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Sulle prove di Italiano dell’Esame di Stato: la poesia di Quasimodo

Prime considerazioni sulla prova di quest’anno
  1. Il processo di semplificazione delle varie tipologie di prova (immaginate, da qualche anno, con fuorviante verve fantastica; intervista, saggio breve, analisi del testo ecc.) è ancora troppo lento. Bisogna tendere risolutamente a una unica tipologia di prova che verifichi le capacità dello studente di capire, commentare e interpretare un testo (di letteratura, di storia, di economia, di attualità culturale…). Ogni studente di ogni tipo di scuola dovrebbe poter scegliere liberamente uno fra una serie di testi (di scrittori o di uomini di cultura noti) appartenenti ad ambiti diversi, e poi dovrebbe spiegarne e interpretarne i significati. Capire un testo, comprenderlo, commentarlo, interpretarlo, storicizzarlo, vederne le implicazioni attuali, ed esporre tutto ciò in modo argomentato, chiaro e corretto: in questo dovrebbe consistere la prova.

  2. Il testo letterario proposto, la poesia di Quasimodo Ride la gazza, nera sugli aranci, presenta un vantaggio: è un testo che entra ampiamente nel canone scolastico ed è presente in quasi tutte le antologie. Quindi è un testo noto agli studenti che potevano facilmente orientarsi nella sua storicizzazione.

  3. Questo però è l’unico vantaggio. Per il resto, ci sarebbe molto da dire. Anzitutto sulla scelta di Quasimodo, un autore che è tanto presente nelle antologie scolastiche quanto assente nella attenzione e nella valorizzazione della critica. La fortuna scolastica di Quasimodo dipenda da un Nobel e dalla centralità che Quasimodo ha avuto negli anni cinquanta e sessanta fra la antologia di Anceschi-Antonielli, centrata sul postsimbolismo italiano e sull’ermetismo, e quella di Contini del 1968 (che peraltro operava già una drastica svalorizzazione di Quasimodo). Allora si riteneva infatti che lo sviluppo della lirica italiano fosse profondamente segnato dalla poesia pura e dallo ermetismo e che seguisse un percorso lineare in tal senso, da Campana a Luzi e Quasimodo. Poi sono venute le antologie di Sanguineti, di Mengaldo, di Fortini e di Raboni e l’immagine del Novecemto poetico è profondamente cambiata: la linea della poesia pura, postsimbolista ed ermetica è stata ridimensionata, e hanno assunto sempre maggior valore altre linee: quella metafisica e allegorica di Montale, quella espressionista del primo Ungaretti, quella romanzesca e prosastica di Saba eccetera. D’altronde Quasimodo, anche negli anni cinquanta e sessanta, non aveva il carisma di questi autori, e quando vinse il Nobel circolò ampiamente la battuta (attribuita a Carlo Bo): “ A caval donato non si guarda in bocca”. Oggi Quasimodo è reputato un notevole traduttore dei lirici greci, ma in quanto autore in proprio è un poeta di secondo rango. Il posto che conserva nel canone scolastico è un residuo del passato, un segno dei ritardi culturali della scuola italiana. Perché non aprire al secondo Novecento, a Sereni, Caproni, Zanzotto, l’ultimo Luzi?

  4. La poesia in questione è ben calibrata, pulita, quasi smaltata. Rivela una buona capacità di “impostare” il discorso poetico su binari iperletterari e su una retorica di maniera e classicheggiante. Siamo sul terreno, direbbe De Sanctis, della letteratura, non della poesia. E la letteratura vi svolge, come succede quasi sempre, una funzione consolatoria, decorativa ed evasiva. La nostalgia del passato vi diventa nostalgia del mito classico (più greco che latino), delle cavalle, dei fanciulli nudi (perché nudi?, si chiederanno gli studenti che non hanno dimestichezza coi frontoni dei templi greci o con i putti della pittura umanistico-rinascimetale). Insomma qui c’è più Monti che Leopardi. Il negativo, emergente alla fine, viene subito sublimato, deviato e “negato” nel decoro stilizzato dei simboli (il fango, l’airone che lo annusa, il riso della gazza).

  5. Quale rapporto può avere questo testo con la sensibilità e la mentalità degli studenti di oggi? Ovviamente, nessuno. E’ un testo scritto per offrirsi alla delibazioni di letterati iperletterati, come si faceva spesso in ambienti vicini all’ermetismo più petrarchesco (e meno surrealista) alla fine degli anni trenta, in pieno clima di chiusura fascista, di torti d’avorio eccetera. Chi darebbe oggi all’esame di stato un testo di Monti da commentare? E perché allora dare oggi questo testo di Quasimodo? Offrendo ai giovani testi come questi, li si allontana fatalmente dalla letteratura.                                {module Articoli correlati}

 

 

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