La mia giornata: il 22 Marzo 2016 a Bruxelles
Il 22 marzo scorso alle ore 8 di mattina Bruxelles è stata colpita da attentati poi rivendicati dall’ISIS: due all’aeroporto di Zaventem e uno alla stazione della metropolitana di Maalbeck, nel cuore delle istituzioni europee. Ecco come ho vissuto quella giornata io che vivo in Belgio, per caso e per lavoro, dal 2010.
Dopo le perquisizioni a Forest e l’arresto di Salah (alias Pierre Loti, mi viene un brivido) avevo pensato di ricontattare il Bla Bla Car, già sperimentato durante il lock-down di novembre. Abito a Bruxelles e lavoro a Liegi, quindi per andare al lavoro prendo il treno la mattina e la sera, due/tre volte la settimana. Ma poi mi sono detta che mi sta piacendo la passeggiata fino a gare centrale e che in treno riesco a lavorare. Quindi alle sette e mezza sono uscita di casa, ho preso il tram per due fermate e poi a piedi. Alla stazione i soliti militari bardati e armati che sorridono e chiacchierano fra loro. In treno, appunto, ho lavorato. Sto organizzando un convegno e preparo la domanda per i finanziamenti, perciò, temario, programma, lista invitati etc etc ; e una monografia, rileggo la quarta di copertina ; uno sguardo al test di lingua per gli studenti del primo anno e uno ai quaderni di appunti delle lezioni. Alla fermata dell’autobus di Liegi ho incontrato un collega filosofo, già incrociato non molto tempo fa. In autobus facciamo conoscenza, luoghi di residenza, compariamo le distanze dal lavoro, la vita da pendolari, gli ambiti di ricerca, le possibili collaborazioni e cosi’ parlando fittamente non prendo una telefonata da Roma, mia cugina che si sposa, vorrà parlarmi delle date, dell’alloggio, del vestito, penso, la chiamo dopo. Anche il collega prende un caffé al bar davanti all’Università e allora continuiamo a parlare, potrebbe forse partecipare al convegno che organizzo, risquilla il telefono da Roma, un fisso, deve essere mia cugina dal lavoro. Che strano, perché insiste a quest’ora ? la chiamo dopo, penso. Cerchiamo di ricordarci i nomi di alcuni filosofi-psichiatri che farebbero al caso del convegno…
Entro nell’Università, arrivo nel corridoio del Dipartimento e risquilla il telefono, ora è il mio compagno e allora rispondo, mi dice degli attentati all’aeroporto ; poi arrivano i colleghi « sei qua !? » « tutto bene ?! » « Ti stiamo chiamando dalle otto ! hai preso la metro ?». Noi italiani ci siamo tutti, anzi no, uno, sentite le notizie, si è arrabbiato ed è tornato a casa. (Lo capisco, eccome. Lasciare il proprio paese perché siamo in Europa, carriera e famiglia multilingue in un perenne cantiere… ma non avevamo messo in conto il rischio della vita). Ma io non ho internet portatile (se non con wi fi) e per fortuna, che altrimenti in treno mi avrebbe preso il panico. Mia figlia è a scuola, e arriva un sms dal comune che il livello di allerta è tornato a 4, hanno chiuso a chiave gli ingressi della scuola e si prendono cura dei bambini. Uscita in orario normale, senza doposcuola, con le precauzioni già sperimentate a novembre. Le telefonate si susseguono, i miei da Napoli, mia sorella da Barcellona, gli zii da Roma e messaggi su messaggi soprattutto da Italia, Belgio e Irlanda, i miei tre paesi. Poi lezioni, confesso che non ho spento il telefono e ho portato con me il computer per controllare la posta. Gli studenti sono tranquilli, gli erasmus un po’ più agitati. Esercizi di grammatica, quale migliore distrazione, poi leggiamo Moravia, un cenno alla locandina di Cannes, a casa Malaparte, a Capri… Panino con i colleghi, faccio mille domande a una nuova dottoranda, deve essere l’ansia, rigurgitiamo le nostre opinioni grossolane sui fatti, e sdrammatizziamo ognuno a suo modo. Andiamo al bar del teatro di fronte all’università, oggi è inspiegabilmente gremito, io stavolta prendo una tisana. Poi un’altra lezione, leggiamo I viceré, altri tempi, davvero. Orario di uscita da scuola, risento il mio compagno, a Bruxelles è tutto tranquillo, sirene ed elicotteri, assordanti in mattinata, si sono fermati, per prendere i bambini a scuola bisognerà scendere da una scala e risalire dall’altra. Poi mi racconta che era tutto ben fatto, il direttore era sul portone, insegnanti e animatori vigilavano a ogni porta, non c’era caos né ressa. Il mio rientro è stato articolato : per raggiungere la macchina del Bla Bla car, passeggiata a Liegi con collega che è arrivata il giorno prima per ripartire il giorno dopo, « sliding doors », come dice lei. In macchina con l’autista Bla Bla ascoltiamo la radio, tante notizie, tutti i commenti risultano di troppo, anche noi a stento uno sbuffo qua e là ; traffico all’arrivo, mi lascia fuori mano, qui al nord non sono particolarmente accomodanti, ma non si fa pagare. Mi avvio a piedi dove mi ha detto che avrei trovato sicuramente i taxi ; invece, come è ovvio, taxi non ce ne sono, mi faccio indicare la direzione per casa (il senso dell’orientamento non è il mio forte) mi dicono che ci vuole un’ora e mezza e mi avvio, voltandomi continuamente per vedere se arrivano taxi, dopo dieci minuti ne vedo uno, lo chiamo, si ferma. È giovanissimo, maghrebino, ascolta le notizie del giorno e corre come un tassista napoletano, percio’ riusciamo a evitare gli embouteillages (e gli incidenti) e arrivo a casa prima delle otto. Le mie dodici ore fuori casa. Un altro martedì…
Fotografia: G. Biscardi, Dal treno, 2016.
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