La biblioteca nel romanzo moderno/2. Archetipo, tema, cronotopo
Nella narrativa di finzione le biblioteche costituiscono microcosmi autosufficienti in cui i personaggi, approfittando di una pausa nella narrazione, possono riposarsi e leggere, mentre il narratore spiega al lettore il punto di vista dell’autore sulla cultura. Si riportano qui in due tempi le riflessioni conclusive di uno studio sulle rappresentazioni e funzioni della biblioteca in quattro romanzi moderni italiani: I promessi sposi (1840), Il barone di Nicastro (1860), Il fu Mattia Pascal (1904) e Tre croci (1920).
Archetipo o topos
La costanza di elementi ricorrenti, su un livello descrittivo, sono il segno dell’affinità (esistenziale-intellettuale) tra coloro che conferiscono un ruolo chiave alla biblioteca nei propri testi narrativi. Non è difficile pensare quanto fosse familiare uno studiolo a Nievo, o una biblioteca a Pirandello, tenendo conto poi del fatto che alcune delle biblioteche in questione prendono spunto dalla realtà (la Lucchesiana di Girgenti per Il fu Mattia Pascal e anche I vecchi e i giovani(1)); e talvolta da notizie di cronaca prende spunto il romanzo (Il fu Mattia Pascal, Tre Croci) e attorno allo spazio librario la trama è costruita. La biblioteca di finzione si sostanzia di immagini depositate nell’esperienza o nella memoria di lettori, studiosi, scrittori, intellettuali, trasformandone il vissuto in letteratura. Comprova ne sono i tanti testi di narrativa che si propongono con una pretesa di verità maggiore dei romanzi (2). Penso alle autobiografie, che mostrano quanto nel vissuto di uno scrittore, appassionato di lettere, la biblioteca abbia un ruolo chiave, ad esempio Sartre, che fa riaffiorare dalla memoria i suoi ricordi di bambino
J’ai commencé ma vie comme je la finirai sans doute : au milieu des livres. Dans le bureau de mon grand-père, il y en avaitpartout ; défense était faite de les épousseter sauf une fois l’an, avant la rentrée d’octobre. Je ne savais pas encore lire que, déjà, je les révérais, ces pierres levées; droites ou penchées, serrées comme des briques sur les rayons de la bibliothèque ou noblement espacées en allées de menhirs, je sentais que la prospérité de notre famille endépendait (3).
e Lalla Romano, che ricorda le sue esperienze di giovane intellettuale [1979] (4)). La biblioteca è esperienza comune ad autori e lettori. L’autore che dice “biblioteca” sa di poter fare appello a un’immediata comprensione da parte del lettore. L’immaginazione del lettore, posta di fronte a un luogo che contiene libri ne è stimolata. La biblioteca, proprio come i libri che idealmente contiene, i quali, finché restano su uno scaffale, sono solo oggetto d’arredo, è un luogo muto che parla a seconda delle facoltà di ascolto (o ricezione) del lettore. L’autore fa appello a un’immagine – universalmente riconosciuta – con la quale può esprimere le proprie idee, immettendo elementi personali e dissonanti alla concezione comune, universalmente riconoscibile.
Anche se la tentazione è forte, parlerei con cautela di topos, come repertorio letterario codificato a cui questi ed altri scrittori hanno attinto. Se non un vero e proprio topos letterario, propenderei per considerarlo un archetipo(5) presente nell’inconscio collettivo. Ma naturalmente ogni classificazione è soggettiva e ad esempio in un racconto del Sistema periodico di Primo Levi, Fosforo, avvolta in un’atmosfera di sogno, irreale, c’è una biblioteca che condensa ed estremizza le cartteristiche ricorrenti delle biblioteche letterarie. Sembra che la biblioteca da tema ricorrente si sia cristallizzato in topos, ed è significativo che questo accada in un racconto altamente simbolico, dove la biblioteca e l’azienda che la contiene, la vita segregata e misteriosa che vi si svolge, sono metafora del regime.
Micro- e macro-tema
Le caratteristiche ricorrenti dell’immagine biblioteca sono la spia di un tema soggiacente. Il rapporto tra i romanzi in cui la biblioteca appare testimonia l’idea che la biblioteca è l’espressione di un tema più ampio, quello della cultura e dello stile di vita intellettuale. In tal senso la biblioteca non è un tema in sé ma è parte di un tema.(6) Sta dunque a noi connettere gli elementi che pensiamo convergano o facciano emergere il tema e collegare le parti che parlano di una o più biblioteche.
Nel corpus qui considerato, e in particolare in Tre croci, nel Barone di Nicastro e ne Il fu Mattia Pascal, c’è una sola biblioteca ed essa costituisce un macro-tema. È macro-tema perché l’intero romanzo ruota intorno ad uno spazio librario. L’eccezione è costituita dai Promessi sposi, dove più biblioteche offrono più modelli culturali (ecco anche perché queste tre bibliotecehe hanno meno in commune con le altre). Analogamente nei Vecchi e i giovani varie biblioteche sono collegate a vari personaggi, che rappresentano diversi tipi di intellettuali. Come macro-tema è totalizzante – in Tre croci, ne Il fu Mattia Pascal e in Il barone di Nicastro, dove, anche se per lungo tempo non è menzionata, perché il personaggio si allontana, costituisce il punto iniziale e il punto finale, il centro propulsivo e catalizzatore; come micro-tema è invece ricorrente, ma non essenziale per la trama. Infatti l’autore che inserisce la biblioteca nel suo romanzo marginalmente, apparentemente per completare il ritratto di un personaggio, di solito la utilizza più volte, con diverese caratteristiche (si veda anche Italo Svevo, Una Vita e Lalla Romano, Una giovinezza inventata). Nei testi brevi, è invece più spesso un macro-tema divenendone cuore tematico, semantico e simbolico: Primo Levi, Fosforo, Luigi Pirandello, Un mondo di carta (1909) (7) e Federigo Tozzi, Il miracolo.Non sempre, nei romanzi, quando c’è una biblioteca, il tema unificante è la cultura talvolte, come si vedrà più avanti, è la difficoltà individuale nel relazionarsi con la società.
Se fin qui mi sono soffermata sulla dimensione spaziale, vediamo sinteticamente cosa accade nella dimensione temporale. La biblioteca è uno di quei luoghi in cui il tempo della narrazione acquista una sua visibilità: si ferma, sospende, o sembra prenda un andamento circolare viziosi e chiuso in sé, per poi ripartire di slancio lungo l’asse lineare. In Manzoni la biblioteca Ambrosiana è presentata come progetto per il futuro. Il barone sta 25 anni in isolamento e senza muoversi in quello spazio; il bibliotecario di Pirandello toglie dal polso l’orologio ogni volta che entra nella biblioteca; in Tre croci l’orologio della chiesa e quello del Comune scandiscono il tempo ma il suono dei rintocchi arriva nella libreria dall’esterno e suona come un monito della società per i tre reclusi.
Cronotopo
La biblioteca può essere letta come un cronotopo – che significa letteralmente ‘tempospazio’”, ovvero “l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente” – perché è uno di quei singolari e significativi punti di raccordo tra spazio e tempo(8). Anche al di fuori della finzione letteraria, nella realtà, è un cronotopo, in quanto luogo che attraversa le epoche, ponte spazio-temporale perché contiene in uno spazio libri che viaggiano dal passato al futuro; edificata nel passato si proietta nel futuro. Attraverso la lettura il lettore attualizza nel presente, sempre diverso, il passato, la biblioteca pertanto ribadisce e amplia la simbologia del libro e della lettura.
Vediamo sinteticamente i quattro romanzi in questione in chiave di cronotopo. La biblioteca Ambrosiana è il simbolo della diffusione del sapere su scala sociale e attraverso il tempo. Proprio perché proiettata nel futuro, ha la funzione di cronotopo. In essa, infatti, è in evidenza la progettualità, come intenzionalità di diffondere la cultura e tramandarla ai posteri. Il cardinale Borromeo concepisce un progetto che consente alle epoche future di acculturarsi sui documenti e le opere del passato. La biblioteca del Barone di Nicastro, biblioteca che segrega, che isola completamente dal mondo, dal resto dell’umanità, è un microcosmo spazio-temporale assolutamente autosufficiente. Il tempo nello spazio chiuso del maniero-biblioteca, sembra non scorrere, eppure il protagonista vi trascorre venticinque anni. Lo studio e la vita, in questo romanzo, sono proposte come alternative l’uno all’altra. Non c’è possibilità di conciliazione, perché l’una esclude l’altra. I due assi fondamentali, quello spaziale e quello temporale, le tengono ben lontane. Ciò che le lega è il protagonista, che sconta sulla propria pelle la loro inconciliabilità. Nella chiesa-biblioteca Mattia si annoia poiché il tempo trascorre senza che nulla accada, tanto che sembra arrestarsi; paradossalmente i topi sono gli unici a creare un movimento vitale. L’altro bibliotecario, Romitelli, prima di tuffarsi nella dimensione magica della lettura, compie un rituale che sa di staticità, e, tra le altre cose, toglie l’orologio dalla tasca. La Boccamazza è uno spazio chiuso e autonomo, con un tempo che scorre in maniera differente, e che sembra rallentato, incantato. Ci si accorge del suo ritmo solo se lo si raffronta con quello esterno(9). La biblioteca di Miragno è dunque un cronotopo dove il tempo si arresta, per poi partire di slancio appena Mattia ne è fuori. Infine, la libreria dei fratelli Gambi ritaglia con le sue pareti uno spazio chiuso, metonimico e concentrico rispetto alla città che la contiene. Costituisce un microcosmo (piccolo e autonomo) nell’universo già ristretto di cui fanno parte i tre protagonisti: provincia di Siena con nove personaggi. Si ha un’impressione di staticità, dovuta all’unità di luogo, tempo e azione(10).
Storicizzare?
Se dalla sincronia della comparazione tematica ci spostiamo alla diacronia in prospettiva storica possiamo osservare alcune interessanti trasformazioni (11). Le differenze storico-culturali intervengono nella rappresentazione della relazione tra habitat e abitante (spazio-biblioteca e personaggio-bibliotecario). Se rileggiamo questi romanzi con le lenti della biblioteca possiamo intendere alcuni cambiamenti – dovuti al passare degli anni e agli eventi storici – nel pensiero e sentimento comune degli scrittori sulla cultura. Dai Promessi sposi a Tre croci, passando attraverso Il Barone di Nicastro e Il fu Mattia Pascal possiamo osservare che il personaggio legato alla biblioteca, dall’essere oggetto di critica da parte dell’autore, diventa il suo alter ego, e attraverso questo, l’autore esprime il suo personale disagio sulla condizione intellettuale. Manzoni sapeva bene quale fosse il suo modello, cosa fosse necessario fare in quel momento storico (e così Borromeo è modello positivo, Ferrante è un intellettuale futile agli altrie dannoso a sé stesso, mentre l’Azzecca-garbugli è un impostore che danneggia gli anelli deboli della società) e i Promessi sposi sono “la prima opera narrativa che viene a mutare radicalmente la condizione di superiorità dell’intellettuale e a rappresentare il volto ridicolo e vano di tale pretesa”(12). Nievo invece mette in campo un disagio, la difficoltà nell’utilizzare la cultura in politica, e l’impatto del personaggio con la realtà è distruttivo. Ma Nievo credeva fermamente nella necessità di saldare la cultura alla storia, anche se evidentemente si interrogava sul modo di farlo e dubitava degli esiti.
In Nievo, dilaniato tra pensiero e azione, in Pirandello, che mette in scena la crisi del ventesimo secolo con un personaggio smarrito, e poi in Tozzi, in modo estremo e drammatico, lo spazio librario rappresenta la difficoltà dell’intellettuale a vivere in una comunità, la biblioteca è il luogo che isola, che esclude, che tiene lontano dal mondo fatto di relazioni sociali e di esperienze.
Per Pirandello e Tozzi il problema è tutto individuale; in difficoltà estrema è l’intellettuale, che vive, con maggiore o minore sofferenza, la separazione auto-inflitta dal mondo. Negli explicit, mentre Nievo, come Pirandello, inserendoli in una dimensione temporale ciclica, danno ai loro personaggi, dopo tante sventure, una salvezza proprio nella biblioteca, nel segno della scrittura, Tozzi non dà via di scampo ai suoi protagonisti che finiscono i loro giorni nella libreria.
Il rapporto con la società muta: mentre Manzoni (in cui i tre personaggi legati alla biblioteca occupano posizioni diverse nella scala sociale) assumeva il compito di guidarla, denunciando e proponendo modelli culturali; Nievo, dilaniato da una dualità distruttiva, mostra il perigliosissimo tentativo di contribuire al suo progresso; Pirandello e Tozzi mettono in scena personaggi che ne sono vittima al punto che Mattia Pascal cambia identità e i fratelli Gambi muoiono dopo un inesorabile processo di isolamento.
I Promessi sposi con tre crescenti modelli culturali, Il barone di Nicastro, con la biblioteca di formazione nell’isolato maniero di famiglia, Il fu Mattia Pascal, con la biblioteca prima gabbia e poi nido, e infine Tre croci, con la sua libreria campana di vetro, ci propongono diverse soluzioni alla delicata condizione del letterato in bilico tra sé e il mondo e alla perenne ricerca di un equilibrio tra pensiero e azione.
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NOTE
Immagine: The British Library.
1) Nei Vecchi e giovani se ne parla a proposito di Vincente de Vincentis, rovinato dal troppo studio. Un giorno “s’era sfogato a parlare per tutti i giorni e i mesi, in cui, quasi avesse lasciato la lingua per segnalibro tra un foglio e l’altro di quei benedetti codici arabi, restava muto tutto il giorno”. L. Pirandello, I vecchi e i giovani (1909) Milano, Garzanti, 1993, p. 104. “Gli occhi duri, dietro le lenti fortissime da miope, nel volto scavato, sanguigno, avevano la fissità della pazzia” (Ibidem).
2) Il riferimento stavolta è a Ph. Lejeune, Le pacte autobiographique, Paris, Ed. du Seuil, 1975.
3) J.-P. Sarte, Les Mots, Paris, Gallimard, 1964.
4) L. Romano, Una giovinezza inventata, Milano, Mondadori, 1992. In questo romanzo numerose biblioteche accompagnano la crescita intellettuale della protagonista. Dormiva “in uno stanzino cieco, che riceveva una luce molto fioca da un lucernario color nebbia in un angolo del soffitto […] tutt’intorno alle pareti, fin nel mezzo della stanza, pile e pile di libri intonsi” (p. 631). In casa “l’ingresso era ingombro di nuove dizioni, di estratti, di riviste” (Ibidem). Nella stanza da pranzo “due armadi a vetri erano ingombri di grossi libri rilegati, enciclopedie e dizionari” (p. 232). Lo studio del professore la “Pile di libri, di fascicoli, sulle sedie, sul pavimento” (p.798). La Società di cultura : “piccole sale buie tappezzate di scaffali: nel silenzio scricchiolavano i pavimenti di legno ai rari passi degli studiosi” (p. 234). “La biblioteca di facoltà, un salone lungo e profondo, a cui si accedeva da un ampio scalone, prendeva luce dalle alte finestre” (p.778) La Biblioteca Reale ha una sala “lunghissima e altissima e lungo un lato erano aperte alte finestre, tutt’intorno erano gli scaffali pieni di libri” (p.834).
5) Si veda in proposito E. R. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, Francke, 1993 e C. G. Jung, Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1959.
6) Cfr. C. Guillen, Entre lo uno y lo diverso: introducción a la literatura comparada, Barcelona, Editorial Crítica, 1985 e M. Fusillo, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia, 1998. Sulla critica tematica si rimanda al numero monografico La critica tematica oggi, “Allegoria”, 58, 2008.
7) L. Pirandello, Un mondo di carta, in Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, Milano, Mondadori, 1985, vol. I, pp. 1019–28
8) M. M. Bakhtin, “Forms of Time and of the Chronotope in the Novel”, in The Dialogic Imagination, Austin, The University of Texas Press, 1981, pp. 84–258.
9) Luperini parla di acronia e cronotopo, R. Luperini, L’allegoria del moderno, Roma, Editori Riuniti, 1990.
10) Luperini infatti sostiene che: “Tozzi intendeva ispirarsi alla tragedia greca (…) Ricalca l’unità di luogo (quasi tutta la vicenda si svolge all’interno della libreria dei protagonisti) e d’azione (i personaggi sono ridotti all’essenziale e mancano del tutto di digressioni e azioni secondarie) della tragedia classica; e anche il tempo della vicenda – pochi mesi – è assai concentrato”. (R. Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini le idee, le opere, Laterza, Roma-Bari, 1995, 169-170).
11) Uno dei limiti della prospettiva tematica è: “un effetto di schiacciamento storico”, che può creare “un carattere di ricorrenza spesso ossessiva”. È il rischio della tassonomia fine a se stessa, della pura elencazione, “una tendenza generalizzante e universalistica che finisce per occultare le caratteristiche individuali delle singole epoche o dei singoli testi”, R. Ceserani, Storicizzare, in AA.VV., Il testo letterario, a cura di M. Lavagetto, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 97.
12) G. Barberi Squarotti, Il romanzo contro la storia, Milano, Vita e pensiero, 1980, p. 178.
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