«Ah, ora mi fa pure citazioni pop!»
«Sa, sono un insegnante aggiornato, io…»
«Che fa, sfotte?»
«Non sia mai»
«Embé? Kevin Costner?»
«Ecco, in quel film, un personaggio dice di un altro personaggio “quello è pieno di piscio e vento”»
«Non si permetta, sa!»
«Scusi»
«Ha finito?»
«Sì»
«Arrivederci»
«Arrivederci»
ATTO V
«Chi non muore si rivede… Lo Vetere, per l’ennesima volta, che cosa vuole da me? Mi sta braccando?»
«Mah, veramente ero venuto qui proprio per fare a lei la stessa domanda. Quando mi lascerete lavorare in santa pace?»
«Si spieghi»
«Ho letto il vostro nuovo Piano triennale di formazione per i docenti e…»
«Ah, bene! Ha visto? Ora sì che facciamo sul serio!»
«Sì, infatti, l’Italietta è ormai alle nostre spalle. Siamo in piena corsa lungo la via che porta alle magnifiche sorti e progressive»
«Finalmente è tornato a casa con le citazioni. Foscolo…»
«Come no, a casa. Foscolo, quello con la gobba e che non profumava, ma che aveva comunque – miracolo – mille amanti, che cantava in versi immortali sotto forma di divinità greche»
«Venga al dunque»
«Eravate così tronfi e soddisfatti della bella invenzione del portofolio delle competenze e del bilancio delle competenze dei docenti neoassunti che l’avete esteso a tutto il personale di ruolo»
«Sì, è uno strumento essenziale per il professionista riflessivo»
«Che cosa, il fatto di trascorrere interi pomeriggi a documentare quel che faccio invece che a farlo?»
«Il feedback ricevuto dai docenti neoassunti con la compilazione dei questionari di fine corso ci ha dimostrato che…»
«Quali, quelli che somigliavano a questionari di soddisfazione del cliente?»
«Non faccia battute idiote. Raccogliere i bisogni formativi dei docenti è il passo preliminare per impostare un intervento di sistema che sia efficace con riguardo ai livelli di ingresso e agli stati di avanzamento. L’avrà fatto anche lei, quel questionario»
«Lo consegnai in bianco, anzi no, vi trascrissi un sonetto di Petrarca»
«Ah, disgraziato! E immagino che si sentirà orgoglioso di questa provocazione adolescenziale, questa scemenza indegna di un professionista riflessivo»
«Dipende. Lei si sente orgoglioso della scemenza del suo “sistema di formazione continua”?»
«Orgogliosissimo del sistema, che è tutto fuorché una scemenza»
«Bene, ad azione corrisponde reazione»
«Lei è un insoddisfatto, Lo Vetere, un misoneista. Lei non trova nulla di buono in quello che il suo paese le offre»
«È dunque importante costruire e utilizzare strumenti ed indicatori che consentano di garantire la qualità dell’intero ciclo di vita del ‘processo formativo’, a partire dalla progettazione fino agli esiti a lungo termine in relazione agli apprendimenti (non solo “disciplinari”) degli allievi, e che siano quindi rappresentativi di standard didattico-metodologici, organizzativi, di progettazione, di costo. Gli standard, organizzati come ‘checklist progressiva’, rappresentano un insieme di indicatori che consentono di mappare le caratteristiche di qualità ed efficacia delle iniziative formative. Un sistema di indicatori permetterà di monitorare al meglio l’andamento e i risultati degli investimenti sul capitale umano della scuola»
«Bello, sublime anzi. E da quale glorioso autore tedesco ha preso stavolta questa lucida e limpidissima prosa? O è di nuovo il suo Foscolo gobbo ma mandrillo?»
«Per la verità è il vostro Piano di formazione»
«Bene, bravo! Vedo che si aggiorna anche nel tempo libero»
«No, leggo per legittima difesa»
«Legittima difesa?»
«Dal nulla»
«Non ricominci coi massimi sistemi»
«No, guardi, altro che massimi. Qui siamo ai miseri sistemi»
«Non afferro la sua logica»
«Lo so»
«Ha capito l’importanza di un aggiornameto costante, progressivo, che accompagni il docente riflessivo per tutta la vita?»
«Se viene a casa mia le mostro le cartelle e i file di lavoro del mio pc e soprattutto la mia biblioteca personale»
«Sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che il vostro aggiornamento assomiglia tanto a quello della cara vecchia Italietta burocratica e inconcludente, solo che è cambiata la veste: ora scrivete più à la page, secondo la nuova prosa degli esperti mondiali di valutazione di sistema e affini, e su tutto avete spolverato una retorica pubblicitaria della peggior specie, come se fossimo clienti da persuadere. È terribile. E sì che nel primo atto ero pieno di motivazione»
«Il primo atto? Eh?»
«Lasci stare»
«Le ho già detto: venga al dunque»
«Leggendo quel Piano sembra che gli insegnanti italiani abbiano bisogno di essere inseriti in un carrozzone chiamato “sistema permanente della formazione”, come se non si formassero»
«Gli insegnanti italiani non si formano, infatti»
«Guardi che nel vostro documento avete scritto voi stessi che in Italia si forma il 75% degli insegnanti»
«Sì, è vero»
«Allora come fa a dire che “gli insegnanti italiani non si formano”»
«Be’, ma siamo sotto la media europea»
«Visto, ho letto i dati. Un documento con dei dati è sempre rassicurante, si capisce che si ha a che fare con persone che fanno sul serio, finalmente. La media dei docenti europei che si aggiorna sta tra l’80 e il 90%. Però avrà visto l’intervista alla ministra su quel settimanale dal titolo qualunquista»
«Certo, io stesso le ho suggerito di parlare con la stampa popolare, così da far sapere a tutti gli italiani che cosa stiamo facendo per migliorare il paese»
«Eh, ma capirà che se il nostro datore di lavoro va su un giornale e si esprime in termini come “i docenti devono tornare dietro i banchi” aggrava solo la percezione diffusa che gli insegnanti italiani siano degli ignoranti nella totalità. Non le pare? Ed è in contraddizione con i dati da voi stessi forniti»
«Lei sottilizza, Lo Vetere: dobbiamo allinearci alla media europea»
«Già, gli standard internazionali… le ricerche internazionali… ce lo chiede l’Europa…»
«Precisamente»
«E per allineare del 10% gli italiani agli standard europei lei costruisce un sistema folle, totalitario, farraginoso e pieno di piscio e vento, descritto in un documento di 88 pagine, che sembra la rifondazione dell’universo su nuove basi?»
«Guardi, fingo di non aver sentito la sua offesa. Noblesse oblige. Caro, carissimo Lo Vetere, a lei sfugge la logica di questo Piano. Una logica totalmente nuova»
«Sì, direi una logica “finalmente!” nuova. Il tempo degli scherzi è finito, ho capito»
«Legga, senta, rifletta, si metta in discussione. Qui non si parla mica di compiti burocratici. Noi vogliamo mettere gli insegnanti al centro, rendervi protagonisti del vostro stesso apprendimento: Il Piano, quindi, oltre a orientare la progettualità delle scuole e dei docenti, assume una funzione di indirizzo per concretizzare le proposte formative dell’Amministrazione centrale e periferica, in modo da rendere coerenti e sistematici gli interventi formativi e creare una sinergia virtuosa tra scelte possibili e risorse disponibili…»
«Fa freddo nella storia / voglio andarmene»
«… rappresenta quindi un quadro di riferimento istituzionale rinnovato della formazione in servizio, e non un semplice insieme di prescrizioni amministrative o gestionali. La formazione in servizio diventa ‘ambiente di apprendimento continuo’, cioè un sistema di opportunità di crescita e di sviluppo professionale per l’intera comunità scolastica…»
«Il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, con un terrore di ubriaco»
«La partecipazione ad azioni formative, con una pluralità di scelte possibili, deve fare riferimento alla comunità scolastica»
«Senta, io conosco solo un modo per dare qualità alla mia comunità scolastica: è quello di studiare e prepararmi, per mettere poi a disposizione quello che so. Voi qui parlate di tutt’altro. Vi sono gli strumenti per legare il disegno organico sulle azioni formative all’interno della scuola alle priorità e ai traguardi di miglioramento di ogni Istituto. Le analisi interne al RAV sono la base di partenza per il Piano di Miglioramento e lo stesso RAV individua la formazione come una delle 7 aree di processo su cui viene espresso un giudizio sull’istituto e uno degli obiettivi di processo che la scuola può indicare e defininire per raggiungere i risultati»
«Lei è un individualista»
«Forse credo soltanto che questo non sia un mestiere al quale possa essere addestrato da un “sistema di formazione permanente”. Sono due logiche inconciliabili. Lei pensa di ottenere un essere umano a partire dai pezzi di un cadavere: lei è Frankenstein»
«Lei vuole chiudersi nella torre d’avorio dell’otium»
«La formazione è un dovere professionale oltre che un diritto contrattuale. Ai singoli insegnanti spetta inserire, nel proprio codice di comportamento professionale, la cura della propria formazione come scelta personale prima ancora che come obbligo derivante dallo status di dipendente pubblico»
«Bravo, proprio così»
«Ma lei ha idea del perché io faccia questo mestiere? Pensa che sia perché ho un “dovere” e un “diritto contrattuale”? Lo sa che cos’è una prescrizione paradossale?»
«A me pare che lei ami fare il professorino»
«Se io studio è proprio perché sono libero, non perché arriva lei col suo “Piano” e mi “impone” la libertà di studiare, di “curare la mia formazione come scelta personale”. Questa è una prescrizione paradossale»
«Lei pensa solo al suo orticello. Noi pensiamo al futuro dei ragazzi e dell’Italia. Lei è solo uno strumento, professore, se lo ricordi!»
«Quale futuro? In quale società? La scuola deve pensare la società per possibilità, per alternative ai fatti, deve creare la storia, o deve solo adeguare gli esseri umani alla storia già data, per un realismo di gentaglia più realista del re? Ecco la vostra “premessa” al Piano: le profonde trasformazioni della società italiana e le sfide da affrontare a livello europeo e globale impongono, oggi più che mai, una particolare attenzione allo sviluppo del capitale culturale, sociale e umano che rappresenta l’insieme dei fattori fondamentali per sostenere e accelerare la crescita del nostro Paese. Questa è la fine di ogni paradigma culturale e formativo: è l’imperio totale dell’economia»
«Lei è un disfattista»
«Sì, gioiosamente»
«Non faccia dell’ironia fuori luogo»
«Assolutamente sì, fuori luogo, è un’ironia extralocale la mia: una volta la chiamavano utopia»
«Lei mi ha stancato»
«Anche lei. Direbbe Verdone, “allora vede che la cosa è reciproca”?»
«La saluto, Lo Vetere, addio, vada, vada, col suo Verdone, il suo Foscolo, il suo Gadamer, il suo come diavolo si chiama. Vada a chiudersi nel suo eremo»
«Lei mi inseguirà anche lì»
«Ha ragione. Ha perfettamente ragione. Si ricordi di compilare il portofolio delle competenze e il bilancio delle competenze»
EPILOGO
L’epilogo è ancora da scrivere. E l’autore dichiara, in tutta sincerità, che davvero non sa come andrà a finire.
Fotografia: G. Biscardi, Palermo 2016, direzioni.
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Caporedattore
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Editore
G.B. Palumbo Editore
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