Elogio della lezione frontale. Il multimediale, le parole e il gesso
So utilizzare bene il pc
Lo so usare perché mi è sempre piaciuto farlo o semplicemente perché appartengo a una delle prime generazioni che l’ha usato sin dall’infanzia. A sette anni digitavo load/return su un Commodore 16 ma avevo già messo le mani su un Vic 20. A dieci anni iniziavo a scrivere linee di Basic con il Commodore 64. Arrivato al liceo mi sono fatto regalare un Amiga 2000 per la possibilità di fare programmazione e utilizzare Workbench e non solo giocarci a SWOS. Ho visto, utilizzato e smontato tutte le versioni di Windows: dal primo a Win 95 per passare al 97, dal 2000-XP-Vista-7-8 fino a Win 10. Ho sperimentato tante macchine, sono partito con un 286 e 20 mb di hard disk per arrivare a un 486 e un Monkey Island 2 che girasse fluido. Ho passato in rassegna i Pentium fino ad arrivare all’i7 con 1 tb di disco fisso che sto usando ora per scrivere queste parole. Abito la rete da sempre, ho iniziato a spedire mail dalla fine degli anni Novanta. Nel frattempo ho scoperto il mondo open source, Linux, ho imparato ad aprire Terminal ma conosco bene anche il mondo Apple. So montare e smontare file, creare archivi, database, gestire software e far funzionare al meglio gli hardware. Ho lavorato sugli ipertesti, so costruire un sito web, gestire un blog, abito quotidianamente il mondo social. Mi tengo aggiornato, sto di fronte a un monitor molte ore al giorno. Insomma posso dire di usare il pc bene. Non al livello di qualcuno che ora mi viene in mente, ma so utilizzare il pc bene. Da sempre un portatile collegato alla rete è a scuola con me, i miei alunni sono in rete con me, grazie alla rete ho conosciuto molti insegnanti eccezionali, in Italia e nel mondo, divenuti termini abituali di confronto per la mia prassi scolastica. Mi sono sempre interessato ai nuovi approcci didattici, possibili e immaginabili, che integrassero in modo intelligente passione per l’insegnamento, solidità degli obbiettivi e nuove tecnologie. Ho sempre cercato e continuo a cercare online tutto ciò che possa darmi sentore di una ulteriore possibilità, sfrutto le potenzialità dell’e-learning, comprendo l’essenziale patrimonio culturale del mondo dei videogiochi. Ovviamente sono un sostenitore dell’utilizzo felice del registro elettronico, benedico la comodità e l’infinito risparmio di tempo che consente. Con il pc integro senza problemi la lim sfruttandone le potenzialità, metto in condivisione i lavori, utilizzo mappe, linee del tempo e questionari completamente interattivi. Uso Moodle e tante altre piattaforme, cloud vari, organizzo abitualmente il lavoro quotidiano attraverso la classe virtuale che implemento con software di ogni tipo, dai più comuni (suite varie, Office, Prezi e simili) fino a quelli per l’elaborazione grafica (Gimp, Photoshop), video (Premiere Pro) e audio (Cubase, Pro tools, Reaper). Ma interessante o meno cosa sappia fare o non fare il sottoscritto con aggeggi di sorta, la premessa serve solo a introdurre ciò che potrebbe apparire, e forse lo è davvero, una provocazione. Tutto questo per affermare insomma che, nonostante il mio profilo sembrerebbe essere quello del cosiddetto docente 2.0/3.0/4.0/5.0 etc., continuo a considerare la lezione frontale come la pietra angolare su cui si fonda il mio mestiere di insegnante.
Per capire
Sì, proprio la lezione frontale, docente di fronte agli alunni, messi all’antica: l’uno in cattedra, gli altri seduti dietro i banchi a due, il libro o una fotocopia, nient’altro che voce e gessetto. Per scelta e aspirazione. Sebbene personalmente in grado di capire e mettere a sistema quanto di meglio le nuove tecnologie ma soprattutto le nuove metodologie possano offrire. Al netto dei fiumi di parole spese negli ultimi anni sulla didattica innovativa. Consapevole di tutti i processi sommari di ogni grado a un sistema d’istruzione unidirezionale considerato obsoleto e improduttivo. Io so che, per quanto mi riguarda e per via del tutto induttiva, i risultati migliori a scuola li ho ottenuti e li ottengo tuttora con lezioni frontali. Con una precisazione essenziale: a oggi, dopo diciassette anni di insegnamento, un dottorato e un impegno attivo nella ricerca letteraria e didattica, posso dire di saper fare lezione frontale, per come la intendo, solo su alcuni argomenti: quelli che conosco molto bene. Porto alcuni esempi. Negli ultimi anni ho studiato a lungo alcuni autori della nostra letteratura moderna e contemporanea. Contestualmente ho insegnato in diverse quinte classi di istituti tecnici dove, ma tu guarda, ho fatto lezioni frontali ad esempio su Pasolini e Calvino, della durata anche di due ore, con un piccolo intervallo nel mezzo, senza problemi di cali di attenzione e con risultati ottimi alle verifiche. Ho letto passi da Che cos’è questo golpe o L’antitesi operaia e gli alunni non si sono annoiati: ne sono testimoni gli insegnanti di sostegno presenti. Gli studenti hanno capito, sì, hanno capito lo snodo dei Settanta e la perdita di centro della riflessione sul reale di fine anni Cinquanta. Ne hanno tratto beneficio all’Esame di Stato: sono testimoni i commissari esterni presenti alle tornate di esami. Alunni che studiavano Meccanica e Sistemi, Economia aziendale e Informatica. Sempre in questi anni, ad esempio, ho dato da leggere a delle seconde Il sentiero dei nidi di ragno e Una questione privata e poi fatto lezioni frontali sul punto di vista dei personaggi attraverso il rapporto con le armi da fuoco: gli alunni non si sono annoiati e i risultati sono stati altrettanto confortanti, pur trattandosi di un contesto più complesso, quello del primo biennio. Potrei fare altri esempi, su Petrarca o Manzoni, sulla seconda rivoluzione industriale o le due guerre mondiali per quanto concerne l’insegnamento della Storia, ma dovrebbe essere ormai chiaro dove voglio andare a parare: se l’insegnante è depositario di un’esperienza culturale compresa realmente e profondamente, la trasmissione di un tale tesoro non sarà mai troppo complicata. Occorreranno i ferri del mestiere, che sono tanti e andranno conosciuti e gestiti, ma se l’esperienza del docente è vera, questa non potrà non diventare vera anche per gli alunni. È questo a mio giudizio il grado zero della trasmissione didattica: sentire e sperimentare che tutto ciò che si conosce realmente e seriamente passi e arrivi senza troppo faticare, quasi per osmosi verbale.
Sì, però
Ma allora, alla luce di quanto affermato, sarebbe possibile fare lezioni convincenti solo su argomenti su cui ci siamo laureati o addottorati? Certo che no, ed è qui che viene il bello o il brutto, a seconda di come la si voglia vedere. Sono convinto che l’insegnante sia per definizione un essere che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato. È quello che ho sperimentato e che continuo a verificare ogni anno che passa, da diciassette che sono in cattedra, con un pizzico di timore di reggere alla lunga ai miei pomeriggi cinque giorni su sette, dalle tre alle sei chino sui libri, dopo le cinque ore mattutine di scuola. Insegnando prevalentemente al triennio mi occupo di letteratura italiana dalle origini a oggi e della storia medievale fino a quella contemporanea. Ogni giorno mi trovo, oltre all’ordinario, nella necessità di studiare sempre più approfonditamente argomenti che continuamente mi sfuggono o che si complicano. Non parlo delle strategie di come comunicarli, no, parlo dell’argomento in sé, delle tanto vituperate conoscenze che ogni anno si ridefiniscono anzitutto per me stesso. Per riportare tutto in classe? Certo che no. Per sapere mille per poter trasmettere dieci, questo sì. Ogni anno che passa si amplia il ventaglio delle mie lezioni frontali che so arriveranno al traguardo. Ho in mente la mia personale lista di argomenti, autori e passi, per i quali so di avere bisogno giusto di un libro o di una fotocopia e una lavagna per portare a casa una lezione ben fatta: il nostro Novecento letterario ad esempio mi è sempre più semplice da trasmettere. Ma ho in mente anche la mia personale lista nera di argomenti e autori rispetto ai quali so di aver bisogno di molti più strumenti per ottenere lo stesso risultato: quelle poche volte che ho dovuto insegnare storia antica ho vissuto veri e propri calvari didattici a fronte della mia preparazione meno qualificata. Del resto non è esperienza di ogni docente quella di conoscere e accrescere il numero delle proprie carte vincenti e dei propri argomenti a prova di classe, nonché quella di sanare i propri buchi formativi? So bene che il mio traguardo ideale, magari a fine carriera, dovrebbe essere quello di potermi muovere con sicurezza in tutto il panorama curricolare delle mie discipline. Così bene da poter sostenere, nel mio caso, anche una riuscitissima lezione frontale sulla cultura sumerica.
Concludendo
Mi rendo conto di come il discorso sia semplificatorio e forzato, ma forse ciò è inevitabile al fine di suscitare un confronto. Del resto l’ho presentata come provocazione e a questo punto mi rendo conto che di questo si tratta. Ho in mente le possibili obiezioni a una riduzione di questo tipo; occorrerebbe ad esempio specificare ed entrare nel merito di cosa significhi condurre con la parola e qualche colpo di gesso un’ora di lezione frontale. Occorrerebbe chiarire come la lezione frontale non implichi la passività, tantomeno verbale, dello studente e la sua esclusione dall’interazione con il docente. Occorrerebbe affrontare il tema dell’autorevolezza del docente e della sua costruzione al fine di consentire la prassi comunque forzata dell’ascolto unidirezionale. Concordo sul ritenere la pratica didattica migliore quella che integra in modo intelligente ogni risorsa spendibile in classe. Ma – inutile nascondermi – mi interessa anzitutto porre la questione con una presa di posizione chiara: ribadire la centralità dell’insegnante e del suo bagaglio insostituibile di conoscenza.
Sì, la conoscenza, parola a quanto pare sempre più soggetta a un equivoco sottile, quasi fosse la conoscenza pietra d’inciampo nel percorso verso una formazione di tipo moderno, quella conoscenza che a mio giudizio resta invece alla base della trasmissione e della condivisione del sapere.
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G.B. Palumbo Editore
Dottore in fisica e in lingue straniere
chiarisismo professore
sono d’accoordo con lei e appoggio la sua visione nel mio campo di azione che riguarda le scienze matematiche e fisiche e l’elettronica da costruttore
visto che lei insegna storia avrei ppiacere di inviarle via mail un piccolo saggio che ho scritto e al contempo la invito a visionare l’opera di Antonia Colamonico che troverà cercanto in rete “l’occhio biostorico’ o ‘biohistory of knowledge ‘
io ho svolto anche lezioni frontali per piccoli gruppi via skype
la saluto e una volta ancora mi complimento per ilsuo entusiasmo
K
DR
dottor de romanis la matematica è il metalinguaggio che abbiamo inventato per mimare i processi di funzionamento dell’universo se viene insegnata in quella direzione anche le ‘pallosissime’ tecniche che devono comunque essere apprese rimangono più facilmente presenti alla memoria e passano ISK altrimenti ‘esame dato esame dimenticato’ in tal senso trovo pessimi gli insegnamenti della letteratura tramite identificazione e conta delle figure retoriche in un brano di testo
[mi è toccato di vedere anche quello e le assicuro che fa sanguinare il cuore vedere Manzoni o Boccaccio ridotti a una conta di sineddochi e squazzarogli del genere )]
Risposta a Claudio Cannella
Gent.mo Claudio, grazie per le segnalazioni e le osservazioni. Per il saggio mi cerchi pure su Facebook. Concordo sul fatto che il discorso valga, pur con i dovuti distinguo, per la materie scientifiche. Un caro saluto!
dott.
[quote name=”claudio cannella”]dottor de romanis la matematica è il metalinguaggio che abbiamo inventato per mimare i processi di funzionamento dell’universo se viene insegnata in quella direzione anche le ‘pallosissime’ tecniche che devono comunque essere apprese rimangono più facilmente presenti alla memoria e passano ISK altrimenti ‘esame dato esame dimenticato’ in tal senso trovo pessimi gli insegnamenti della letteratura tramite identificazione e conta delle figure retoriche in un brano di testo
[mi è toccato di vedere anche quello e le assicuro che fa sanguinare il cuore vedere Manzoni o Boccaccio ridotti a una conta di sineddochi e squazzarogli del genere )][/quote]
Ha proprio ragione, caro Cannella. E, del resto, quel computo di figure retoriche è toccato un po’ a tutti, e – in verità – lo abbiamo fatto un po’ tutti, in classe, specialmente un po’ di anni fa quando eravamo tutti strutturalisti (o post-). Ma, prendendo in prestito la sua immagine sanguigna del cuore dolente e rendendola più cruenta, è come mostrare a un vegano la vivisezione di un coniglio e poi estrarne le budella, del coniglio, per fargliele mangiare, al vegano, e poi meravigliarsi pure che fugge via inorridito – sempre il vegano. Mentre si dovrebbe prendere il coniglio, ancora vivo, e lisciargli il pelo, e dargli qualcosina da mangiare, e poi tenercelo un po’ lì, in braccio, a coccolarlo e vedere che effetto gli/ci fa. Forse a qualche studente verrà persino voglia di portarselo a casa, il coniglio, e continuare ad allevarlo. E magari anche trovargli una compagna, e allevare tanti bei coniglietti morbidi e teneri. Forse chi alla fine di questo processo è diventato scrittore, ha fatto un po’ così con i testi che ha amato, ovvero con quelli che ‘miracolosamente’ siamo riusciti a fargli amare. Se li è portati a casa, li ha coltivati e amati, aspettando che figliassero con tutte le storie che lui aveva dentro.
Sì, lo so, un po’ romantica questa visione, ma perchè dovremmo negarcela? A che altro dovremmo servire, noi, noi che facciamo questo bellissimo mestiere? Solo a resistere a chi la scuola e l’università le riforma anno dopo anno dicendoci che così diventeranno sempre più Buone? Ma perchè questa favola sì, e quella del coniglietto no?
Insegnante (Liceo Scientifico “A. Volta” – Foggia
Non si tratta di ribadire la centralità dell’insegnante. Se l’insegnante insegna bene, un ruolo in classe certamente lo avrà e se sa gestire abilmente la sua lezione, sarà senza dubbio stimato e apprezzato. Gli alunni restano, però, il perno della nostra azione a scuola.
Sono d’accordo con lei, professore, nel momento in cui osserva che
a) una lezione frontale non presuppone per forza la passività dei discenti, liberi, naturalmente, di interagire con il docente;
b) trasmettere conoscenze non è una cosa vergognosa.
Oggi si vitupera tanto la cosiddetta funzione trasmissiva. Tuttavia, mi chiedo, perché l’insegnante deve smettere ex abrupto di contribuire alla crescita culturale degli alunni e lasciarli da soli in un percorso in cui necessariamente (per questioni anagrafiche, per disparità culturale) hanno bisogno di guida? Certo, nulla si può assolutizzare, ma neanche va bene demonizzare!
Sono reduce da un corso di aggiornamento condotto dal prof. Graziano Cecchinato sulla flipped classroom e sulla didattica multimediale, gestisco un blog didattico (“Scuola e Bellezza”), sono in grado di usare le risorse in rete. Ma ritengo che la “buona scuola” non dipenda dall’uso di metodologie innovative e sono certa il segreto del successo di una scuola che funziona non consista nell’imperativo categorico di verbi come “cambiare”, “innovare” e sinonimi del genere. Scriveva U. Eco: “siamo nani sulle spalle dei giganti”: non tutto del passato si deve rottamare. Perché cancellare ciò che funzionava? La lezione frontale funzionava. Ha funzionato per sette secoli. Non ci voleva la legge 107/2015 per liquidarla!
ingegnere (e docente)
Egregio prof. Contu,
ho letto con attenzione il suo scritto e le confesso che mi ci ritrovo con molteplici similitudini, sia nel percorso didattico-culturale sia nelle conclusioni.
Non aggiungo altro se non i miei complimenti per aver così ben delineato e premiato la bellezza e l’utilità di una vera lezione frontale, diversa da quelle che ero obbligato a subire in passato, impartite da docenti monotoni sia nella voce sia nei contenuti, che “facevano il loro lavoro” entrando in classe e parlando da soli. I miei più cordiali saluti e buono studio, Professore.
Gianachille Giuliani
(docente materie scientifiche scuola di secondo grado e studente, sempre)
gagiuliani.blogspot.it
RE: Elogio della lezione frontale. Il multimediale, le parole e il gesso
Se la lezione frontale e l’approccio trasmissivo delle conoscenze funzionano perché utilizzare altro, perché andare oltre? Il problema è che funzionano in pochi e ben definiti contesti. Per il resto bisogna studiare didattica (questa sconosciuta!) o, semplicemente, leggersi ed applicare la normativa – a partire dal profilo professionale del docente (art. 27 del CCNL) – degli ultimi quarant’anni. Ma mi rendo conto che il nostro mestiere è diverso da tutti gli altri poiché, senza problemi, ognuno fa quel che gli pare.
Le conoscenze non sono “vituperate” da nessuno, si tratta solo di finalizzarle, di collegarle all’esperienza affinché non rimangano inerti. È una mera questione di senso che ogni insegnante, non affetto da mastrocoliche, dovrebbe porsi in maniera prioritaria.
Formatore
Bellissima lezione sulla …lezione per “trasmettere” conoscenza. Mi dà particolare gioia la sua testimonianza che per insegnare bene sia indispensabile aver capito benissimo la disciplinare che si vuol insegnare. Altrimenti ci si arrabatta con didattiche creative, buone per nascondere i propri limiti di insegnante.