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diretto da Romano Luperini

Individuo e Persona nelle Nuove indicazioni Nazionali

Le Nuove Indicazioni di recente pubblicate pongono una particolare enfasi sui concetti di “individuo” e “persona”. Si tratta di categorie fondamentali nella storia della filosofia che si prestano facilmente a semplificazioni e fraintendimenti, se usate in modo disinvolto. Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo al chiarimento di questi concetti e alla loro contestualizzazione.

Per farlo, è necessario prima di tutto ricordare la complessità dell’idea di “liberalismo”, molto spesso evocata in termini riduttivi da chi oggi si considera erede della “tradizione liberale”, fino a giustificare da una parte una concezione autoritaria del potere, dall’altra una visione della società dominata dalle più diverse espressioni dell’egoismo individuale.

Che cos’è il liberalismo?

Uno studente potrebbe rispondere ricordando l’opera di Cavour ed il pensiero cardine del laicismo ottocentesco: “libera Chiesa in libero Stato”; oppure ritornare all’origine del pensiero liberale europeo, quando John Locke, il dottor Locke, difese la legittimità degli eventi che avevano portato il parlamento a ribellarsi contro il governo in quella che viene ricordata come seconda rivoluzione inglese.

Non furono i rivoltosi a sottrarsi alle leggi, a sovvertirle attaccando il simbolo del potere legittimo riconosciuto e accettato, ma il contrario. Locke dimostrò che fu il governo di Giacomo II a ribellarsi alle leggi e con ciò a rendersi illegittimo. Infatti il governo nasce da un patto con i cittadini che garantisce loro sicurezza (vita, libertà e proprietà privata). I cittadini in cambio rinunciano ad usare la forza per qualunque motivo, fosse anche per difendere la propria casa, delegando agli organi dello Stato l’uso di mezzi di coercizione.

In un’epoca in cui Robert Filmer teorizzava la discendenza dei re dai patriarchi della Bibbia e considerava il potere monarchico tale per diritto divino, le parole di Locke sembrano voler difendere l’autonomia del singolo rispetto ad uno Stato che lo può opprimere con iniziative autoritarie giustificate dalla necessità dell’automantenimento. E’ proprio durante gli anni della prima rivoluzione inglese (1642-1651) che nasce “Il Leviatano” (1651) in cui Hobbes paragona il sovrano al mostro biblico, tale è la forza imponente dell’autorità monarchica. Ecco: lo Stato serve a migliorare la vita dei cittadini non a cambiarla radicalmente. Naturalmente gli uomini, buoni e cattivi, o meglio né buoni né cattivi, in un ipotetico mondo pre-contrattuale vivono abbastanza bene, in sintonia tra di loro, vanno d’accordo; ma ogni tanto i dissidi, per un campo di mele oper il confine segnato da una pietra, possono portare al conflitto combattuto, alla guerra.

Quello che avviene nel passaggio dallo stato di natura allo stato civile è un cambiamento che gli individui decidono insieme di attuare. Attraverso un contratto essi delegano parte della propria libertà allo Stato. Il patto non cancella il diritto alla vita, alla libertà personale (neanche per Hobbes il sovrano poteva ordinare al suddito di imporsi la morte) e alla proprietà privata; anzi conferma e difende tali esigenze usando la forza se tali diritti fossero minacciati. Lo Stato liberale teorizzato da Locke (monarchia parlamentare) resta il fondamento per le future riflessioni in questo ambito.

Le idee di “individuo”, “persona” e “personalità” intorno alle quali si costruisce il ragionamento delle Nuove Indicazioni nazionali trovano il loro fondamento negli articoli 2 e 3 della Costituzione; vengono sintetizzati nella formulazione dell’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948): “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”.

Va sottolineato però che il testo costituzionale, dopo aver affermato la necessità per la Repubblica di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, pone una particolare enfasi nella seconda parte sull’”adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; analogamente secondo Locke non sono l’arricchimento personale e il successo a dover essere perseguiti per arrivare alla felicità bensì la virtù, la saggezza, la civiltà e la cultura.

Lo Stato pertanto difende i diritti dell’individuo ma contemporaneamente condanna l’individualismo. In questo quadro di valori, quindi, il perseguimento della realizzazione individuale, che oggi si definisce “diritto alla felicità”, non prevede affatto che essa possa essere cercata attraverso ogni e qualsiasi soddisfazione personale, bensì nell’equilibrio fra la naturale tendenza egoistica di ciascun individuo e la scelta di socialità e condivisione che caratterizza le democrazie liberali.

Società liberale o liberista?

A queste deduzioni conduce anche il pensiero del filosofo Karl Popper, teorico del liberalismo politico nel Novecento afferma che la democrazia si debba insegnare, attraverso l’educazione alla società aperta.

Accomunando nello “storicismo” fascismi e comunismi, Popper, che del liberalismo novecentesco è un chiaro maestro, mette in guardia dal rischio di voler attribuire alla storia uno schema interpretativo a partire da leggi presunte universali. Così si comportano quelli che definisce “prescrittori”, i filosofi che per cogliere il senso complessivo della storia la ingabbiano in leggi necessarie dal valore non dimostrato.

Dalla critica alle filosofie/teorie olistiche e oracolari che sorreggono i totalitarismi emerge un liberalismo intelligente e pacifico dettato non dalla paura ma dal coraggio, frutto della consapevolezza del nostro essere finiti: ognuno nasce e muore, e ha un tempo.

Proprio per il carattere “provvisorio” degli individui e di conseguenza delle loro costruzioni sociali, la società aperta diventa l’obiettivo delle democrazie. Una società che fa errori e li corregge, che non aspira alla perfezione e al pensiero unico ma al meglio e alla soluzione meno traumatica: le riforme portano al miglioramento della società e attraverso periodiche elezioni i governanti si possono cambiare.

La difesa dei diritti individuali passa attraverso la costruzione ed il mantenimento di una democrazia di fatto in cui i governati controllano i governanti attraverso “istituzioni strategiche”. Finta sarebbe la democrazia dove la maggioranza detiene il potere e lo esercita come se fosse un diritto. 

«La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, benché l’istituzione delle elezioni generali sia della massima importanza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica. (La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia, i poteri dei governanti devono essere limitati». 

K.R.Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Armando, Roma, 1981, pagg. 210-211

Sia in Locke che in Popper, l’individuo e la persona sono descritti in un contesto più ampio. Non potendosi realizzare da soli hanno bisogno dell’altro, del vicino di casa.

Fra la persona singola e le aggregazioni alle quali partecipa, prime fra tutte le istituzioni tramite le quali lo Stato si manifesta, esiste dunque una costante dialettica, una costruttiva tensione attraverso la quale si corroborano e si nutrono vicendevolmente: lo Stato esistendo per ogni persona e in ogni persona; le persone riconoscendo, negli altri, membri uguali di uno stesso corpo sociale. Sembra invece che le parole del testo delle Nuove indicazioni intendano indicare una contrapposizione tra persona e Stato, intendendo la persona come individuo:

«La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato come opportunamente sottolineava il costituente Giorgio La Pira. Così la scuola, che è scuola costituzionale, pone le persone degli allievi al centro delle sue azioni e ne promuove i talenti attraverso la formazione integrale e armonica di tutte le dimensioni».

Una scuola per l’io?

Volendo accentuare l’aspetto più liberista che liberale si tradisce sia lo spirito della filosofia del liberalismo classico (a cui sembrano ispirarsi le parole del testo) che quella del “personalismo” di cui Mounier tratteggia la struttura.

Questa visione filosofica, che ha assunto diverse connotazioni nel corso della storia del pensiero, nel Novecento si articola in molteplici correnti che hanno in comune la centralità della persona intesa nel suo valore individuale e sociale.

Scampato alla guerra, al campo nazista in cui fu internato, alla prigione in cui lo aveva relegato il governo collaborazionista di Vichy, Mounier elabora un pensiero che allontana la possibilità di dare un senso positivo a fascismi e totalitarismi. In questo contesto prende forma la sua filosofia della persona: non un sistema filosofico ma un atteggiamento verso il mondo che caratterizza la persona attraverso le categorie di incarnazione, vocazione e comunione.

Il filo conduttore tra la società aperta e la visione metafisica e spirituale del mondo è il filosofo Henry Bergson.  Il corpo ingigantito dell’uomo tecnologico si esprime al meglio nella materia, nella meccanica dei corpi e, come sua propaggine, nella tecnologia. Ma il corpo così sovradimensionato poggiato su sè stesso è un’astrazione scientista. La metafisica regge la meccanica come l’anima il corpo. Ed è il misticismo di una visione religiosa dinamica e creativa la cura per riequilibrare la sproporzione.

Mounier afferma che la persona ha come fine la collaborazione con il prossimo guardando al bene comune. Nella volontà di opporsi al passato nazifascista egli accentua il mistero racchiuso nella coscienza, non promuove certo l’individualismo; la sua pedagogia fa risaltare l’educazione, la cura del sé e del suo sviluppo verso Dio e verso gli altri.   

Giorgio La Pira, padre costituente citato nel documento come ispiratore delle idee in esso espresse, fu determinante nell’elaborazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Come Mounier, pose l’accento sulla persona intesa in senso spirituale, che si esprime nella comunità di cui fa parte e a cui rivolge il suo lavoro, sempre nell’orizzonte di uguaglianza e di rispetto delle diversità.

Sembra quindi esserci una certa distanza tra il testo delle Nuove Indicazioni e i principi formulati dai filosofi cui affermano di ispirarsi gli estensori del documento.

Dall’accento sulla persona e sull’individuo, essi “ricavano“ un concetto chiave della formazione scolastica: la persona è una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire ‘io’” (pag. 8); tuttavia, non si può non accorgersi che in questo modo le Indicazioni potrebbero peggiorare la scuola, accentuando la tendenza già osservabile a usarla come un supermercato, di cui servirsi prendendo quello che occorre quando serve, decidendo il come e il quando.

Ad esempio: avere a che fare con studenti improvvisamente assenti per alcuni giorni o settimane, che invocano il diritto a recuperare o ad avere a disposizione spiegazioni e appunti sulle lezioni tenute in giornate in cui “io non c’ero”, per scoprire poi che l’assenza è dovuta ad un viaggio turistico con l’accordo e la partecipazione dei genitori, espone il lavoro degli insegnanti alla marginalizzazione e al compatimento. Tanto varrebbe attribuire al docente la funzione di insegnante privato e considerare la scuola luogo di intrattenimento e svago fine a sé stesso.

(La foto è di Stefania Melotto ©)

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