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diretto da Romano Luperini

Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi – Un estratto

LN va in vacanza per le festività natalizie. Nelle prossime due settimane ripubblicheremo alcuni pezzi usciti durante il 2022.

Ferrovie del Messico, terzo libro e primo romanzo di Gian Marco Griffi, sarà nelle librerie il 26 maggio. Lo pubblica Laurana Editore nella collana Fremen curata da Giulio Mozzi: si ringrazia l’editore per la gentile concessione.


I fatti avvengono a Asti nel febbraio del 1944, in piena Repubblica Sociale Italiana. Il protagonista, Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, ha ricevuto l’incarico di disegnare una mappa delle ferrovie del Messico. Recatosi per prima cosa in biblioteca, vi ha conosciuto la bellissima bibliotecaria Tilde. La quale, oltre a promettergli per il giorno dopo un certo libro che potrebbe essergli utile allo scopo, gli parla di poesia ispanoamericana e gli rifila un libro del poeta Vicente Orozco.

Andai al Caffè Ligure. […]

Trovai un tavolo appartato, aprii il libro di Vicente Orozco, nel primo poema un tizio salpava per la Grecia e io attaccai a fantasticare su Tilde.

Nella fantasia Cesco e Tilde sono nel Peloponneso. È una giornata bellissima senza guerra. Il sole illumina la Grecia come se fossimo in una réclame, o in un romanzo che inizia con la frase: «Era una bellissima giornata di primavera».

E oggi è una bellissima giornata di primavera, anche se numerosi temporali si rincorrono per tutto il pomeriggio: Cesco sta raggiungendo Tilde. Mentre percorre l’intrico di vicoli tra ginepri e carrubi pensa al modo migliore per dichiararsi, e scopre che non ha in mente neppure un modo per farlo.

Una bambina saltella sul selciato di fianco al cannone rugginoso di piazza Elkomenos Christòs e gli fa ciao con la manina.

Cesco contraccambia il saluto.

Sta giocando a campana greca.

Ena tria pente eftà!

Il vento porta un profumo di timo e vedovella celeste. Cesco incontra Tilde sotto il bersò di un’osteria accanto alla Madonna di Hrisafìttisa, con vista sull’enorme mare che circonda Malvasia e su un tramonto viola che pare dipinto su un vaso miceneo accanto alle figure di Apollo e Dioniso.

Lo sta aspettando coi capelli sciolti e arruffati dal meltemi dell’Egeo, e appena lui arriva se li lega con un elastico giallo.

Cesco domanda: perché?

Intende: perché costringere capelli tanto lucidi e vivi a unirsi in un assetto strutturato?

Lei ribatte che tutte le cose dovrebbero gioire quando si uniscono in un assetto strutturato.

Cesco le domanda se anche i loro corpi gioirebbero se si unissero in un assetto strutturato, e lei replica che anche i loro corpi gioirebbero.

Mentre sorseggiano ouzo Cesco dice: Tilde, mi ami?

Il silenzio che segue è una cosa molto appuntita conficcata nel cuore del povero Cesco.

Tuttavia Cesco non si dà per vinto.

Dimmelo, Tilde, ti prego. Sono pronto a tutto.

Tilde sta ponderando la risposta.

Cesco domanda: sarebbe troppo domandare una carezza?

Tilde, chissà perché, prende un’aria offesa, lo guarda e dice: sarebbe troppo.

Almeno un pizzicotto, qualcosa che dimostri il tuo affetto, dice Cesco. Sempre che affetto non sia una parola troppo desueta.

Forse l’affetto non è inesatto, precisa Tilde, ma è logoro e abusato.

Poi legge l’oroscopo di Mario Segato sulla «Stampa Sera».

C’è scritto che non siamo fatti l’uno per l’altra, dice Tilde a Cesco.

Cesco dice: Tilde, protesto! Giacché sul mio sta scritto che devo saltare con te su un treno messicano e girandolare sulle ferrovie messicane per sempre. Vivere su una carrozza per sempre.

Tilde dice: vivere sulla carrozza di un treno è la cosa più scomoda che io possa immaginare.

Se ne va, lasciando Cesco solo a riflettere sulla crudeltà degli oroscopi e a parlare con un cane randagio di quel di cui si parla quando si parla d’amore a Malvasia.

Poi arrivano un temporale e il cameriere. Il temporale fa ancora parte della fantasia, il cameriere invece era lì difronte a me, al Caffè Ligure di Asti, e mi domandava se volessi ordinare. Gli chiesi di tornare più tardi. Mi vergognai dei miei pensieri stupidi. Riposi il libro nel tascapane e ne estrassi quaderno e lapis. Cominciai a scrivere una storia per Tilde. Una storia nella quale Tilde e Cesco saltano su un treno messicano e fuggono, anche se fino a quel momento non avevo mai scritto una storia in vita mia.

Mentre scrivevo due tizi si sono seduti al mio tavolo.

All’inizio non mi ero accorto di loro perché ero immerso nella storia che stavo cercando di scrivere. Poi ho alzato gli occhi ed erano lì, seduti, che mi osservavano.

Mi hanno domandato se ero un tipo solitario e io ho risposto sì, diamine, sono proprio un tipo solitario, avete azzeccato la parola, e uno dei due, quello che teneva in mano la sigaretta spenta come se fosse una penna stilografica e la picchiettava sulla superficie del tavolo prima da una parte, poi dall’altra (tanto che si era creato un mucchietto di tabacco accanto al portacenere), mi ha domandato se prendevo qualcosa da bere, tipo che cosa ho detto io, tipo un caffè o un bicchiere di vino o quello che preferisci ha detto lui, e io ho risposto grazie, sono venuto per mangiare, e allora l’altro tizio, quello che fumava la sigaretta con la mano sinistra, tanto che ho pensato che potesse essere mancino e poi ho pensato che no, poteva anche non essere mancino dopotutto, ma che semplicemente provasse gusto a tenere la sigaretta con la mano sinistra, ha fatto un cenno al cameriere e quando il cameriere si è avvicinato gli ha detto, con fare gentile, un panino al prosciutto e una gazzosa per il nostro amico, ha detto proprio così, «il nostro amico», benché fosse la prima volta che li vedevo in vita mia.

E insomma hanno ordinato per me un panino al prosciutto senza neppure sapere se mi piacesse, il prosciutto, fortuna che ne sono ghiotto, e me lo hanno fatto mangiare in santa pace; mentre lo mangiavo ho pensato a cosa significasse essere un tipo solitario, ma quello che teneva la sigaretta spenta ha interrotto il flusso dei miei pensieri e mi ha domandato che cosa intendessi io con l’espressione «tipo solitario», al che ho risposto che non mi piaceva andare alle feste o ai balli o ai raduni fascisti, che quando avevo più di tre persone intorno mi sentivo in imbarazzo e che preferivo stare per conto mio con i miei pochi amici (ora tutti in guerra) a fare le mie cose piuttosto che condividerle con persone sconosciute; ho visto che il fumatore mancino (che forse non era mancino) alzava il sopracciglio e allora gli ho domandato se non fosse questo quello che si aspettavano di sentirsi dire, e lui ha risposto che non si aspettava niente di niente, proprio niente, ha detto, che qualunque cosa io rispondessi o dicessi lui avrebbe comunque inarcato il sopracciglio, perché lui era un uomo del tutto privo di aspettative e pieno zeppo di luoghi comuni, se capivo cosa intendeva, e io ho risposto che capivo, anche se per essere sinceri non avevo capito affatto.

E comunque per farla breve mi hanno domandato cosa stessi facendo al tavolo di quel bar con quel quadernetto e io ho risposto che stavo scrivendo una storia per una persona che comunque non l’avrebbe letta, e a quel punto quello con la sigaretta spenta tra le dita mi ha detto perché questa persona non dovrebbe leggere la tua storia, e io ho risposto non leggerà la mia storia perché non gliela farò leggere, e l’altro mi ha detto perché scrivi una storia per una persona se poi non gliela farai leggere, e io ho pensato che era una bella domanda, poi ho risposto che non gliela avrei fatta leggere perché non pensavo che potesse interessarle quello che avevo da dire, e lui allora mi ha detto che ne sai tu di quello che interessa alla gente, e io gli ho risposto che lo sapevo benissimo, quello che interessa alla gente, e sapevo benissimo che la mia storia non sarebbe interessata alla persona per la quale la scrivevo […].

Quando ho domandato loro cosa volessero da me mi hanno risposto che volevano semplicemente abbracciarmi, e quando gli ho detto in che senso abbracciarmi Nicolao ha detto hai presente quando uno ti stringe le braccia e le mani attorno al corpo? e io stavo quasi per rispondere, ma Ettore ha detto vieni qui, scrittore del Messico, si è avvicinato e mi ha abbracciato come se fosse un uomo indifeso e innamorato della propria debolezza, proprio come se fosse soltanto un uomo che volesse abbracciare un altro uomo, senza neppure un misero motivo, e così mi sono detto chi se ne frega, e l’ho abbracciato anch’io.

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