Fuori dalla porta della classe
Le otto di mattina. Entro dalla porta principale dell’istituto tecnico dove insegno, mi affaccio in aula docenti, saluto qualche collega e mi avvio al piano: ho appena ammesso di non amare l’aula insegnanti. Due rampe di scale, pochi passi, mi fermo davanti alla porta della classe. Il tempo di non sentire il macello che già stanno facendo gli alunni, di farmi sfiorare da un ritardatario che sfila dentro da dietro e puntuale lui arriva: il mio breve istante di fifa quotidiana. Proprio la fifa, o paura che dir si voglia. Ma preferisco chiamarla fifa: la fifa dell’insegnante. Questa mattina dovrebbe trattarsi giusto di un saluto veloce, la lezione in terza su Petrarca ce l’ho bene in testa, devo anche interrogare. Poi ho due ore in quinta: Svevo per Italiano e la guerra civile spagnola per Storia. L’ultima ora analisi del periodo in seconda e la mattinata dovrebbe filare via liscia e senza intoppi. Insomma, la fifa dovrebbe salutare, io ricambiare e lei andarsene prima del solito. Eppure, sentendola qui accanto, oggi mi ritrovo a pensarla un po’ meglio. Realizzo che da diciassette anni in cattedra non è mancato una mattina il suo saluto, dal giorno in cui per la prima volta ho aperto la porta della mia prima classe. Lei c’è sempre stata, un attimo, giusto un saluto magari, ma mi rendo conto che c’è sempre stata. I primi anni mi vergognavo a confessarlo, soprattutto a me stesso. Sempre più persuaso di fare il mestiere giusto, testimone dell’esperienza quotidiana dell’essere intimamente contento a scuola e di tornare altrettanto contento a casa, nei primi tempi vivevo la fifa come una specie di macchia di troppo su una tovaglia bella e pulita. Ero convinto che fosse inammissibile provare fifa prima di entrare in classe. Eppure, puntuale come il giorno e la notte, prima di entrare la fifa era lì. Non solo. Spesso aveva fatto il viaggio in macchina insieme a me, qualche volta addirittura si presentava in casa la sera prima. Passerà mi dicevo. Non è passata e anche in questo momento è qui.
Dentro la porta della classe
Come un esploratore che a forza di viaggiare riesce a disegnare il profilo della terra che scopre, con il tempo sono riuscito a vedere sempre meglio i contorni della mia fifa da insegnante. Ma non potrei che raccontarli per induzione, ad esempio ripassando queste quattro ore apparentemente semplici che oggi mi si parano davanti. Vediamo. Prima ora in terza. Petrarca. Devo lavorare bene. Ho studiato abbastanza ieri? Ho dovuto preparare anche Storia, alla fine ero stanco, ma devo far capire loro cosa è significato essere scisso per quello lì. Mi aiuterà il segreto del Secretum. Ma mi ascolteranno? Sono ventotto, sebbene ci sia un ottimo rapporto sono comunque rumorosi e spesso agitati. Ecco, devo coltivare quel rapporto ma gestirli. Sarà questione di testa ma anche di corpo. Reggeranno la lettura? La traduzione del manuale sarà all’altezza della loro attenzione? Ma devo arrivarci. Se la capiscono questa cosa del dissidio interiore, capiranno molto dell’autore. Capiranno molto di loro stessi. Poi ci sono due orali da fare. So chi devo sentire. Uno di questi, Lorenzo, sta andando male. Sta mollando, so che va male anche in tutte le materie di indirizzo. Potrei aiutarlo, ma lui deve metterci qualcosa di suo. Però è spento. È a rischio fallimento scolastico. La situazione a casa è una delle infinite anonime situazioni complicate di molti suoi compagni. Eppure lui è ancora più fragile e io so che un sedicenne che scompare è una catastrofe silenziosa, un danno per l’umanità. Ma poi ci sono gli altri che osservano. Ci sono io. E tutto questo deve diventare un numero, una valutazione, un giudizio. La vertigine del giudizio. Devo essere lucido. Speriamo bene. Finito con la terza vado in quinta. Beh, lì ci sto bene, gioco in casa. Faccio il programma che amo, la letteratura e la storia del Novecento. E si vede. Le ore volano e il clima è ottimo. Ma devo prepararli al meglio per l’Esame di Stato. Quest’anno c’è il commissario esterno. E poi qualcuno forse me lo sto lasciando indietro. Mi viene il dubbio che per gratificazione personale in questo periodo sia volato troppo alto e mi sia dimenticato dei più fragili. Certo, quei tre-quattro bravi vanno alla grande, ma lo farebbero indipendentemente da chi hanno davanti. Ma quelli più deboli? Ecco, stamattina con Svevo sono a rischio, tutta quella roba che avevo in mente sulla inattendibilità forse è il caso che la rimoduli. So che staranno attenti, ma saranno attenti? Devo essere lucido e intelligente. Speriamo bene. Ricreazione, riprendere fiato alla macchina del caffè. Di nuovo in quinta, con la guerra civile spagnola. Ieri pomeriggio ho voluto ristudiarla bene. C’ho preso gusto, ho divagato, ho passato un’ora a guardare video dell’Istituto Luce su YouTube, ma che ci faccio? Parto da Guernica sulla lim? Terra e libertà lo consiglio per casa? Ci sono quei due impegnati politicamente che si dicono di estrema destra. Non si tratta di una scelta neutra o banale metterli da soli a casa di fronte a quel film. Come lo gestisco? Coinvolgo quegli altri due che si dicono anarchici. Incarico le due fazioni di approfondire il tema a gruppi. Se me la gioco bene in classe potrebbe venire fuori un bel momento, si confronteranno e ognuno dirà la propria. Tutta la classe sarà tirata dentro e magari ci scappa un’ora in cui si vola alto. O molto più probabilmente succederà un macello. Ma vale la pena provarci. Devo essere lucido, intelligente ed equilibrato. Speriamo bene. Infine la quarta ora in seconda. Grammatica, analisi del periodo. Mi viene il vomito a pensarci. Io la odio la grammatica, o sai scrivere o non sai scrivere. Eppure questi scrivono tutti malissimo, qualcuno dovrà insegnargli a maneggiare quei benedetti periodi. Chi? Tu, che domande, vengono a scuola apposta. E allora scegli: o li piazzi di fronte a filotti di esercizi da correggere a sberle di noia o usi l’analisi del periodo per imparare a scrivere meglio, a pensare meglio, a essere meglio. Del resto sei tu che chiedi loro sforzo e volontà. Se non ce li metti tu per primo, che ci provi a fare? Un bel respiro profondo e tenteremo di fare brillare anche un’ora sulle subordinate. Devo essere lucido, intelligente, equilibrato, competente. Speriamo bene. A quel punto la campanella della quinta ora dovrebbe essere suonata. Saluterò qualche collega, mi affaccerò in aula docenti e come sempre la eviterò, uscirò dalla porta principale dell’istituto tecnico dove insegno. Sarà finita la mattinata.
In fondo al corridoio
L’istante se ne sta andando e ormai devo realmente entrare ma sento che oggi la fifa si vuole congedare con una sorpresa. Ecco la mia redenzione: finalmente mi convinco che solo uno sciocco non proverebbe timore di fronte alla costruzione di una cattedrale del genere. E sì che ho giusto scimmiottato nei pensieri il peso specifico di quelle ore. Come aver scarabocchiato con pochi tratti il progetto di una cattedrale. Per ogni ragazzo la costruzione di una cattedrale, ogni mattina, oltre duecento mattine all’anno. Centinaia di ragazzi, per anni, per una vita professionale intera. Fa spavento. Fa spavento perché spaventa pensare a quanta vita passi dentro a una scuola, a quanto di pulsante, di irrequieto, di moto perenne delle menti e dei corpi si concentri dentro una classe. Mi dico che sono questi i confini tracciati dalla mia fifa da insegnante. Confini che intimoriscono ma che mi sembrano bellissimi. Grazie all’istante di fifa quotidiana capisco quanto sia per me vitale respirare la responsabilità di essere in un posto così essenziale e traboccante di vita. Sento quanto sia giusto provare un sacrosanto e responsabile timore. Intuisco come l’irriducibile complessità del mestiere educativo debba affacciarsi rispettoso sul singolarissimo infinito di ogni ragazzo. È questa la sostanza di cui è fatta la fifa dell’insegnante, è questo il prezioso lascito che da sempre ci permette di aprire la porta della classe, anche a me oggi. Un respiro profondo e l’istante di fifa quotidiana è già in fondo al corridoio che mi saluta. Forse non mi ha visto entrare in classe o forse ha giusto sbirciato i miei pochi passi verso la cattedra mentre già intimo a tutti di sedersi: «aprite il libro e cercate il Secretum».
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La fifa dell’alunno
E chi se l’aspettava che un professore avesse paura di entrare in classe? Spesso siamo noi alunni ad avere l’ansia di entrare in quelle maledette 4 mura, consci magari nel sapere di non essere pronti alla verifica o di essere indietro nel programma. Vorrei ringraziarla per essere uno dei pochissimi professori che mi (ci?) fa amare le sue materie e sapendo ciò che prova la vorrei rassicurare su una sola cosa: la fifa che lei prova non viene percepita da noi alunni, questo è poco ma sicuro. Perché un professore preparato non può dar l’idea di una persona spaventata, questo mai, almeno in ambito professionale. Forse é tardi per dirlo ma faremo in modo che lei non provi più fifa in quinto. E spero che lei faccia lo stesso con noi! Grazie mille prof!
Un grande professore.
Un grande professore, sono estremamente fiera di far parte di quella classe quinta.
Grazie!
Sì, grazie!Da collega posso dirti che è il mio quinto anno a scuola ed è vero che questa paura esiste così come è vero che non ne parliamo mai fra noi. Forse perché è una sensazione molto intima e,come hai ben spiegato, è indefinibile e destabilizzante. Ma è anche un buon segno. Ho imparato a capire che è questa paura a darmi l’adrenalina giusta per affrontare l’ora. Efinché lei ci sarà,potrò stare tranquilla perché saprò che quello che faccio mi interessa, ci tengo, mi sta a cuore. Spero che fifa sia sempre con me.
Grazie (2)!
Esprimi con maestria, sensibilità e precisione cose molto complesse e che sento molto vicine.