
Il terremoto e il nichilismo
Dell’uomo ignara e dell’etadi/ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno / dopo gli avi i nepoti,/ sta natura ognor verde, anzi procede/ per sì lungo cammino,/ che sembra star.
E’ della natura e dei suoi tempi che ragiona Leopardi in questi versi della “Ginestra” ed è precisamente la diversità tra questi tempi, o meglio ere geologiche, e i tempi della storia umana che è alla base del senso di angoscia che prende nel guardare le foto d’interi paesi e comunità annientati del terremoto dell’Italia centrale.
Ecco che si delinea, se la letteratura non è mera attività della domenica ma possiede un valore conoscitivo, come la catastrofe può essere capita a partire da una riflessione, da una presa di coscienza sul limite dell’umano, ossia su una “fragilità”, filosofica e quindi ontologica, della civiltà umana, su una “fragilità” costitutiva della civiltà rispetto ai tempi lunghi e inconsapevoli dell’uomo dei cicli geologici naturali.
Ora tale senso del limite è anche la base di una necessaria critica “politica” del presente. La catastrofe del terremoto dovrebbe, infatti, indurci a mettere in discussione tutto un pensiero scientista, liberista, post-moderno che ha accantonato, in nome dell’onnipotenza della tecnologia e del predominio dell’economia, questa “precarietà”, per propagandare un modello di sviluppo indefinito e infinito, incurante dell’ambiente e anzi distruttivo nei suoi confronti. Un modello che ci lascia però in una solitudine impotente quando tutto va in briciole in pochi istanti, come succede con il terremoto.
Non siamo più in tempi in cui si poteva ipotizzare una spiegazione delle catastrofi naturali come manifestazioni di un dio implacabile e vendicativo e chi ha provato a farlo è stato, per fortuna, smentito dalla stessa chiesa ufficiale. Ma il nostro nichilismo post-moderno non è da meno quando interpreta la natura come mera appendice dei processi di valorizzazione economica e l’uomo come mero aggregato di pulsioni appropriative che negano ogni limite dell’umano.
Non è allora scendere dai cieli dell’astrazione e della poesia alla banale realtà quotidiana essere fortemente critici verso questo modello di sviluppo che, oggi, sempre più s’incarna in parole d’ordine e in politiche semplificatorie rispetto alla complessità dei processi decisionali.
Ben poca cosa e ben menzognera cosa dovrebbero apparire a questo punto a un’opposizione conscia dei propri strumenti culturali tutte le promesse fatte da questo governo di mirabolanti semplificazioni dei processi decisionali che dovrebbero portare a una ricostruzione tanto più rapida in quanto non impaniata da vincoli e regole. Eppure vediamo sempre più serpeggiare climi da “stiamo tutti insieme” in nome della catastrofe.
Basterebbe allineare alcuni fatti per capire la reale ideologia che guida l’azione del governo Renzi: una decostruzione continuata, in linea con le politiche dei governi precedenti, della ricerca di base e pubblica a favore di pretesi poli d’eccellenza, la negazione della centralità della scuola e dell’Università come luoghi concreti di educazione alla cittadinanza a favore di un’idea di Università e di scuola come aziende, una politica deflattiva che non crea lavoro ma scarica sui lavoratori dipendenti i costi della crisi. E a coronamento di tutto ciò una riforma costituzionale che, in nome della semplificazione legislativa, avoca alla supremazia dello stato centrale ogni decisione sulle grandi opere e sui lavori di consolidamento del territorio, privando così le comunità locali della possibilità d’intervenire nelle discussioni e nelle decisioni che riguardano il proprio ambiente vitale.
Vogliamo affidare al governo attuale, espressione del nichilismo post-moderno realizzato, la ricostruzione di paesi e comunità densi di storia e di un rapporto stretto con il proprio ambiente? Vogliamo opporre a ciò solo una politica del risentimento (dell’ultimo uomo come direbbe Nietzsche) come quella dei 5 Stelle, oppure siamo in grado di esprimere un grande progetto che vada oltre il nichilismo verso quella comunità degli uomini che la “Ginestra” ipotizzava? Questo il dilemma che una riflessione “meta-politica” sul terremoto propone a una costruenda opposizione che sappia confrontarsi con le teorie della decrescita, dei beni comuni, delle pratiche del dono e del convivialismo, con quelle teorie che ripensano criticamente il rapporto uomo/natura nell’età della globalizzazione ritrovando quell’utopia del possibile che la letteratura mette all’ordine del giorno:
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.
Fotografia: G. Biscardi, Il Grande Cretto di Alberto Burri, Gibellina 1987.
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