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Fifty-fifty. Sant’Aram e il Regno di Marte di Ezio Sinigaglia

Pubblichiamo un estratto da “Fifty-fifty. Sant’Aram e il Regno di Marte” di Ezio Sinigaglia uscito ieri per TerraRossa Edizioni.   Ringraziamo l’autore e l’editore per la gentile concessione.

Ho sempre detestato il collezionismo in ogni sua manifestazione, in ogni forma. Sempre, fin dall’infanzia. La sola vista di quattro figurine di calciatori, tutte in una volta, era sufficiente a deprimermi per ore. Dei francobolli non mi piacevano che i denti, bianchi, seghettati, pruriginosi da strofinarsi sulla guancia, ma trovavo ripugnante la colla e di cattivo gusto l’icono­grafia. Quanto poi al fatto che mio padre li trattasse con le pinze, ne ero francamente preoccupato: vi leggevo i segni di una sindrome morbosa da tenere segreta, chiusa fra le mura domestiche. Da non rivelare a nessun costo ai miei amichetti. Crescendo capii che si trattava di collezionismo, una malattia della quale nessuno si scandalizzava. Non feci alcuna fatica a definirla, avendone acquisito una conoscenza diretta e graduale: disturbo affettivo consistente nel trattar con le pinze oggetti inanimati, per peritanza estrema delle loro reazioni emotive e psicologiche. In linea di massima, quando sulla via della conoscenza di un mio simile m’imbatto nell’ostacolo di una collezione, ridimensiono all’istante i piani d’investimento affettivo già tracciati. Collezionare amanti è una perversione enormemente meno arida, se confrontata alle agghiaccianti smanie di francobolli, monete, spingarde, bottiglie vuote o piene, orologi a pendolo o da polso, Venezie a olio o all’acquerello, elefanti con proboscide eretta o reclinata. Enormemente meno fredda e arida, ma perfino più inspiegabile. Se si escludono certi casi rarissimi di sezionamento, conservazione in cella frigorifera e cannibalismo sistematico, l’impossibilità di archiviare, appendere, imbustare, allineare, esporre, riassaporare e contemplare si appalesa a colpo d’occhio. Soprattutto viene a mancare il solo stimolo dinamico cui normalmente il collezionista sia sensibile, che è quello dello scambio dei doppioni. Collezionare amanti è un’attività per sua natura inverosimile e inattuabile. Praticarla è segno macroscopico di disagio grave e garanzia di frustrazione perpetua, di horror vacui, di senso perenne di deprivazione a causa dell’irre­peribilità dei pezzi già acquisiti. Si tratta, in ultima analisi, di un procedimento di sottrazione anziché di addizione. Di un’in­finita e infinibile raccolta di mancanze.

La guardo in faccia per la prima volta, la faccenda. È spaventoso. Ed ora mi è chiarissimo il movente: seppellire Sciofí sotto una tale montagna di detriti da non poterlo riesumare mai più dalla memoria. Ci sono riuscito, si direbbe. Ci sarei riuscito alla perfezione, senza questa beffa del destino. Toh! la beffa del destino. Eccola qui. Già, ma Fifí non può saperlo. O può?

Per fortuna che, almeno, non ho fatto del male a quei ragazzi. Che consolazione. Li ho trattati tutti quanti e uno per uno con la stessa delicata perizia con cui mio padre trattava i francobolli. Dev’essere stata una qualche forma misteriosa e a suo modo innocente di parricidio, una sarcastica recrudescenza tardiva dell’Edipo. Perfino il rito preliminare del bagno e dello sgrassamento epidermico, adesso, all’improvviso, mi richiama irresistibilmente l’immagine dei ritagli di buste immersi in una bacinella d’acqua tiepida per scollare i francobolli annullati dalla carta. Li ho trattati con le pinzette, tutti quanti. Almeno questo è certo. Poveri ragazzi. Strumenti ignari del mio arcano oblio. Però me li ricordo tutti, uno per uno, nomi e occhi e bocche e orecchi e mani e piedi e voci, con dettagli perfino sorprendenti nella loro toccante espressività tridimensionale e stereofonica. Sono rimasto amico di ciascuno, nel segreto dei cuori, senza dubbio. Se un’e­state mi trovassi in vena di nostalgia o a corto di risorse, potrei organizzarmi un bel giretto per l’Italia tutta, dalla provincia di Aosta a quella di Trapani e da Trieste giù giù fino a Santa Maria di Leuca e addirittura a certe isole minori, sicuro di trovare un sorriso e un piatto caldo in ogni casa. L’unica conseguenza rilevante di questi turbinosi transfert filatelici fu la contrazione di quella tenace, ma nel complesso provvisoria, nausea penis. Niente di fatale.

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