Portare l’ecologia in classe
La recente istituzione dell’insegnamento trasversale di Educazione Civica ha messo i docenti di fronte alla necessità di strutturare percorsi ascrivibili ai tre ambiti individuati dalle Linee Guida, ovvero Costituzione, Sviluppo Sostenibile e Cittadinanza Digitale, per arrivare alle 33 ore annuali previste dalla normativa. È vero che quasi tutti i manuali di letteratura italiana del triennio presentano delle “finestre” di Educazione Civica, nella forma di spunti a partire da autori e testi, ma credo che, affinché tali contenuti vengano percepiti non come “spot” o divagazioni estemporanee, ma come unitari e portatori di senso, debbano essere ancorati alle discipline e risultare motivanti per gli studenti, prevedendo un’articolazione unitaria e un monte ore significativo. D’altra parte, come ha recentemente sostenuto Romano Luperini nell’intervento Lo studio della letteratura oggi, all’interno del convegno Le risorse della letteratura per la scuola democratica, lo studio dei testi e, soprattutto, la loro interpretazione da parte del lettore nel momento ermeneutico è «anche Educazione Civica» perché rappresenta «un modo per contribuire alla formazione democratica del cittadino». Nel percorso di letteratura ed ecologia che si andrà a dettagliare, al centro ci sarà quindi il “noi” comunità di studenti-lettori-cittadini di fronte alle urgenze ambientali e climatiche, che esigono risposte comuni e urgenti, condivise in un discorso che dalla classe si allarghi al mondo.
Una miniera di spunti: Letteratura e ecologia di Scaffai
Per creare il modulo di Educazione Civica che delineerò nel presente articolo, destinato a una quinta superiore, ma adattabile anche ad altre classi del triennio, è stata fondamentale la lettura del saggio di Niccolò Scaffai, dal titolo Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa, edito da Carocci nel 2017. Il volume è la sistemazione organica di una serie di contributi risalenti già al 2011,1 che testimoniano l’interesse dell’autore per un tema che, sebbene trattato con pubblicazioni di ambito accademico, può essere foriero di stimoli per i docenti di scuola superiore e, per l’attualità degli argomenti affrontati, anche per un pubblico generalista. Come scrive infatti Scaffai nella relazione Letteratura ed ecologia: questioni e prospettive, in apertura del XXII Congresso dell’Associazione degli Italianisti del 2018, «L’importanza e la pervasività delle questioni ambientali contribuiscono a fare dell’ecologia il contesto di una grande narrazione collettiva, una delle più importanti tra quelle che la nostra cultura adotta per rappresentarsi».
Si tratta di tematiche riconducibili al nodo concettuale n. 2 di Educazione Civica, ovvero “Sviluppo sostenibile e Agenda 2030”, ma altresì fruttuose per legare la letteratura all’attualità: il pensiero va al movimento dei Fridays for Future e alla recente Cop27 di Sharm el-Sheikh, in cui si è cercato di raggiungere un accordo per la riduzione dell’uso dei combustibili fossili e si è parlato per la prima volta di ristori per i danni del cambiamento climatico. Come sostiene Scaffai, «se gli studi umanistici (e specialmente quelli letterari) continuano ad avere oggi una funzione socialmente necessaria, questa funzione consiste anche nell’interagire con altri campi del sapere come le scienze, mettendone in evidenza, quando serve, i limiti o temperandone gli eccessi» (N. Scaffai, Letteratura e ecologia, Carocci, Roma, 2017, p. 37). Credo che l’interdisciplinarità di cui parla l’accademico di Siena rappresenti uno degli obiettivi sottesi all’istituzione della disciplina di Educazione Civica, non a caso trasversale a tutti i docenti del consiglio di classe.
Uno sguardo sul Novecento a partire da Leopardi
Nelle Indicazioni Nazionali dei Licei si scrive che «in ragione delle risonanze novecentesche della sua opera e, insieme, della complessità della sua posizione nella letteratura europea del XIX secolo, Leopardi sarà studiato all’inizio dell’ultimo anno»; il percorso qui delineato parte proprio dalla riflessione sulla natura del poeta recanatese per inoltrarsi in scrittori del secondo Novecento che hanno scritto sulla degradazione del paesaggio italiano e indirizzato critiche più o meno dirette allo stravolgimento delle perle del Bel Paese. Negli anni del secondo dopoguerra, infatti, l’Italia è passata da un Paese ancora agrario a uno industriale con un’accelerazione senza eguali; per usare le parole forti di Andrea Zanzotto, si è passati, in pochi anni, «dai campi di sterminio allo sterminio dei campi» (F. Jori, Il poeta in trincea contro il cemento, «La Repubblica», 10.04.2007). Proporre un percorso tematico su letteratura ed ecologia a partire da Leopardi consente poi di anticipare nel primo quadrimestre autori importanti come Zanzotto, Gadda, Calvino e Pasolini che, sempre se i tempi lo permettono, vengono affrontati nel percorso di apprendimento di classe quinta negli ultimi mesi (se non settimane) dell’anno scolastico; si tratta, ovviamente, di una trattazione non organica, ma che consente di intercettare parte della produzione di questi grandi del secondo Novecento e di dare agli studenti un’idea di testi più vicini alla loro sensibilità. Il Novecento, in questo modo, potrebbe forse non essere più, per usare le parole di Emanuela Bandini nell’articolo Arrivare al Novecento su questo blog, «una specie di araba fenice dei docenti di Lettere».
Zanzotto, il poeta del paesaggio
Il percorso di letteratura ed ecologia prende il via dal legame tra la riflessione di Leopardi affidata alla Ginestra e quella di Zanzotto, grazie all’opera Filò, raccolta di liriche in dialetto veneto per il Casanova di Federico Fellini; qui il poeta di Pieve di Soligo cita espressamente il poeta recanatese in versi celeberrimi:
se sa che tu sé furia, pèdo che miér e miér de furie,
salvàrega tremenda irata sphinx
[… ]
… o pur
che cusìta l dis al libro de la Ginestra
no tu sa gnént
né de ti né de noi, e l to’ ndar par i miér de miér de ani
l’é come un star.2
L’uso del dialetto veneto non è d’altra parte casuale perché Zanzotto è un poeta radicato nel proprio territorio: frequenti sono infatti nei suoi scritti le critiche verso i corregionali, definiti da lui “giapponesi d’Italia” per l’alacrità con cui hanno proceduto a cementificare, a costruire capannoni, centri commerciali, a spargere una «lebbra» mortifera nei paesaggi immortalati da Giorgione, Tintoretto e Tiziano; sono i responsabili, sostiene Zanzotto stesso nell’articolo di Jori, di una «marcia di autodistruzione del […] favoloso mondo veneto ricco di arte e di memorie». Sempre in Filò racconta di una natura «intossicata, sconquassata, rosicchiata / castrata – […] / per l’avidità di pochi, gufi dal gozzo pieno». A differenza di Leopardi, l’obiettivo di Zanzotto è una difesa della natura, non dalla natura; uomo e natura non sono più visti come due poli opposti, perché l’autore veneto tende a una conciliazione tra gli elementi del binomio. Con un’espressione celebre, descrive la sua ottica con l’aggettivo biologale; scrive infatti nell’opera Il paesaggio come eros della terra, contenuta in Luoghi e paesaggi: «Il paesaggio è abitato non da uno soltanto, ma da innumerevoli cervelli ambulanti, da mille specchi diversi ma contigui che lo creano e che, a loro volta, da esso sono creati di continuo: il paesaggio diviene […] qualcosa di “biologale”». Il paesaggio e la natura contribuiscono quindi a formare le creature che lo vivono e ne ricevono in cambio un arricchimento spirituale che va oltre il piano biologico. Se Leopardi, con le Operette morali e la Ginestra,aveva messo in dubbio l’arrogante antropocentrismo del «Secol superbo e sciocco», Zanzotto cerca un’armonia tra uomo e natura, nell’ottica di un «giusto antropocentrismo».
Cementificare: l’esempio di Gadda
Sugli stessi temi dell’abusivismo edilizio (quanto mai attuale dopo i fatti di Casamicciola) e della cementificazione ha scritto anche Carlo Emilio Gadda, autore che fatica a trovare spazio nei percorsi di apprendimento scolastici per la sua lingua ostica e che necessita di mediazione da parte del docente. Un passo però della Cognizione del dolore è interessante perché consente di legare un primo approccio all’autore a un fenomeno tipicamente lombardo, ovvero la proliferazione di seconde case in luoghi prima adibiti a verde.
Gadda ci parla di quella speculazione, a volte legalizzata, che ha distrutto tratti di natura e borghi antichi, cancellato campagne, impoverito vasti orizzonti. Una speculazione che al Nord come al Sud non si è mai arrestata, anzi si è via via “arricchita” di opere pubbliche inutili e quartieri orribili, che deturpano il paesaggio. Esemplificativo è questo estratto del romanzo:
«Di ville! di villule!, di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti, i vaghissimi e placidi colli delle pendici preandine, che, manco a dirlo, “digradano dolcemente”: alle miti bacinelle dei loro laghi»3.
La nevrosi che attanaglia don Gonzalo, con evidenti riferimenti autobiografici, affonda certamente le sue radici nella morte del fratello in guerra e, soprattutto, nel rapporto conflittuale con la madre e con la smania di attaccamento della donna alla villa di Longone, che aveva provocato la rovina economica della famiglia; d’altra parte, si può fare della nevrosi un’interpretazione “ecologica”; Zanzotto, nell’intervista con Marzio Breda, dal titolo In questo progresso scorsoio, ci avverte infatti che vivere in mezzo alla bruttezza, aggredire il paesaggio con una proliferazione edilizia inconsulta e irrefrenabile può portare addirittura a «impensabili fenomeni regressivi al limite del disagio mentale» (Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda, Garzanti, Milano, 2009, p. 30).
Dove finiscono i rifiuti? Da Calvino all’Atlantide di spazzatura
Per un lettore degli anni Settanta, Leonia è solo una delle 55 città invisibili raccontate da Marco Polo all’imperatore Kublai Kan nel romanzo di Italo Calvino del 1972; com’è noto dall’attacco memorabile, «La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni», e «sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. […] Più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove». Questo desiderio di espellere il vecchio, in realtà semi-nuovo, porta a interrogarsi sullo smaltimento della spazzatura, tanto che Calvino scrive: «Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arrestare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto» (I. Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1993, pp. 111-112).
Per un lettore del XXI secolo, leggere Leonia porta a considerare Calvino un incredibile anticipatore dei nostri tempi: aveva già previsto cinquant’anni fa l’incontenibile espansione dei rifiuti, che ha addirittura portato alla creazione della cosiddetta Pacific Trash Vortex, l’isola di spazzatura nel Pacifico, composta per l’80% da plastica ed estesa in un’area di circa 1,6 milioni di chilometri quadrati, come il doppio della Francia. Materiale indistruttibile, dunque, come quello che gli abitanti di Leonia continuano a fabbricare rendendone difficile lo smaltimento: «l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni» (Ivi, p. 112). La Pacific Trash Vortex potrebbe essere la risposta alla domanda su dove vadano a finire i rifiuti espulsi da Leonia e, aggiungo, dalle metropoli del XXI secolo. Molti sono gli spunti di attualità da trattare in classe per attualizzare il testo letterario: l’aumento esponenziale degli imballaggi in plastica difficili da smaltire e che, talvolta, sono più pesanti del prodotto contenuto; la necessità di migliorare i meccanismi della raccolta differenziata; il consumismo, che spinge tutti noi a omologarci al ricambio del vecchio, perfettamente funzionante, per rincorrere, come a Leonia, il più avanzato, più tecnologico, ma soprattutto alla moda, in una corsa insensata.
Condannare la «mutazione antropologica» con immagini ecologiche: il caso di Pasolini
Contemporaneo di Calvino, anche Pier Paolo Pasolini riflette sulla trasformazione del paesaggio italiano dagli anni Cinquanta in poi, ravvisandovi una mutazione che ha cancellato le diversità, nei comportamenti e nei desideri, tra le classi e le ideologie. Il discorso di Pasolini insiste sulla scomparsa di una “biodiversità sociale”, che egli imputa all’afflusso del modello americano. Esemplare è l’articolo uscito il 1° febbraio del 1975 e confluito poi negli Scritti corsari come L’articolo delle lucciole. Lo scritto “corsaro”è ostico, ma la sua articolazione interna ci aiuta a collegare le riflessioni dell’intellettuale friulano al percorso di letteratura ed ecologia; egli ravvisa infatti due fasi nella storia dell’Italia, ovvero un “prima della scomparsa delle lucciole”, con una «continuità assoluta tra fascismo fascista e fascismo democristiano» e un “dopo la scomparsa della lucciole”, identificabile nei primi anni Sessanta, quando «a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole» (P. P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2008, p. 129).
Le lucciole diventano sineddoche del mondo preindustriale che è stato spazzato via, insieme a valori come «la Chiesa, la patria, la famiglia, l’obbedienza, la disciplina, il risparmio, la moralità»; l’industrializzazione accelerata, il «comportamento coatto dei consumi» hanno ricreato e deformato la «coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione»; il tono di Pasolini si fa vibrante, quasi profetico, contro una degenerazione che ha completamente mutato una gente italiana che lui amava.
Quali elementi sono tipicamente ecologisti nel suo discorso? Sicuramente l’accento posto sull’eliminazione della biodiversità, lì intesa in ambito sociale, ma avvalendosi dell’immagine biologica della perdita di specie animali e vegetali; l’inquinamento dell’acqua, dovuto allo sversamento dei liquidi di scarico delle industrie; il contrasto tra un ambiente rurale, amoenus, incorrotto (anche moralmente) e l’avanzare di un modello americano fortemente centralizzato, che ha azzerato le diversità e creato modelli di comportamento univoci, consumistici.
Un caso di wilderness italiana? La lucina di Moresco
Per concludere, circolarmente, il percorso tra letteratura ed ecologia torniamo a Leopardi, di cui si sentono forti gli echi nella Lucina di Antonio Moresco, nella quale la dicotomia umano-natura vede la netta predominanza della seconda, già a partire dal memorabile incipit: «sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante» (A. Moresco, La lucina, Mondadori, Milano 2013, pp. 9-10). La ripresa di Leopardi è duplice: da un lato il passo dello Zibaldone del 19 Aprile 1826 (solitamente identificato con “Il giardino della sofferenza”) riecheggia nelle lunghe descrizioni che il protagonista fa di una natura in putrefazione e in perpetua lotta; dall’altro lato le domande che il pastore rivolge alla luna nel Canto notturno sono le stesse di quelle che l’io narrante della Lucina indirizza ai grovigli di piante, alle rondini, ricevendo, qui, risposte secche («Sì, sì! Siamo folli») dai pazzi volatili, mentre si gettano a capofitto sull’acqua, come frecce, in un contesto di natura allucinata.
Come il protagonista dell’operetta morale Dialogo della Natura e di un Islandese, il protagonista, anche lui mai nominato, fugge dal consorzio umano, ma viene a contatto con una natura debordante, brulicante, con animali in preda a raptus di follia e un mondo vegetale che vuole occupare (fino a stritolare) la casetta in cui vive, unica traccia dell’umano. Le lucciole di Pasolini sono tornate e «pullulano in mezzo al fogliame fitto e nero, con le loro miriadi di piccole luci che si accendono e spengono a intermittenza» (Ivi, p. 69). Il personaggio che dice io sembra davvero inserito in una vera e propria wilderness, per usare il termine americano che identifica la tradizione di studi definiti come protoecologisti, e ricorda il protagonista del romanzo di Henry D. Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi, una delle opere fondative della cultura americana. Nella Lucina la presenza umana è infatti marginale e collocabile in una sorta di confine tra vita e morte: gli umani che abitano il borgo sono strani individui che vivono un tempo sospeso, irreale; i bambini della scuola serale sono morti, così come Stucco, la misteriosa creatura che abita la casa da cui proviene la lucina che dà il titolo al romanzo. In Moresco non ci sono, a differenza di Zanzotto, soluzioni armoniche al rapporto tra uomo e natura: il protagonista del romanzo è inserito in un perpetuo ciclo (leopardiano) di creazione e distruzione della materia; nella natura stessa si inscena una darwiniana struggle for life, in cui la sopravvivenza dell’uomo è messa a repentaglio da una sopraffazione del vegetale e dell’animale, a tinte fosche e allucinate.
Creare una coscienza ecologica in classe
Nell’Allegato C delle Linee guida di Educazione Civica si delineano delle Integrazioni al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo; saltano all’occhio i seguenti obiettivi che dovrebbero essere raggiunti attraverso l’istituzione di questa disciplina trasversale:
- Partecipare al dibattito culturale.
- Cogliere la complessità dei problemi esistenziali, morali, politici, sociali, economici e scientifici e formulare risposte personali argomentate.
- Rispettare l’ambiente, curarlo, conservarlo, migliorarlo, assumendo il principio di responsabilità.
Ritengo che la letteratura intesa come narrazione e come approccio a testi significativi possa davvero fare molto nella creazione di una coscienza civile; proporre itinerari di Educazione Civica attraverso la letteratura italiana rappresenta d’altra parte, per i docenti, un forte stimolo per selezionare contenuti culturali sfidanti per la classe come comunità ermeneutica. Il modulo e i testi che ho presentato, inclusi nell’itinerario letterario del quinto anno, vanno anche incontro al contesto culturale in cui siamo immersi, in cui il discorso ecologico è pervasivo e propongono un’idea di letteratura come educazione alla complessità che credo vada sempre più promossa, al posto di un generico e sterile enciclopedismo.
1 Vanno ricordati l’articolo Ecologia e rappresentazione dello spazio: Saviano, Tournier, DeLillo, apparso su «Between. Rivista dell’Associazione per lo studio della teoria e della storia comparata della letteratura», Vol. 1, N° 1 (2011), pp. 1-11 e il saggio Entropia dei rifiuti: contenere l’incontenibile, nel volume Ecocritica. La letteratura e la crisi del pianeta, a cura di Caterina Salabè, Donzelli, Roma, 2013, pp. 179-86.
2 A. Zanzotto, Filò. Per il Casanova di Fellini. Con una lettera e cinque disegni di Federico Fellini, Einaudi, Torino, 2012, p. 65.
3 C. E. Gadda, Romanzi e racconti, vol. I, a cura di R. Rodondi, G. Lucchini, E. Manzotti, Garzanti, Milano 1988, p. 584.
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