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diretto da Romano Luperini

I generali Cadorna della scuola e la Caporetto della scuola

Pochi giorni fa ho partecipato a una conferenza sulle fake news, organizzata dalla coalizione di sinistra del mio paese. A dire il vero, l’intervento trattava il livello base delle fake news, quello in cui sguazza fragolina73, per intenderci. Poi è saltato fuori il pensiero critico, i vari bias cognitivi e, infine, una critica alla scuola, accusata di ostacolare l’aggiornamento su queste importanti tematiche. Una scuola rigida, vecchia, chiusa al confronto con l’esterno.

A quel punto sono intervenuto.

A mio avviso, oggi il più grande bias cognitivo che colpisce la cosiddetta classe media colta è il credere che una formuletta, con indicazioni operative precise, possa tranquillamente sostituire una conoscenza acquisita in anni di studio e riflessione. Una conoscenza magari meno specialistica, ma indubbiamente più comprensiva del reale. Lo considero il corrispettivo dell’analfabetismo funzionale che affligge le classi “basse”, producendo gli stessi danni, se non peggiori, in quanto la classe media colta ha maggiori responsabilità sociali rispetto al “popolo”.

Rifiuto in toto ciò che è stato detto sulla scuola, probabilmente perché chi parla non ne conosce affatto il funzionamento. Trovo paradossale ascoltare certe affermazioni, e al tempo stesso ravviso un’ostilità crescente nei confronti della scuola come luogo di apprendimento, un’ostilità che sfocia nel disprezzo per gli stessi operatori del settore.

Paradossale, sì, perché oggi a scuola viene chiunque. Hai un camioncino di hamburger sotto il ponte dell’autostrada? Vieni a fare una relazione sull’imprenditorialità nomade. Sai tagliare benissimo le unghie dei tuoi gatti? Perfetto per una conferenza sull’orientamento, settore pet beauty. Hai un passato come staccatore di biglietti alla sagra dei bisi di Lumignano? Ottimo per una lezione di educazione civica.

Nelle scuole oggi entra di tutto. Ci sono 33 ore di educazione civica e 30 ore di orientamento, tutte sottratte alle altre materie. Non esiste un docente specifico per queste nuove discipline: vengono “spalmate” sull’intero corpo docente. E “spalmate sul corpo docenti” non è nemmeno una metafora, anche se – va detto – non c’è nulla di erotico. Le 33 ore di civica e le 30 di orientamento spesso vengono ampiamente superate. Quindi parlare di una scuola chiusa, priva di contatti con l’esterno, è oggi un’autentica bestialità. Ma capita a tutti di dire sciocchezze.

Poi c’è il tema del “pensiero critico”, su cui si potrebbe scrivere un libro. Oggi molte persone, anche con responsabilità educative e culturali, vengono formate su basi concettuali fragili. C’è chi ritiene che certi approcci psicologici siano scientifici alla maniera della fisica dura e pura, che però, a differenza della psicologia, formula molte meno verità assolute.

Questi approcci tendono a escludere una conoscenza strutturata, anche nozionistica, ma storicamente consolidata, e la sostituiscono con formule di pronta applicazione per affrontare l’immediato. È il concetto di competenza, signori. E per quanto si ripeta che senza conoscenze non ci siano vere competenze, la competenza finisce spesso per essere autoreferenziale: vive per sé stessa.

Il pensiero critico non è una conoscenza, è una competenza, ed è richiestissima dal mondo delle imprese – quindi anche dalla scuola, sempre più subordinata al mercato. Ma la competenza, non essendo fondata su un sapere articolato e spesso non prevedendone alcuno oltre un livello basilare, non permette una comprensione profonda dei problemi. La competenza vive nel presente e per il presente: affronta l’urgenza, ma non contempla il lungo periodo, perché quello richiederebbe proprio quelle conoscenze che abbiamo sacrificato.

Non a caso, la materia più penalizzata nella scuola è proprio la storia.

Per comprendere una fake news di tipo scientifico non basta il pensiero critico inteso come abilità nel controllare le fonti o individuare i bias cognitivi. Serve una discreta conoscenza scientifica, che fornisca le basi per interpretare il mondo in cui il problema si colloca.

È chiaro: se si sottraggono ore alle discipline per fare educazione civica, orientamento e mille altre attività, la conoscenza si impoverisce. La scuola è diventata la discarica pubblica della società, un capro espiatorio in senso girardiano. Periodicamente le si attribuiscono le colpe di ogni male sociale e, in nome di un presunto progresso, le viene mutilata la missione, condannandola a rinnegare ogni complicità col passato.

C’è la violenza di genere? Si aggiunga un’ora di educazione affettiva. Ci sono le fake news? Un’ora di comunicazione e media literacy. I ragazzi non sanno farsi il letto? Si aggiunga l’ora di piegatura e dispiegatura delle lenzuola. E via con le ore di musica, teatro, numismatica, eccetera. Ogni problema della società trova la sua “riparazione” nella scuola, in un rituale puramente formale, che produce – nella migliore delle ipotesi – un ennesimo voto e una montagna di stress per gli studenti. Per i docenti, invece, una burocrazia machiavellica li costringe a improbabili quadrature del cerchio.

Tanto, ciò che conta è quello che appare nel registro elettronico. Tutto deve essere refertato. La scuola è diventata un paziente.

E tutto questo alimenta un business, sì. Ma attenzione: non è sempre per interesse. Molti lo fanno perché ci credono. Ed è quasi peggio.

C’è infine la convinzione che i nuovi tempi impongano di gettare via le vecchie conoscenze. Questo accade, spesso, perché non le si è mai veramente esperite. Sì, una conoscenza si esperisce. Forse questa affermazione suonerà inaudita ai paladini dell’attivismo pedagogico, la cui missione sembra essere abbattere l’ancien régime della lezione frontale, dei volumi poderosi, della conoscenza teorica e astratta, considerata obsoleta nel mondo della complessità e dell’intelligenza artificiale.

Eppure questo mondo “nuovo” è pur sempre figlio di un mondo altrettanto complesso ma più lento, che abbiamo calpestato per oltre 2500 anni. Le strutture della conoscenza che hanno portato l’umanità fin qui sono frutto di cambi di paradigma che un approccio per competenze non può nemmeno immaginare. Le conoscenze non possono essere ridotte a pensierini da Bacio Perugina: non bastano per affrontare la complessità del reale.

La conoscenza – anche la più teorica – si esperisce fin dal primo momento in cui la si incontra. Qualcosa accade nella mente dello studente, egli la vive, la pratica, a patto che esista un buon rapporto educativo con il docente.

Ad esempio: l’adorazione che molti nutrono per Byung-Chul Han, raffinato osservatore del presente, si ridimensionerebbe molto se avessero letto qualcosa della Scuola di Francoforte. Quella che oggi passa per saggistica di successo somiglia più a un McBurger che a una cena completa. Certo, anche il McBurger richiede talento: non è un semplice riassunto, è qualcosa che pretende di essere autosufficiente. Come quei libri dai titoli accattivanti: “Tutto quello che non vi hanno mai detto su…” – scegliete pure un tema a caso. È la logica del debunker: utile, certo, ma solo se si riconosce la sua limitatezza. Questa mia riflessione potrà sembrare la solita tirata da professore reazionario e gentiliano. Ma anche questa è una semplificazione da “boomer”, figlia della polarizzazione informativa dei nostri tempi. Lo stesso termine “boomer” ha senso solo all’interno di una visione polarizzata, dove da una parte c’è il bene e dall’altra il male. Ma scientificamente, non significa nulla.

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