Unioni civili e bambino-logia
Tifoserie
L’Italia è coinvolta, in questi giorni, da una parossistica discussione sulle unioni civili. Com’era prevedibile, oggetto di maggiore conflitto è la questione dei bambini delle famiglie omo-genitoriali. Nei media coppie omosessuali si raccontano ampiamente, cortei pro e contro girano nelle città. Tutto e il suo contrario. E, come sempre, parlano anche gli “esperti”, professionisti o scienziati che hanno svolto ricerche su questi bambini. La scienza parla e… si divide: il pediatra dice che ci sono problemi, lo psicanalista nega. Le solite ricerche americane si dividono: chi sostiene non ci sia differenza educativa in una famiglia etero ed in una omo critica aspramente ricerche che dicono il contrario accusandole di non scientificità. E viceversa.
La gara della verità pare data dal numero di ricerche pro o conto, meno dalla loro natura qualitativa. Il punto di vista di un educatore suggerirebbe una maggiore riflessività e comprensione della complessità. Ho fatto una viaggio tra le ricerche sul tema (con Internet non è difficile) e ne provo un franco disappunto. Per gli scienziati –pro, la ricerca di Ch. Patterson (2012) non trova significative differenze educative tra famiglie omo ed etero, quella di HMV Boss (2000) è simile negli esiti ma più prudente sugli effetti negativi se il contesto sociale ha pregiudizi. Per gli scienziati –non pro le ricerche di M. Rognereus (2002) e la più recente di Sullivan (2015) rilevano difficoltà interne ed esterne nelle famiglie omogenitoriali. Imbarazzante il tifo nelle rappresentanze sociali, pronte a usare come arma di verità la ricerca più vicina ai loro desideri.
Nomotetica dell’umano: la bambino-logia
Ma l’educatore non ingenuo scorge una impressionante analogia tra queste ricerche: sono figlie tutte dello stesso metodo scientifico, oggi suglialtari: quello empirico detto “nomotetico” degli standard, dei test, della scienza-verità fondata su dati, variabili, statistiche, misure. Si parte da concetti (es. amore) scelti arbitrariamente, se ne deducono “oggetti operativi” da rilevare nei fatti (es. quanti baci a settimana) esaustivi del concetto, si intervistano campioni, e infine si costruiscono scale, variabili, teoremi, modelli. Ricerche eredi di un medesimo mito: che l’umano sia catalogabile e misurabile con leggi statistiche. Non ci vuol molto a cogliere la fragilità epistemica di queste ricerche, orientate di qua o di là secondo la verità dogmatica dei concetti di partenza. Nel nostro caso una scienza serva di una superiore bambino-logia, cioè ideologia sul “bambino ideale” presente in ogni ricerca. E che viene nascosta dietro tabelle, dati, variabili. L’ideologia, ci insegna Marx, si mimetizza come “verità”. E non è casuale che università pro-gay cerchino (e trovino!) dati a favore dell’ omo-genitorialità, e che università anti-gay cerchino (e trovino!) dati a sfavore. Nella bagarre accademica trionfa l’offesa reciproca di non-scientificità, mentre manca la coraggiosa umiltà epistemologica sulla natura della loro scienza, e sugli idealtipi su cui si farebbe scienza “oggettiva”.
Miti di verità
L’oggetto di questo scritto non è tanto la mia opinione sulle unioni civili, ma il punto di vista di un educatore sull’abuso di soi disant scienze umane che misurano gli umani, l’educazione, il sociale con “miti di verità” di forte impatto, e che ancora una volta emerge nel caso dei bambini di famiglie omogenitoriali. Le baruffe scientifiche di questo caso sono un buon monito per essere prudenti e diffidare da queste “scienze della verità” sulla condizione umana. In gran parte si tratta appunto di miti. Ne fa parte anche la “Grande Malattia” sulla medicalizzazione dei bambini che ho già descritto in altri precedenti saggi.
Per disintossicarci dal mito, partiamo dal fatto che ognuno di noi si accorge empiricamente che l’umano descritto dalla scienza-verità non coincide mai del tutto con la persona reale che si conosce, con cui lavora, cui insegna, che è vicino di casa. C’è sempre una originalità che scappa dagli standard, e che spesso è l’aspetto peculiare. Ma il dominio del mito scientifico nomotetico oggi condiziona l’educazione: lo spettro pre-figurato entra in classe prima del sé docente e sé discente, del contesto. Il sé è già pre-destinato, resta solo da applicare la tecnica (metodi, terapie) che la scienza configura lenitiva di ogni bisogno. Quindi ricerche tutte imprecise? Quindi non è possibile conoscere davvero come stanno questi bambini?
L’approccio interpretativo: piccolo elogio dello scetticismo
Forse la risposta più intrigante sullo sviluppo che vivranno bambini figli di omosessuali non ce la dà la scienza ma… la letteratura con il celebre incipit di Lev Tolstoj in Anna Karenina “Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice lo è invece a modo suo”.
A modo suo: perfetta sintesi dell’originalità di ogni storia personale, cui un qualsiasi ricercatore deve l’umiltà di un approccio non categoriale, ma interpretativo. E’ ciò che penso di una coppia omogenitoriale come di una eterosessuale: se andrà male, sarà per ognuna a modo suo. D’altra parte se tutti gli adulteri si suicidassero sotto i treni (come Anna Karenina), i treni non girerebbero più. Ogni adultero lo è a modo suo. La ricerca nomotetica può anche aiutarci a fare analogie, differenze, confronti, ma non a proporci verità. Dobbiamo invece avere l’onesta intellettuale e scientifica dell’inatteso, dell’originale in sé di ogni storia.
E quindi dello scetticismo contro il “vero” per tutti. Soprattutto in pedagogia l’inatteso è essenziale.
Ricordo, al proposito, che vi è da sempre un conflitto tra scienze umane nomotetiche e le scienze interpretative che invece privilegiano comprendere la complessità e l’originalità di ognuno. Oggi il dominio è nettamente delle prime, e l’umano scappa via, si rimpicciolisce, sfuma nella formula.
Con questo non voglio dire che tutta la ricerca nomotetica sia inutile o dannosa. Può darci anche spunti utili e squarci di conoscenza, ma non verità. Serve quindi una lettura epistemologica sempre scettica e insieme aperta, critica. Lo scetticismo in scienza è essenziale, apre alla curiosità del non detto, del non ancora scoperto, dell’imprevisto, dell’originale che è la natura concreta del vivere di ognuno di noi.
Io preferisco la ricerca interpretativa più capace di umiltà, che accoglie l’altro nella sua complessità, lo interpreta non nascondendo la propria bambino-logia ideale, ma cercando un’azione ecologica (alla Bateson), nella quale ogni lettura dell’altro dipende dagli occhi e dagli occhiali dell’osservatore e dell’osservato e dal reciproco scambio di significati. L’interpretazione crea una relazione scientifica più onesta sull’altro, capace di mutarsi, di sorprendersi, di accettare l’imprevisto. Temo, naturalmente, che in tema di unioni civili sia invece così forte la “bambino-logia ideale” dei pro e dei contro da rendere quasi impossibile una lettura aperta dell’umano alla Tolstoj.
Un esempio divertente sui miti di verità
Quand’ero studente di psicologia, negli anni 70, attaccavo bottone con colleghe universitarie millantando una mia capacità mesmerica. Sceglievo ragazze di matematica o fisica (più portate alla scienza come verità), e dicevo: “Dal tuo sguardo io vedo che tu sei una ciclotimica”. Dopo aver risposto all’ovvia domanda su cos’è la ciclotimia, pontificavo con sicurezza che la loro vita era un mix ciclico di euforia e di tristezza. E ricevevo sempre (sempre) una risposta “magica”: “Davvero si vede? Come hai fatto a capirlo?”. Spesso si finiva con nevrotiche richieste di aiuto stile Lucy di Charlie Brown.
Questa storiella è il banale riscontro di come il “verbo scientifico” determini un’asimmetria tra il dicitore e l’ascoltatore che crea dipendenza, entro cui infilare pseudo-verità. Nessuna ascoltatrice comprendeva che avere alti e bassi nella vita emotiva era affare comune di tutte le ragazze e i ragazzi degli anni 70. La mia era una tecnica un po’ grossolana di spararle grosse. Come fanno molte delle soi disant scienze umane. Alle ragazze più simpatiche, dopo aver giocato sui loro momenti-no (narrati con imprudente solerzia), facevo notare l’imbroglio sperando servisse anche ai loro studi. Era l’epoca che leggevo Khun e le scienze come ideologia. Illich era una mia guida in educazione (Descolarizzare la società) e salute (Nemesi medica).
Oggi lo scientismo va oltre gli anni 70, è attrezzato di saperi potenti, è apprezzato perché nel complicato presente (senza speranze e ideologie) ricevere risposte semplici e razionali è consolatorio. Ma pochi si accorgono che è anche ridurre le potenzialità dell’umano, rifiutare l’imperfezione come dote, negare l’originalità di ognuno, e credere che la nostra vita sia già pre-determinata in qualche neurone o proteina.
Torniamo all’educazione
Naturalmente la scuola assorbirà la questione dei figli omogenitoriali come digerisce un po’ tutto. Avremo esperti in psicologia dei bimbi omogenitoriali che venderanno teorie e terapie. Qualcuno sarà infilato nei BES (tanto lì c’è di tutto), vi saranno casi di razzismo, casi di bullismo, casi di melassa buonista così come capita oggi agli obesi, agli stranieri, agli juventini. Perché la scuola è il mondo, insieme meraviglioso, complicato e a volte orrendo. Esattamente come la famiglia e come l’amore.
Ma il giusto insegnante dovrebbe cercare di uscire dalle sue bambino-logie, comprendere l’altro-bambino in sé, la sua complessità, la sua bella imperfezione (la dote principale), non del tutto predeterminato da genitori, reddito, contesto, cromosomi. Ma non è facile, i venditori di verità incantano la nostra pigrizia. Come non è facile contrastare le bambino-logie sui disturbi vari dei nostri bambini, e la medicalizzazione che contrasta un’ attiva pedagogia. E che potrebbe aumentare anche nei figli di unioni civili.
L’evoluzione della genitorialità
Chi si occupa di educazione, ha anche il dovere di studiare l’evoluzione della genitorialità, perché essenziale partner per l’educazione. Dobbiamo quindi riflettere su questo, almeno in apparenza, nuovo desiderio di genitorialità che viene dal mondo omosessuale. E’ un aspetto per me positivo, e perfino paradossale se si tiene conto di quanto i bambini siano oggi merce demografica rara in una società etero che egoisticamente pensa solo al presente. Mi pare, in primis, che questo desiderio di famiglia con figli sia un’evoluzione contemporanea in un qualche modo favorito proprio dallo sviluppo della tecnica. Se la nascita di un bimbo avvenisse solo in natura, come in passato, forse questo desiderio sarebbe sublimato, ma oggi si nasce anche per vie tecnologiche. Il che dimostrerebbe che l’amore, sia etero sia omo, e la genitorialità non sono uguali nel tempo, ma si sviluppano storicamente secondo i contesti sociali che sono alla base della vita individuale, come scrive Karl Marx: “Nella produzione sociale della sua esistenza l’uomo produce se stesso”. I cambiamenti sociali, economici, tecnologici ci cambiano come persone. Non c’è nessun ideale ingenuo di umanità. Pensiero per me importante ma anche gravido di conseguenze sia felici che tragiche. E’ nelle mani dell’umano il suo destino. È nella volontà il mondo, non nella biochimica. Per questo è banale anche discutere l’eziologia omosessuale, se si nasce o si diventa. Vorrei credere che sessualità e amore siano una scelta per tutti, etero e omo, e che la coscienza del libero arbitrio muova il mondo.
Ma cos’è la genitorialità? E’ un archetipo, antico come la specie e la sua riproduzione, non è solo un buon desiderio sentimentale dell’oggi. Un archetipo ampliato sul terreno della nascita (come quello della morte) dalla tecnica, che favorisce questo esplicito desiderio negli omosessuali: si possono avere figli anche senza coito eterosessuale. Pasolini aveva pensieri simili sull’aborto, con uno scandaloso articolo del 1975. Ma se questo desiderio è così vivo mi pare non basti la presenza di una nuova tecnica. C’è stata in parallelo forse la mutazione culturale del sé sessuato. Paradossalmente, l’ unione civile e l’omogenitorialità sembrano una neo forma regolativa delle relazioni sessuate entro cornici monogamiche (alla faccia dei nostri studi giovanili sulla morte della famiglia stile Woodstock e Wilhelm Reich). Sembra, come diceva De Gaulle nel ’68, la conferma che “la ricreazione è finita”. E’ ad esempio il pensiero del conservatore inglese Cameron. La vita sembra cambiare segno in persone fino a poco tempo fa considerate da molti eccentriche e persino più libere degli etero, volutamente chiuse nei loro ghetti e nei loro locali, comunque entro stereotipi etero ma anche auto-stereotipi omo. La novità nel mondo omosessuale è palese. A differenza di Cameron, da sinistra si potrebbe vedere in questa trasformazione un “desiderio di inclusione”, da qui una certa critica sulle discriminazioni.
Una nuova normalità
C’è infatti un segno di “normalità” negli omosessuali che li rende simili agli etero: il desiderio genitoriale accompagna il desiderio di monogamia con le unioni civili, spesso lo anticipa, uno rafforza l’altro. Tra etero e omo il desiderio si assomiglia. Va quindi compreso dall’ educatore: avremo genitori omo collaborativi e altri rompiscatole, come gli etero. Diventa storia privata come molte altre. Per questo la querelle se chiamarle “unioni civili” o “matrimoni” mi pare solo tatticismo politico. Come dice Checco Zalone in una famosa battuta: “Sono gelosi come tutti gli altri”. L’educatore inoltre è sorpreso dal fatto che il desiderio di genitorialità va in controtendenza nel mondo etero, che non fa quasi più figli. Come negare che la nascita di bambini sia un evento meraviglioso e perfino demograficamente necessario?
Però la richiesta di questa “normalità” trova solo la tecnica come risposta in gran parte dei casi, con la fecondazione eterologa o la maternità surrogata. Altrimenti resta solo l’adozione classica. Il dilemma si fa insieme etico e politico: qual è il limite che la coscienza civile intende invalicabile nel fare i bambini? Sembra ad esempio da quasi tutti condiviso il rifiuto della maternità surrogata, peraltro già vietato dalle leggi italiane, ma sempre dalle nostre leggi è già accolto il desiderio di adozione classica anche di una coppia omosessuale. Quindi in astratto una soglia etico-politica c’è già. Per esempio si potrebbe favorire per gli omosessuali l’ adozione classica: sono milioni i bambini orfani e l’adozione è un’esperienza meravigliosa. Ma è già difficile per le coppie etero che aspettano anni, e poi si provi a parlarne con l’omofobica Russia, vergognosamente la più vasta donatrice di orfani pur con le sue ricchezze naturali.
Conflitti e limiti
Il conflitto sulla questione omogenitoriale non riguarda quindi l’educazione dei bambini, tocca la nascita. Va detto, prima di tutto, che la tecnica della nascita riguarda sia coppie omo che etero. Se anche l’Italia rifiutasse l’utero in affitto, negli USA e in Canada sono legittimi. Possiamo vietare viaggi di questo tipo? E quando il bambino è nato che si fa? Accettare tout-court bambini nati in America sarebbe, in teoria, come accettare la poligamia da cittadini provenienti dallo Yemen, dove è lecita. Un bel problema, sul quale Emma Bonino ci sollecita a saper distinguere da caso a caso, entrando in punta di piedi nella vita intima. Riguarda etero ed omo anche l’eutanasia, quando qualche italiano per morire va in Svizzera.
Qual è il limite della nascita e della morte? Questi dilemmi non trovano soluzioni in bagarre urlate in TV né in alibi elettoralistici. Merita riflessione e ascolto reciproco di tutte le ragioni e quel discernimento che suggerisce Papa Francesco. Merita riflettere etsi deus non daretur, che non è affatto una generica laicità da liberi-tutti. Non ho soluzioni sicure, sono tormentato come tanti, sollevo qui il dilemma come orizzonte di senso dell’umano nell’attuale epoca della tecnica, dove diritti desideri obblighi si mescolano con possibilità inedite.
Un ultimo pensiero per i bambini
L’effetto della nascita con la tecnica si pone nelle famiglie omogenitoriali sul tema dell’assenza, che è assurdo negare. E’ potente nelle nostre radici ancestrali l’idea che padre e madre sono diversi ma complementari. L’assenza di uno è comunque un’assenza. Nella realtà bambini con assenze sono diffusissimi anche negli etero in vari modi. L’assenza non è di per sé una tragedia, la resilienza è più forte degli stereotipi ancestrali e fa marameo ai terapeuti iatrogeni del dolore. Suggerisco però di leggere Il gesto di Ettore di Luigi Zoia per comprendere la profondità delle figure simboliche di maternità e paternità complementari e concentriche. Non basta dire (come è peraltro giusto) “è genitore chi lo educa”. Qui parliamo di profonde strutture esistenziali, non solo di pratiche affettive. E’ quindi lecito dire che il desiderio di genitorialità nelle famiglie omo può essere risolto se esistono condizioni in cui l’assenza abbia una comprensione vera, con uno sviluppo compensativo credibile per ogni bambino. Il bambino non nasce per sua volontà, ma ha diritto e necessità di sapere di sé, del suo destino, del mondo affettivo che è bello perché vario. Altrimenti, perché non fare anche classi scolastiche separate per genere?
Sul potere della tecnica e i sui limiti nella nascita e nella morte tocca a una società responsabile scegliere non solo il bene ma anche i mali minori e impedire i finti beni peggiori. Peggiori sono i diritti individualistici sbandierati solo per sé, a prescindere dalla responsabilità sugli altri. L’assenza va quanto meno compresa con giuste misure socialmente condivise. Ma negare o banalizzare il problema dell’assenza (come fa qualcuno) sarebbe un vero problema per questi bambini. Quindi, se possibile, condividiamo delle forme ragionevoli di nuova genitorialità, accogliendone la fertilità educativa con saggezza ed equilibrio.
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NOTA
Una versione leggermente diversa di questo articolo è stata pubblicata su Scuolaoggi.org il 6 febbraio 2016.
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