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diretto da Romano Luperini

Fare esperienza della lettura: Antonia Pozzi, Sventatezza. Un diario di bordo didattico

Qualche giorno fa in una classe seconda (liceo delle scienze umane) abbiamo affrontato questa poesia di Antonia Pozzi (dall’edizione Parole, Garzanti, 2001):i

Sventatezza

Ricordo un pomeriggio di settembre,

sul Montello. Io, ancora una bambina,

col trecciolino smilzo ed un prurito

di pazze corse su per le ginocchia.

Mio padre, rannicchiato dentro un andito 5

scavato in un rialzo del terreno,

mi additava attraverso una fessura

il Piave e le colline; mi parlava

della guerra, di sé, dei suoi soldati.

Nell’ombra, l’erba gelida e affilata 10

mi sfiorava i polpacci: sotto terra,

le radici succhiavan forse ancora

qualche goccia di sangue. Ma io ardevo

dal desiderio di scattare fuori,

nell’invadente sole, per raccogliere 15

un pugnetto di more da una siepe.

Milano, 22 maggio 1929

Vorrei sfruttare il resoconto di quella lezione per sviluppare alcune riflessioni sul processo di comprensione e interpretazione e su un approccio ermeneutico ai testi letterari.

Poche premesse

Il testo è proiettato alla LIM. Gli studenti ne hanno una copia sotto mano e prendono appunti su di essa. Uso una lavagna d’ardesia per fissare le parole chiave della nostra interpretazione che emergono nel corso della lezione.

Il testo è compreso in una piccola dispensa con poesie di tre poeti italiani del Novecento: oltre ad Antonia Pozzi, Giovanni Giudici e Patrizia Cavalli. La dispensa è completamente priva di apparati: cappelli introduttivi ai testi, note esplicative, commento. Mi limito a far precedere al percorso sui tre autori una loro sintetica presentazione (vita e pochi cenni su temi e stile dell’opera), che mira soprattutto a garantire che, dietro quella forma linguistica che ne è rimasta come traccia, compaia la presenza di una figura umana.

Questo approccio così poco strutturato esige una precisazione: non vorrei che si leggesse l’attività come una scelta di campo polemica contro i due modelli della spiegazione del testo da parte dell’insegnante o dell’analisi operata dallo studente attraverso una serie di domande. Questo lavoro è un punto d’arrivo, non di partenza, della mia programmazione annuale; in generale, in altre fasi dell’anno o negli anni successivi, faccio studiare strumenti di analisi formale, faccio ricorso ad apparati più minuziosi, sottopongo a forme di lavoro sul testo più cogenti, spiego ‘frontalmente’. Tuttavia quella che presento non è una forma occasionale ed estravagante di laboratorio, ma un approccio che ritengo qualificante della mia didattica dei testi letterari.

Come si può vedere, Sventatezza è un componimento scritto in una forma abbastanza piana. Non ha un lessico letterario o lontano dalla lingua media della comunicazione; non ha una sintassi complessa. Anche dal punto di vista retorico non ha asperità: non ci sono forti analogie o grumi di figure che rendano opaco il dettato; non è una poesia né difficile né oscura. Per queste sue caratteristiche non richiede una vera e propria parafrasi. Ciò non significa ovviamente che la sua comprensione letterale avvenga automaticamente.

Il lavoro comincia da una lettura lineare e integrale del testo. Dopodiché avviene quanto racconto nel seguente diario di bordo.

Diario di bordo

Il ricordo e l’infanzia. Dal momento che prima di Sventatezza avevamo già letto un altro testo di Antonia Pozzi (Amore di lontananza, anch’esso del ‘29), che ha un identico attacco, ho iniziato da qui.

«In questa poesia ricorre una parola identica ad Amore di lontananza, collocata in una posizione ‘sensibile’. Quale?»

«Ricordo, all’inizio»

«Bene, di nuovo una poesia in cui ci sono due piani temporali, quello presente del ricordo e quello dell’episodio ricordato. Ci sono altre somiglianze?»

«Il ricordo è un ricordo dell’infanzia»

«Perfetto. Da quali elementi del testo lo capite?».

Curiosamente, a questo punto, invece di un riferimento all’esplicito ancora una bambina del v. 2, arriva una risposta meno immediata: «lei vuole correre fuori per raccogliere delle more». Faccio notare il riferimento esplicito del v. 2, che mi aspettavo, ma raccolgo l’osservazione, che mi sembra una dimostrazione di come qui, forse, più di un’espressione letterale, a identificare il ricordo come infantile abbia contribuito qualcosa di più sottile ed evocativo, legato all’esperienza: il desiderio di corse e di contatto con la natura. (Su questa priorità del dato esperienziale tornerò). «C’è altro che può essere ricollegato alle sensazioni, ai ricordi dell’infanzia?»

«Il trecciolino»

«Che è ‘smilzo’: sapete il significato di questa parola?»

«Magro… sottile»

«Poi?»

«Il prurito alle ginocchia»

«E che cosa significa quest’espressione?»

«L’erba le fa il solletico»

«L’erba?»

«Sì»

«Fai riferimento ai vv. 10-11, dove dice l’erba gelida e affilata / mi sfiorava i polpacci

«Sì»

«Collegare due versi molto lontani può essere utile per comprendere il significato complessivo della poesia. Bisogna però fare attenzione al significato letterale e ‘locale’, di ogni singola frase. È vero che qui l’equivoco è possibile: l’erba in effetti, dice il testo, sfiora i polpacci della bambina e potremmo immaginare un effetto di solletico. Ma in quell’erba, lo vedremo più avanti, c’è altro e molto di più. Lasciamola per un attimo da parte. Torniamo al prurito alle ginocchia e rileggiamo l’espressione: un prurito / di pazze corse su per le ginocchia. Non è un prurito qualsiasi qui: siamo sicuri che valga in senso letterale?»

«No, significa che vuole correre via e lo sente nel corpo»

«Bene, possiamo dire che qui ‘prurito’ vale come sinonimo di ‘desiderio’?»

«Sì».

Lo spazio reale e simbolico. «Abbiamo quindi una bambina che desidera intensamente correr via, per raccogliere delle more (anticipiamo questo elemento dall’ultimo verso). Ma correr via da dove? E verso dove? Dove si trova la bambina?»

«Vicino a delle colline e a un fiume, come nella poesia precedente»

«Bravi, non ci avevo pensato, è vero. Io in realtà vi chiedevo altro. Ma sviluppiamo la vostra osservazione su questo dettaglio. Anche in Amore di lontananza ci sono le colline lontane, viste dalla casa della madre, e un fiume. Lì si parla però di un altro fiume, il Ticino. Tuttavia è indubbio che la presenza della stessa associazione tra due elementi geografici in entrambe le poesie faccia riflettere. Tra l’altro in Amore di lontananza fiume e colline non erano un dettaglio secondario, ma un nucleo di significato emotivamente e simbolicamente molto forte. Possiamo avanzare qualche ipotesi sul ricorrere di questa immagine?»

«Sono i luoghi della sua infanzia… sono luoghi ricordati»

«Sì, e questo che carattere dà loro?»

«Lei prova nostalgia».

In effetti la sovrapposizione tra una lontananza spaziale e una temporale, tra un paesaggio osservato da distante e la nostalgia del passato, era al centro della poesia precedente. Non sembra essere così in questa poesia, dove fiume e colline sono additati dal padre e sono i luoghi della sua guerra: ma solo alla lettera. Gli studenti hanno ragione: colline e fiume sembrano essere proprio un ricorrente paesaggio dell’anima.

«Bene. Continuiamo a parlare dello spazio in cui è ambientata la poesia e annettiamo l’elemento a cui volevo portarvi io. Il paesaggio non è generico, ma precisamente identificabile»

«Ci sono dei nomi propri… Montello… Piave»

«Esatto. Il Montello io stesso non sapevo che cosa fosse e ho dovuto cercarlo in rete. Dovrebbe essere un piccolo colle vicino al Piave. Sapete già che questo è un fiume. Ma non uno qualsiasi»

«C’è anche la canzone»

«Sì, canzone che ricorda quale evento?»

«La Prima guerra mondiale»

«Bene. Il Piave fu il fronte simbolicamente più importante per gli italiani, quello della resistenza all’invasione austriaca. A questo punto possiamo tornare alla mia domanda, e abbiamo anche qualche elemento in più per rispondere: dove si trova la bambina?»

«Il padre l’ha portata dove aveva combattuto»

«E precisamente in quale luogo? È un luogo simbolo della Prima guerra mondiale, badate al lessico: ‘andito / scavato in un rialzo del terreno’. Un andito è un corridoio: che sarà questo ‘corridoio’ scavato in un rialzo del terreno?»

«Le trincee!»

«Esatto. A questo punto è facile capire anche quelle ‘fessure’»

«Servivano per sparare»

«O per stare di vedetta, cioè avvistare i nemici»

«Lei però dalla fessura vede il Piave e le colline… il paesaggio della sua infanzia»

«In realtà li indica il padre. Ma abbiamo visto che fiume e colline hanno per lei quel forte valore simbolico, per cui perché no? Ricapitoliamo. La bambina vuole scappare fuori da una trincea, luogo di morte, spinta da un pazzo desiderio di corsa, e per raccogliere delle more; il luogo per lei non ha lo stesso significato che ha per il padre, lei ci vede le ‘sue’ colline e il ‘suo’ fiume».

Il padre, la guerra, i morti. «Lasciamo per un momento da parte la bambina. Concentriamoci sulla figura del padre. Che cosa ne possiamo dire?»

«L’ha portata lì per raccontarle di quando era in guerra»

«Sì, e forse c’è un dettaglio in più: ‘mi parlava… dei suoi soldati’. Perché ‘suoi’?»

«Forse li comandava… erano i suoi uomini»

«Sì, presumibilmente era un ufficiale, l’espressione dovrebbe potersi intendere così. Dunque un padre che ha combattuto, è stato in trincea al comando di altri uomini, che gli erano affidati, alcuni o molti dei quali avrà visto morire, e che sta cercando di raccontare tutto questo alla figlia: un’esperienza che per lui dev’essere stata importantissima e sconvolgente»

«Ma la bambina non lo ascolta più di tanto»

«Eh sì, e perché, secondo voi?»

«Be’, è una bambina, non può capire»

«Ma non ce lo dice esplicitamente, ce lo dice in modo indiretto, accostando due punti di vista. Badate a quel ‘ma’ al v. 13, una congiunzione avversativa. Che valore logico esprime una congiunzione avversativa?»

«Di contrasto con quello che c’è prima»

«Sì, e prima c’è il racconto del padre. Antonia Pozzi mette un punto fermo e scrive ‘Ma’. E dopo?»

«Dopo racconta di nuovo il suo desiderio di correre fuori»

«Bene. In un certo senso la poesia è circolare, o alterna tre momenti: la felicità della bambina, vv. 2-4 e di nuovo vv. 13 sgg.; al centro, il racconto del padre, la trincea, la guerra, la tragedia. Ma forse questa opposizione è assai più sfumata. Dobbiamo prendere in considerazione due elementi decisivi, che abbiamo ancora tralasciato. Ripartiamo da quell’erba che sembrava solleticare le gambe della bambina, abbiamo visto che non c’è collegamento tra i due versi. Rileggiamo: Nell’ombra, l’erba gelida e affilata / mi sfiorava i polpacci: sotto terra, / le radici succhiavan forse ancora / qualche goccia di sangue. Ebbene? Che significa? … nessuno? … quel sangue?»

«Ci sono dei morti, i soldati, sotto terra»

«Sì. E l’erba?»

«Le radici dell’erba succhiano il sangue dei soldati morti»

«Perfetto. Come vedete l’erba, altro che fare solletico alla bambina: è un simbolo di morte. Forse ora possiamo fare qualche ipotesi su quei due attributi così atipici, se riferiti a steli d’erba: gelida e affilata. Nutrita di sangue, sarà ‘rimasta’ solo erba?»

«Un coltello… taglia… un’arma»

«Eh sì, rimanda alla guerra, forse persino a una parte precisa dei fucili che i soldati usavano nella Prima guerra mondiale, la baionetta». Mostro un’immagine dell’arma alla LIM. «Dunque tra i due ‘mondi’, quello adulto del padre che ha vissuto la guerra e quello ingenuo della bambina che vorrebbe giocare e non lo ascolta, c’è qui un contatto: il pericolo della violenza, simboleggiata dalla baionetta, arriva a lambire anche il mondo della seconda, anzi la sfiora non solo metaforicamente, ma fisicamente».

Il titolo. «Sembrerebbe che il cerchio della nostra interpretazione si sia chiuso. Ora ci sembra di ‘possedere’ interamente il senso della poesia. In realtà manca un elemento: il titolo, Sventatezza. Chi me lo sa spiegare? Innanzitutto che cosa significa letteralmente?». Qualcuno lo sa, diversi altri no. Forniamo una definizione.

«Dunque, di chi è la ‘sventatezza’?»

«Della bambina, che è ingenua, che non sa, che non capisce»

«Sì, ma ‘ingenuo’ è una cosa, ‘sventato’ significa assai di più: lo si dice di chi si espone a un rischio. Che rischi corre la bambina, effettivamente? Lasciate da parte le ipotesi realistiche o biografiche: correndo fuori dalla trincea al massimo potrebbe cadere e sbucciarsi le ginocchia, ma chiederemmo troppo poco alla poesia se fosse stata scritta solo per dirci questa banalità. La sventatezza potrebbe essere metaforica. Vi avevo chiesto: da dove e verso dove vuole correre via la protagonista?»

«Fuori dalla trincea»

«E chi c’era fuori dalla trincea?»

«Gli austriaci, che ammazzavano i soldati italiani»

«Bene. Sventata allora non è la bambina; sventato sarebbe un soldato che si slanciasse così in quella che chiamavano ‘terra di nessuno’, esposto al tiro del nemico. Eppure, chi si slancia fuori, nella lettera del testo, è la bambina. Sarei propenso a vedere una sovrapposizione poetica tra i due soggetti; altrimenti difficilmente potremmo spiegarci quel titolo: la bambina ripete, inconsapevolmente e per ragioni diversissime – di desiderio di moto e di vita –, il gesto pericoloso dei soldati. Naturalmente la bambina non può saperlo, ma non è la bambina a scrivere la poesia…»

«È lei da grande»

«Sì, la consapevolezza è successiva, e infatti questo è un ricordo, come abbiamo detto all’inizio. Chissà che persino quell’invadente riferito al sole non debba essere letto con una connotazione bellica: certo non è ‘invasore’, ma tra i diversi aggettivi che si potrebbero scegliere per descrivere una luce del sole che si proietta su tutto – dilagante, accecante, … – Pozzi ne ha scelto uno che contiene l’immagine dell’invasione».

Fare esperienza della lettura /1: preservare il carattere processuale della lettura

Con questo tipo di lavoro intendevo fornire un esempio di lettura in atto del testo poetico, qualcosa che assomigliasse all’esperienza che un solitario lettore farebbe di fronte a dei versi: l’attivazione di processi di comprensione e di interpretazione ricorsivi, con cui si pongono e verificano ipotesi di coerenza intra, inter, extratestuale, per venire a capo del senso generale. Il susseguirsi semiconscio di domande e risposte nella mente di un lettore solitario è qui però esplicitato e fornisce un modello razionalmente e intersoggettivamente manipolabile di quello che resta solitamente inespresso.

Rispetto a una spiegazione o a una analisi del testo corredata da domande cambiano alcune cose. La spiegazione di un testo (da parte dell’insegnante o per mezzo delle ‘guide alla lettura’ che nei manuali seguono i testi antologizzati) fornisce risposte univoche e consolidate, che sono però esse stesse il prodotto di un processo interpretativo; solo che in questo caso il processo resta inattingibile agli studenti, perché è stato compiuto per loro dai critici, dal docente o dagli autori del manuale. Va però detto che la spiegazione è tutto sommato una modalità più pervia per lo studente stesso, che non è costretto a seguire il filo di un complicato percorso di lettura in divenire (che va anche fissato in appunti).

L’analisi del testo attraverso domande predeterminate (la modalità dell’Esame di Stato, delle nostre verifiche scritte, di alcuni apparati al testo nei manuali) rende certo lo studente più protagonista, ma ha una peculiare rigidità nell’approccio alla comprensione e interpretazione: di solito le risposte dello studente restano ‘staccate’ le une dalle altre, senza fondersi in un commento organico. Proprio il lavoro che sto presentando, per il suo carattere dinamico e a patto di essere ripetuto tanto da generare un habitus, potrebbe migliorare questo aspetto delle analisi del testo degli studenti.

Come il diario di bordo ha mostrato, assecondare il carattere processuale della comprensione e dell’interpretazione non significa procedere casualmente. Ho orientato l’attenzione degli studenti su alcune porzioni testuali seguendo un certo ordine tematico (o, per dirla con la semiotica, procedendo per isotopie), iniziando dal tema del ricordo. A quel punto inizia però un dialogo in parte improvvisato con gli studenti. Se i loro interventi deviano dal nostro tracciato ideale, occorre di volta in volta valutare se chiedere loro di pazientare o accogliere lo stimolo e svilupparlo a fondo, rimandando il passo successivo che si aveva in mente. L’importante è non affastellare spunti scollegati tra di loro, esaurendo un aspetto alla volta.

Fare esperienza della lettura /2: il nodo comprensione-interpretazione

Distinguere comprensione e interpretazione è utile dal punto di vista analitico, ma è dubbio che il processo della lettura avvenga davvero secondo un ordine logico e cronologico per il quale prima si comprende, poi si interpreta. Siamo qui di fronte a un nodo centrale della teoria ermeneutica e non è questo il luogo per discuterne. Basti dire che il carattere globale e sintetico della lettura fa sì che si comprenda interpretando e si interpreti comprendendo.

Pertanto fare esperienza della lettura in atto comporta un grande autocontrollo da parte del docente, che deve muoversi e aiutare a muoversi contemporaneamente tra più livelli del testo, livelli che in una spiegazione o in un’analisi sarebbero affrontati uno alla volta: la comprensione linguistica (smilzo, sventatezza), le informazioni enciclopediche presupposte (Montello, Piave, Prima guerra mondiale), le osservazioni sulla struttura testuale (focalizzazione sulla bambina, focalizzazione sul padre, ritorno alla focalizzazione sulla bambina), le osservazioni stilistiche e retoriche (erba gelida e affilata, sole invadente), l’individuazione di nuclei tematici (la guerra, il ricordo, l’esperienza dello slanciarsi come simbolo di vita ma anche di morte, …), l’interpretazione complessiva (opposizione infanzia-età adulta, vita-morte, inconsapevolezza-consapevolezza, …).

Fare esperienza della lettura /3: fraintendimenti e interpretazioni sbagliate

Se si prende in carico l’effettiva esperienza di lettura di lettori inesperti, siamo costretti a fare i conti con il problema dei fraintendimenti e delle interpretazioni sbagliate. Rifiutarli semplicemente? Accettarli magnanimamente? Sfruttarli ai propri fini?

In questa prospettiva sono importanti due tipi di operazione da parte dell’insegnante: a) individuare un criterio di discriminazione tra ipotesi accettabili (certe o anche solo plausibili) e ipotesi sbagliate, senza irrigidimenti dogmatici intorno all’unica interpretazione ‘giusta’, ma senza pelosa corrività verso spiegazioni infondate, superficiali o sciocche, nel nome di un frainteso pluralismo dell’interpretazione; b) aiutare gli studenti a sviluppare la consapevolezza di quel carattere processuale della comprensione e dell’interpretazione di cui dicevamo, e proprio attraverso il percorso di successiva convalida o rifiuto delle interpretazioni parziali, per raggiungere una soddisfacente interpretazione complessiva.

Nel diario di bordo ci sono diversi esempi di questo tipo di problemi. Consideriamone solo uno, quello del prurito alle ginocchia della bambina, che è stato frainteso, in un’interpretazione letterale e concretizzante. In quel caso l’insegnante deve costringere lo studente a correggere il tiro, a restringere l’orizzonte (o ad allargarlo, in altri casi) sugli elementi realmente pertinenti e che possano fornire un’interpretazione coerente. Tuttavia l’errore è istruttivo. La studentessa che vi è incorsa aveva collegato, intratestualmente, due porzioni di testo lontane, operazione che è essenziale per lo ‘strato’ più globale, quello dell’interpretazione complessiva: di solito gli studenti hanno il difetto opposto, quello di non andare al di là della minuscola porzione di testo che hanno sotto il naso in quel momento.

Fare esperienza della lettura /4: il biografismo come forma ‘naturale’ di interpretazione

Nonostante sia un luogo comune della critica novecentesca dire che i testi letterari siano caratterizzati dalla prevalenza della funzione poetica (quella del messaggio), i lettori poco esperti interpretano una poesia assumendo implicitamente la centralità della funzione espressiva o emotiva (quella dell’emittente): il poeta riferisce questa cosa perché l’ha vissuta. Naturalmente questa tendenza è assai più forte, se non proprio esclusiva, davanti a testi d’invenzione e letterari, ed è assente o meno intensa davanti ai testi argomentativi e informativi. Una poesia, un racconto, un romanzo sono un dialogo tra due vite, in qualche modo.

Credo che serva a poco spiegare astrattamente e intellettualisticamente che l’autore non è il narratore, che l’agens poetico non è il poeta in carne ed ossa, o sperare che la coscienza linguistica degli studenti sia arrivata già a capire che in ogni enunciazione linguistica è contenuto un distacco dalla concretezza del proprio io e della realtà.

Di solito si interpreta questa confusione tra biografia e opera come la reiterazione fuori tempo massimo dell’equivoco romantico che vede lo scrittore, ispirato da un chiaro di luna, da un lago, da una siepe, tradurre immediatamente la propria intensa esperienza in parole. Chissà che invece questo riflesso condizionato non si spieghi meglio a parte lectoris e non auctoris, ovvero come influenza della biografia del lettore sulle possibilità di accesso al testo.

L’interpretazione funziona, in generale, attraverso un procedimento di contestualizzazione di elementi nuovi in un quadro, o su uno sfondo, di conoscenze note. È lo sfondo a garantire la coerenza dell’insieme e a pesare di più: se è necessario, si distorce l’elemento nuovo perché la coerenza sia salva. Noto che il contesto più spontaneo entro il quale uno studente inquadra il contenuto dei testi letterari è quello dell’esperienza di vita più concretamente, a volte un po’ ottusamente, intesa.

Si tratta di un accesso al testo estremamente limitato, ovviamente, come mostra ancora una volta il caso del prurito alle ginocchia della bambina di Sventatezza: per quanto risibile ciò sia agli occhi di un lettore esperto, di fronte a un dato del genere un lettore inesperto può saltare a piè pari ogni valore di connotazione stilistica o sovradeterminazione metaforica, quando non addirittura il semplice senso traslato riportato da un dizionario, spiegandosi il testo letterario come se fosse un diretto resoconto esistenziale. Il quadro di coerenza non è fornito, come dovrebbe, dall’esperienza del testo, ma dall’esperienza primaria, qui addirittura corporea: l’esperienza di vita. Ecco l’origine dei sempreverdi ‘Leopardi che scrive cose tristi perché depresso’, ‘Dante che chissà che cosa fumava per aver scritto la Commedia’, i poeti medievali che scrivono di amori infelici perché la loro donna non ha accettato l’invito fuori a cena.

Insisto su questo aspetto perché se si vuole educare alle fatiche dell’interpretazione, occorre prendere le mosse da questo procedere rasoterra, ‘agganciandolo’ per poi cercare di sollevarlo verso più raffinate altezze.

Fare esperienza della lettura /5: scoperte. Conclusione

Concludo con un’ultima considerazione di segno opposto rispetto alla precedente, dalla quale emergeva un lettore adolescente un po’ corto d’ingegno e decisamente terra terra. Sarebbe una grave ingiustizia. Con questo modo di lavorare capita addirittura che l’insegnante faccia scoperte nuove nei testi: in alcuni casi esse avvengono per la semplice ragione che ogni nostra personale rilettura mette in luce aspetti prima del tutto ignorati o rimasti in secondo piano; ma in altri il merito della scoperta è tutto degli studenti, che sono ancora esenti dalla cristallizzazione interpretativa in cui noi, che già conosciamo il testo, siamo a volte ormai murati.

Come si è visto dal diario di bordo, a me era totalmente sfuggito il fatto che colline e fiume fossero elementi ricorrenti nelle due poesie di Pozzi: non così a una studentessa. Ma vorrei raccontare un episodio diverso, ancora più significativo.

Nella stessa classe, poche lezioni dopo quella raccontata, ho letto una poesia di Giovanni Giudici, dal titolo Congetture. La trascrivo integralmente al fondo: per il lettore paziente che non solo mi abbia seguito fin qui, ma che abbia voglia di verificare con i propri occhi la plausibilità delle nuove interpretazioni dei miei studenti.

In un interno domestico, metropolitano e impiegatizio, routinario e lievemente angosciante, quale quello di molte poesie di Giudici, un uomo siede dopo cena al tavolo, leggermente alterato dall’alcol, mentre la moglie è in faccende intorno a lui e la televisione è accesa. L’uomo si dà a immaginare un futuro diverso, una società diversa, diversi rapporti di coppia e pensa a una […], mille miglia / Benché qui dietro l’angolo distante (vv. 19-20). Ho sempre inteso quell’una come un’altra donna, reale o del pensiero (ce ne sono di questo genere in molte altre poesie di Giudici), probabilmente influenzato dal più classico schema della poesia amorosa, dai trovatori ad oggi: il matrimonio non d’amore con una moglie, da un lato; l’amore in sé, l’amor de lohn, l’amore ‘congetturato’ per una sublime Beatrice, Laura, Aspasia, Clizia, con in più, in Giudici, l’anelito a una società socialista futura, in cui i rapporti umani non siano più alienati (vv. 24-31). Dato questo quadro, così interpretavo il verso 20: la donna è distante perché è fisicamente lontana, oppure perché è un amore rimpianto del passato, oppure perché è una donna esclusivamente immaginata, ma è dietro l’angolo perché il protagonista la ‘convoca’ a sé con il pensiero.

Ho insomma inserito quell’una in un contesto storico-letterario a tutti noi ben noto, che me ne ha facilitato l’interpretazione, ma che forse mi ha impigrito.

Dapprima una studentessa ha ipotizzato che quel distante ma dietro l’angolo andasse rovesciato: poteva trattarsi di una donna reale, geograficamente vicina (nello stesso palazzo? almeno nella stessa città), ma irraggiungibile per un uomo ormai incastrato in un matrimonio. Nonostante vedessi, e in parte ancora veda, in questa lettura quell’abuso dello schema interpretativo biografico di cui si discorreva (il poeta che concupisce la vicina), in effetti l’ipotesi non può essere affatto scartata, testo alla mano. Non è detto però che due ipotesi concorrenti siano necessariamente l’una vera e l’altra falsa: dal momento che ciò che conta in questi versi è il contrasto tra una grigia realtà presente e il desiderio di evasione in un altrove/altro tempo (hic et nunc, ibi et tunc, scrive Giudici in un’altra poesia), sia la mia interpretazione che quella della studentessa possono essere considerate due diverse trascrizioni o concretizzazioni della medesima opposizione.

Ma a questo punto è spuntata fuori una terza ipotesi, anche questa avanzata da una studentessa. Abbiamo riletto insieme la poesia per verificarla. E se quell’una non fosse un terzo personaggio, ma la moglie stessa del protagonista, nominata nella prima strofa, che sarebbe quindi dietro l’angolo perché fisicamente presente nella stessa casa, ma distante perché alienata anch’essa, come il protagonista maschile, in mille faccende quotidiane (vv. 21-24)? Se così fosse, non saremmo di fronte a una storia di evasione maschile dalla realtà, dietro a un classico ‘amoroso pensiero’, ma a una mesta riflessione sulla vita di coppia nella società contemporanea, accompagnata dalla flebile enunciazione di una speranza futura in una vita ben diversa da quella attuale: vv. 24-26 e 29-30.

A ben guardare, nemmeno questa interpretazione inficia l’opposizione concettuale di fondo tra presente e futuro, rapporto uomo-donna alienato e rapporto uomo-donna felice e realizzato. Ma l’ipotesi che quell’una sia davvero la moglie è forse testualmente la più plausibile, e non me ne ero mai accorto: cambia in profondità il tono della poesia, le dà un tocco di ulteriore commozione.

Come che stiano le cose, è indubbio che ora la mia stessa comprensione del testo sia più ricca e sfaccettata e che le virtù della comunità ermeneutica mi abbiano costretto ad allontanarmi da quello che forse era solo un tic interpretativo da professore di letteratura, che vede ovunque donne angelo solo perché è abituato a vedercele.

Giovanni Giudici, Congetture

Sta al tavolo, sporco di stoviglia, il gomito

Di traverso, non bere più – gli dice

La moglie – pende giù gli occhi sullo stomaco

Che a sera un po’ si rigonfia, le maniche

Della camicia ripiegate 5

Sui bracci scarni e con radissimo pelo.

.

Guarda il televisore, previsioni

Del tempo e notizie chissà quanto veritiere,

Interloquisce con lo speaker, così

Scherza imitando osterianti di paese 10

E quindi a voci d’assenso in contrappunto

A quelle dei familiari passa, a

.

Propositi di futuro. Si contempla

Uomo medio della patria che abita, fa

La sua parte… Quanto ci sarà 15

Da vivere non si chiede, ma com’è grigia

La pelle, com’è confusa

La mente e che bene gli farebbe

.

Piangere – a una pensando, mille miglia

Benché qui dietro l’angolo distante, 20

Tra pannolini e parenti e pipì

D’infanti anche lei a un disordinato

Desco pensieri arrovellante simili

A questi. E senza certezza alcuna

.

Di modello che il destino della coppia 25

Assicuri – A chi

Dovremmo chiedere soccorso è la domanda se

Società esiste la cui sopravvivenza

Da questo serale cercarsi dipenda se

Unicamente a una rara gioia è demandata 30

.

La vita del rapporto invisibile. Che cosa vuoi

Che sia – ce n’è milioni

Di casi così, risponde la voce disperata soggiungendo

Eppure Dio è testimone non c’è un solo

Attimo che non si paghi per quel minimo 35

Di verità in tanta finzione…

(da Il male dei creditori, 1977, in G. Giudici, I versi della vita, Mondadori, 2000)

i Questo intervento continua una ‘sparsa serie’ sul tema dell’interpretazione dei testi letterari a scuola. Mi sia consentito richiamarne i precedenti, non per autocitarmi, ma per evitare di dover ad ogni nuovo articolo ripetere le premesse che fanno da sfondo e da contorno al racconto di queste esperienze didattiche, allungando più del dovuto il brodo: Cambiare il mondo, cambiare le interpretazioni; Leggere un racconto di Edgar Allan Poe navigando incerti tra Scilla e Cariddi; Lettura, esperienza, interpretazione. La letteratura nella scuola superiore.

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