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diretto da Romano Luperini

Per Stefano Brugnolo

Pubblichiamo il testo del breve saluto pronunciato a Pisa da Emanuele Zinato nel cortile del Palazzo della Sapienza durante la cerimonia laica in memoria di Stefano Brugnolo, scomparso prematuramente il 10 giugno 2025. Docente di Teoria della Letteratura e allievo di Francesco Orlando, tra i suoi molti lavori ricordiamo “La tradizione dell’umorismo nero” (1994), “La letterarietà dei discorsi scientifici” (2000), “Strane coppie. Antagonismo e parodia dell’uomo qualunque” (2013), “La tentazione dell’Altro. Avventure dell’identità occidentale da Conrad a Coetzee” (2017), “Dalla parte di Proust” (2022), “Rivoluzioni e popolo nell’immaginario letterario italiano ed europeo” (2023).

Stefano ha preso sul serio, e come ragione di vita, una felice intuizione del nostro comune maestro, Francesco Orlando secondo il quale la letteratura è dappertutto, come l’aria che si respira; la letteratura si trova anche nei motti di spirito, nelle battute scherzose, nelle affabulazioni improvvisate, nelle metafore azzeccate della vita quotidiana di tutti.  Stefano pensava che, se la letteratura scorre ovunque nelle relazioni umane, allora vuol dire che è un bisogno profondo, prima che un’istituzione.  Per questo interpretava e insegnava sempre, senza distinzioni e in ogni situazione della vita. E mentre insegnava e interpretava, sorrideva: produceva, a sua volta, battute scherzose e affabulazioni improvvisate. Per questo, ha insegnato in modo assolutamente egualitario: agli studenti del carcere; agli allievi dei corsi di teoria della letteratura; ai gruppi di lettura o nei corsi di scrittura creativa; agli amici e alle amiche dei Samizdat padovani; sulla sua pagina di Facebook, da lui usata come un’agorà;  a cena  o passeggiando per Padova o per Pisa. E mentre insegnava e interpretava, cercava sempre di mettere in scena questa verità: che la letteratura è insostituibile, che ci “serve” come il pane, come il desiderio, come il sogno a occhi aperti. Perché, scriveva, “giocando con le parole abbiamo bisogno di ribellarci allo strapotere della realtà, di prenderla in contropiede, di non dargliela mai per vinta”. (S. Brugnolo, Nuove forme di critica: del buon uso della letteratura su facebook, 2021).

La letteratura per Stefano corrispondeva insomma a un bisogno radicale, a un impulso insopprimibile di libertà.    Ecco perché era così vero, corporeo e vitale quando prendeva la parola, quando accompagnava le pause coi suoi gesti inconfondibili: sempre estraneo alle mode, sempre incline alla polemica culturale, rispettosa ma ferma, mai ingessato nei ruoli accademici.  Per questo era così amato, dagli amici e dagli studenti: lo si poteva trovare anche “buffo”, ma quella sua eccentricità svagata e arguta, quella calda passionalità ironica e istrionica, conteneva un ammonimento inerente il rispetto democratico del testo, del lettore e dell’interprete.  È come se, sempre, in ogni occasione interpretativa ci dicesse: “badate,  che  se capiamo le ragioni del  piacere intenso che ci dà questo testo, comprendiamo anche una verità  rimossa che ci riguarda tutti; guardate che anche noi tutti, proprio come quel testo, siamo fatti di ambivalenze; e se capiamo, grazie al testo,  la grammatica di quelle ambivalenze  saremo più liberi e più consapevoli di noi stessi e degli altri.”

Nel libro che abbiamo scritto assieme, in due anni di belle conversazioni e di felice collaborazione, con Sergio Zatti e con Davide Colussi, La scrittura e il mondo (2016) Stefano si chiede “Da dove viene la letteratura? Da quali realtà psichiche o culturali, emana?” E, più avanti, decide di dare ai lettori un esempio facile, conosciuto da tutti: “Del Pinocchio di Collodi si può certo dire che è scritto in nome di una pedagogia che condanna la disobbedienza del burattino, ma di esso si può dire altresì che contemporaneamente simpatizza con quella disobbedienza.  (…) Forse di tutti i grandi testi letterari si può dire che sono abitati da intenzioni opposte, condanna e simpatia, e nondimeno i lettori li comprendono e li amano”.  

Saper comprendere e amare ciò che è abitato da istanze opposte: e farlo proprio, portandolo alla coscienza: ecco in sintesi quello che, freudianamente, le parole, i libri, i gesti di Stefano volevano insegnarci. La sua morte improvvisa ci lascia sgomenti e più soli. Forte e fragile a un tempo, l’ingenuo e il candido che erano in lui potevano sconcertare: erano realtà psichiche e insieme figure ironiche di resistenza.  Dovremo ora farle nostre, per il tempo che ci sarà concesso, contro la desertificazione della scuola, dell’università e del mondo. Grazie amico mio, a nome di tutti, e in nome del futuro.

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