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L’utopia del ’68. Giuseppe Muraca su “L’uso della vita”/8

Sul ’68 si è ormai accumulata una bibliografia sterminata. Romano Luperini ha da poco aggiunto una nuova voce, rompendo però con le consuetudini storiografiche e scegliendo la via del romanzo. L’uso della vita 1968 (Massa, Transeuropa, 2013, pp. 138, Euro 12,90) è infatti la sua terza opera narrativa che è già diventato un piccolo caso letterario. I critici si chiedono: si tratta di un romanzo di formazione, come avverte lo stesso autore nella sua nota conclusiva, di un romanzo storico o di un romanzo politico? Onestamente mi sembra un fatto del tutto secondario. E se fosse tutte queste cose insieme?

Il romanzo è scritto in terza persona e si sviluppa in maniera lineare. Per il titolo Luperini s’ispira a un passo del saggio Mandato degli scrittori e limiti dell’antifascismo di Franco Fortini incluso nel libro Verifica dei poteri, pubblicato nel 1965. Contro la cancellazione del passato, egli ricostruisce e rielabora narrativamente la sua partecipazione al sessantotto pisano, di cui è stato uno dei maggiori protagonisti, inquadrandola nelle vicende collettive di quell’anno, tra occupazioni universitarie, assemblee studentesche e operaie, animate discussioni, picchettaggi davanti alle fabbriche, blocchi ferroviari, scontri con la polizia, pestaggi e arresti, conflitti generazionali e amori complicati. Il protagonista porta il nome di Marcello ed è un personaggio inventato ma rappresenta a tutti gli effetti una proiezione autobiografica dell’autore. Attraverso questa figura vengono rievocati i momenti più significativi di quel percorso soggettivo e politico. Il romanzo è infatti un viaggio attraverso il sessantotto, attraverso il tempo e la memoria. Convivono in queste pagine, vicende e personaggi immaginari con vicende e personaggi reali che fanno parte della storia culturale e politica della sinistra. Sono presenti, tra gli altri, Massimo D’Alema e Adriano Sofri, Riccardo Di Donato, Gianmario Cazzaniga. E incontriamo anche due maestri della nuova sinistra: lo stesso Franco Fortini e Luciano della Mea che avevano già alle spalle una lunga militanza nella sinistra del Partito socialista e nei gruppi della nuova sinistra. Marcello è un giovane insegnante precario e fa parte di una generazione che ha fatto della politica una ragione di vita, che ha sognato di cambiare il mondo e di fare la rivoluzione, in totale contrasto con la sinistra storica e la generazione dei padri (“La nuova rivoluzione doveva andare più in là, cambiare il mondo come il padre e la sua generazione non erano riusciti a fare.”, p. 32) Ciò che animava la ribellione di quei giovani era infatti la fede in un comunismo diverso da quello staliniano e togliattiano, nel quadro di una rivoluzione planetaria che stava emergendo in maniera dirompente in diversi luoghi del pianeta. Per alcuni mesi quel sogno sembrava tradursi in realtà mettendo in moto un’onda che stava travolgendo il vecchio sistema e modificando radicalmente i rapporti sociali e il legame tra i sessi, la mentalità collettiva. “Tutto si trasformava, in pochi giorni la gente cambiava, cambiava con una velocità sorprendente, pronunciava nomi nuovi fino a poco tempo prima sconosciuti…” (p. 32) I protagonisti di questa storia vengono colti nel vivo delle lotte e delle accese passioni di quell’anno, come trascinati da una corrente che cresceva continuamente in un mondo che stava mutando profondamente.

Per Luperini il 68 si concluse con i fatti della Bussola della notte di capodanno che causarono il tragico ferimento dello studente Soriano Ceccanti e che sancirono la fine del periodo più felice di quel grande sommovimento politico. E’ un episodio che anticipò il dilagare della violenza che si verificherà negli anni successivi (“Il sessantotto era finito, ed era finito come se avesse perduto per via gran parte della sua leggerezza.”, p. 137). E a questo punto si potrebbe aprire una discussione sul perché della datazione proposta dall’autore e sul significato e la portata da lui assegnata alla contestazione.Quest ioni non secondarie che dividono gli storici. Ma quel che più conta è che Luperini sia riuscito a tradurre le illusioni, le tensioni e le speranze di quell’anno cruciale in un’opera letteraria ricca di invenzioni, dove le vicende di un giovane intellettuale s’intrecciano con quelle di un’intera comunità umana che sogna di mutare la propria condizione e la propria esistenza. Il punto di vista dell’autore è distaccato e la cronaca dei fatti evita sapientemente la trappola della nostalgia e della pura retorica, ma assume le forme di un realismo limpido e asciutto che in alcuni momenti viene spinto ai limiti del grottesco. Ne viene fuori un racconto in cui realtà e allegoria, verità e fantasia, autobiografia e storia si fondono con naturale equilibrio, con esiti davvero felici e originali.

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