Tic del cambiamento e totem Invalsi. Risposta a Gianna Fregonara
Nel lessico odierno della politica e della comunicazione di massa, c’è una parola che è diventata il precipitato di tutto il bene: «innovazione». Questa parola taumaturgica è parte di uno schema d’interpretazione buono in ogni occasione: c’è chi vuole cambiare le cose e chi si oppone al cambiamento. Questi è, di solito, un privilegiato, un conservatore, un interessato. Lo schema funziona talmente bene – è accettato quasi fideisticamente per rabbia, per insofferenza, per frustrazione –, che può quasi prescindere dal merito delle questioni cui di volta in volta viene applicato.
Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, Gianna Fregonara ha parlato di scuola e di valutazione, prendendo spunto da alcune proteste degli insegnanti contro le prove Invalsi. Secondo la giornalista, tali reazioni sarebbero ascrivibili solo al tipico conservatorismo della nostra scuola.
Due giorni dopo Giorgio Israel ha osservato come l’articolo di Fregonara fosse fondato sul sillogismo fallace «è bene che la scuola sia valutata, i test Invalsi sono il mezzo giusto per farlo, i test Invalsi sono buoni». Da questo sillogismo si deduce che chiunque si contrapponga ai test Invalsi sia ipso facto contro la valutazione, la verifica del proprio operato, la trasparenza; dunque, aggiungerei io, sia parte di un ancien règime scolastico che punta i piedi davanti a ogni cambiamento. Mi pare che, quando non sia sorretta da argomenti convincenti e dati verificabili, questa retorica del cambiare verso e del rinnovamento a qualunque costo sia uno sgradevole e dannoso tic interpretativo, specie perché chiunque esprima critiche è ben presto etichettato come avversario: sia egli un vero conservatore o semplicemente un dissenziente che pensa che, nella trasformazione e nell’innovazione, tertium semper datur.
Sono tante le imprecisioni e banalizzazioni contenute nell’articolo di Fregonara. Prendiamo, ad esempio, questo passaggio: «La polemica sulla valutazione semplicemente non tiene conto del fatto che la scuola è fatta per imparare, che le competenze dei ragazzi vanno valutate nel modo più oggettivo possibile e o si fa una valutazione trasparente e aperta, condivisa o la valutazione delle scuole, della scuola pubblica, continueranno a farla i genitori e gli studenti in modo autonomo, forse non corretto, affidandosi agli strumenti che hanno: raccogliendo informazioni tra gli amici, i vicini, i conoscenti. E chi ha più “conoscenze” avrà informazioni migliori, potrà scegliere scuole migliori per i propri figli».
Fregonara usa concetti quali «valutazione oggettiva», «valutazione trasparente ed aperta» come se fossero parole d’uso comune e di significato univoco e scontato. Non è così. Infatti la giornalista confonde la misurazione degli apprendimenti – ciò che fa l’Invalsi – con la valutazione, che è questione assai più complessa; dà per scontato che i test siano la forma giusta per misurare, addirittura valutare; attribuisce un valore definitivo e indiscutibile (la grande Divinità dei nostri tempi: l’«Oggettività») ai risultati di quei test, risultati su cui dovrebbero fondarsi i genitori per decidere in quale scuola mandare i propri figli.
Oltre a ciò, Fregonara carica i test Invalsi di un potere addirittura democratico, partecipativo ed egualitaristico. Ma in che senso essi rappresenterebbero una forma di “valutazione condivisa” tra scuola e genitori? Basta, per ottenere quella condivisione, rilevare alcuni apprendimenti dei ragazzi, erigendo a totem un mezzo non inutile ma comunque assai parziale come delle prove standardizzate?
Fregonara si preoccupa del fatto che i genitori scelgano l’istituto dei propri figli sulla base di voci di corridoio. Fa bene, non è il modo giusto. Ma in che modo mettere in competizione gli istituti sulla base della pubblicazione, formale o informale, dei risultati delle prove Invalsi garantirebbe una scelta più fondata? E in che senso ciò rappresenterebbe uno strumento di garanzia per chi ha minori mezzi culturali per comprendere?
Non viene in mente che l’esito sarebbe esattamente l’opposto di quello auspicato? Da un lato, un (parziale, ma, come si è detto, non inutile) strumento di misurazione perderebbe il carattere neutro di strumento di rilevazione, per caricarsi di funzioni discriminatorie, cosa che evidentemente rischia di inficiare la trasparenza della rilevazione stessa; dall’altro quella politica produrrebbe semplicemente l’effetto che gli istituti con cattivi risultati – di solito scuole con un’utenza disagiata per ragioni socio-culturali e socio-economiche – si avviterebbero sempre più nella spirale della scuola-ghetto, vedendo crollare le iscrizioni di studenti con maggiori competenze, i quali fuggirebbero verso gli istituti con un’utenza selezionata.
Di fronte a queste approssimazioni e giudizi sommari, che mescolano generica insofferenza e pie aspirazioni, credo che non sia troppo pretendere maggior conoscenza dei fatti e maggior cautela nell’esprimere opinioni.
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su conservare, innovare e valutare
Due considerazioni abbastanza veloci, la prima sull’innovazione, la seconda sulla valutazione, con relative domande:
Prima considerazione: ho sinceramente l’impressione che sia altamente superficiale affermare che c’è una divisione tra innovatori e conservatori nella didattica. E soprattutto ci si dovrebbe chiedere che significato dare a “innovazione” e “conservazione”. Si pensi soltanto al concetto innovazione gattopardesca del “cambiare tutto affinché nulla cambi” e del concetto conservazione intesa come “mantenimento del fuoco” e non come “adorazione della cenere”. Bisognerebbe in effetti chiedersi non tanto se sia giusto conservare in genere piuttosto che innovare in genere. Ma chiedersi cosa innovare o conservare e perché innovare o conservare.
Ad esempio: i mutamenti enormi avvenuti nella società di oggi, (del tipo il semplice fatto che la società di oggi evolve a un ritmo visibile nel periodo di una sola vita umana a differenza di epoche precedenti, l’accelerazione delle innovazioni scientifiche e tecniche e le loro conseguenze sull’informazione, il fatto che culture sempre più diverse sono sempre più a contatto…) hanno qualche influenza sulle scelte su cosa innovare e cosa conservare e perché? E inoltre: è possibile ritenere che questi nuovi contesti presuppongano a volte non solo di attuare alcune innovazioni (grandi o piccole non importa) in alcuni princìpi e valori (o addirittura di sostituire del tutto princìpi e valori vecchi con altri nuovi), ma anche di conservare certi princìpi e valori attuandoli però con applicazioni pratiche nuove, adeguate a questi nuovi contesti?
E inoltre ci si dovrebbero chiedere: ma è possibile che ci siano fattori non legati ad argomentazioni ma piuttosto a concezioni più ideologiche e “distaccate dalla realtà e dal contesto attuale” che portano ad avere certe idee piuttosto che altre su cosa, come e perché conservare o rinnovare?
Seconda considerazione con relative domande: dall’articolo sembra si affermi che in realtà la maggioranza dei docenti in realtà non critica la valutazione in quanto tale ma solo certe modalità di essa e anche portando argomentazioni che fanno rilevare difetti di questi tipi di valutazione. A questo punto però vorrei sapere (presupponendo l’esistenza di queste critiche argomentate): alcuni dei portatori di queste critiche hanno comunque proposto alternative, almeno a grandi linee, di migliori forme di valutazione? E sono state accolte in che modo dai proponitori dei test Invalsi? Ed esistono anche insegnanti che hanno comunque ritenuto queste prove invalsi, anche se non perfette, meno inique di quanto ritengono gli altri docenti “critici” i quali sembrano la maggioranza? E come si potrebbe verificare che questi docenti “critici” hanno buone ragioni e non sono quindi timorosi di assumersi responsabilità e desiderosi soltanto di essere o non giudicati per nulla o giudicati in base a criteri che produrranno voti solo positivi, qualunque sia la qualità del lavoro dei docenti? E inoltre, davvero c’è una voce unica anche tra i creatori dei test invalsi?
Insomma, ho proposto queste considerazioni e domande evitando di esprimere i miei giudizi personali al riguardo perché ritengo che debbano essere chiariti punti di questa questione che spesso non vengono evidenziati quando si parla di questi argomenti.
Saluti.