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diretto da Romano Luperini

Includere e motivare. Obiettivi e strategie didattiche per la classe d’Italiano

Pubblichiamo un estratto dal volume Includere e motivare. Obiettivi e strategie didattiche per la classe d’Italiano, a cura di Chiara Marasco, edito nella collana MOD, edizioni ETS (2022). Ringraziamo la curatrice, MOD e l’editore.

La «Mod per la Scuola» ormai da diversi anni si è inserita a pieno titolo nella riflessione intorno alla Didattica della letteratura, con l’intento di approfondire le questioni più urgenti e incalzanti dell’insegnamento e dell’apprendimento: dal canone del Novecento allo sviluppo delle competenze, dalle nuove metodologie alle applicazioni digitali. Ma quando si parla di uso della tecnologia o di didattica tecnologica, la parola chiave deve essere integrazione: la capacità cioè di far dialogare forme di cultura e di conoscenza diverse, stili di apprendimento e metodologie complementari.

L’attività didattica si è profondamente trasformata nell’ultimo decennio (in seguito alla pubblicazione delle Linee guida e delle Indicazioni nazionali). Gli autori dei contributi qui raccolti si sono interrogati sulle modalità innovative che hanno investito il mondo scolastico, provando soprattutto a rilanciare, anche a partire da proposte concrete, un approccio motivazionale della letteratura a scuola.

L’altro grande tema affrontato nel volume è legato a esigenze divenute cruciali in tempi recenti, come l’inclusione, l’integrazione e l’intercultura: una vera e propria sfida per la scuola e per i docenti, chiamati ad adottare nuove strategie e metodologie didattiche per far dialogare proficuamente culture, religioni e lingue diverse.

È nell’arricchimento della possibilità dell’intervento didattico che si inserisce l’insegnante, il quale deve saper utilizzare le tecnologie, ma contemporaneamente avere ben chiaro il suo compito di mediatore di contenuti e metodi: non esiste alcuna app, infatti, che possa sostituirsi alla funzione docente. L’insegnante è chiamato, ancora una volta, a un ruolo irrinunciabile: quello di educare e motivare, mettendo al centro la parola, la letteratura, che può essere, oggi come in passato, una chiave per leggere e riscrivere il mondo.


Chiara Marasco

Il neorealismo tra cinema e letteratura. Per una didattica comparata

Nel1951Carlo Bo pubblicava l’Inchiesta sul neorealismo e nella Nota introduttiva provava a dare una definizione corretta di neorealismo[1] considerandolo alla fine come una «fede d’occasione», che accumunava «scrittori diversissimi per natura ed educazione»:

Ho detto fede d’occasione perché non siamo di fronte a scuole organizzate, basate su una dottrina, come ai suoi tempi accadde per il naturalismo francese. Nessuno finora (e quindi neppure l’avremo domani), nessuno ci ha dato delle regole, un codice dell’invenzione neorealistica[2].

All’interno dell’inchiesta prendevano la parola molti intellettuali del tempo come Elio Vittorini che riteneva sì di poter:

parlare di neorealismo anche per la nostra letteratura ma non nello stesso senso in cui possiamo parlarne, ad esempio, per il nostro cinematografo. In questo campo l’espressione ha un valore critico decisivo che definisce qualità e difetti, aspirazioni e atteggiamenti comuni a tutti i nostri registi. Usata invece in letteratura non definisce niente d’intrinseco che sia comune a tutti i nostri scrittori che solo a una parte di essi […]. Via via che dici la parola tu la devi riempire di un significato speciale. In sostanza tu hai tanti neorealismi quanti sono i principali narratori[3].

Dunque il neorealismo si affermava in Italia sfuggendo a definizioni ed etichette precostituite, ma segnando profondamente la cultura dell’Italia post-bellica. Più di vent’anni dopo, Italo Calvino, in una nuova edizione di uno dei romanzi che più si era nutrito del clima neorealista, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), spiegava come il neorealismo non fosse stato una scuola, ma:

un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute l’una all’altra […], senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato “neorealismo”[4].

Quella stagione comunque durò poco, circa dieci anni e accanto a Calvino si affermarono altre voci, quella di Vittorini, Pavese, Renata Viganò, Beppe Fenoglio, Alvaro e altri, poi emersero altre forme di realismo, più sfumate, più intime, addirittura digradanti verso la visionarietà.

Al di là delle definizioni, dei dibattiti, delle più disparate querelles, il Neorealismo ha interpretato attraverso voci diverse l’esigenza maggiore di un’intera generazione, quella segnata del Dopoguerra: la volontà di esprimere, come diceva Calvino, il «sapore aspro della vita»[5]. La vera difficoltà era «trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo»[6]: il bisogno di trovare il tono, il ritmo, il taglio con cui plasmare l’esperienza traumatica della guerra, le storie partigiane, le persecuzioni e la morte, una verità che non andava né dimenticata né tradita, non era un’ operazione semplice, mai come allora è stata profonda la distanza fra il linguaggio e il mondo, la difficoltà della parola di accedere alla verità.

Il neorealismo è stato forse, come suggerisce Vittorini una svolta, una risposta al fascismo, una frattura necessaria col passato e una nuova affermazione delle masse popolari[7]. Anche Giuseppe Berto, che del neorealismo è considerato un esponente significativo, ne parla come di una reazione al fascismo: «lo scrittore che finalmente era interprete della realtà e delle istanze del suo popolo, che finalmente usava un linguaggio comprensibile alle masse per la sua immediatezza e semplicità, diventava uno dei protagonisti del suo tempo»[8].

Per Luperini il neorealismo fu forse «una promessa di cambiamento»:

Il dubbio ancora oggi è se quell’occasione sia stata colta del tutto, se quel momento drammatico, ma ricco di emozioni sia stato efficacemente descritto, se il Neorealismo non sia stato solo un catalogo di buone intenzioni, e se forse la narrativa molto meno del cinema sia riuscita a rappresentare quel mondo che si rialzava a fatica dalle macerie della guerra[9].

Le difficoltà di determinare confini, caratteri, limiti permangono comunque ancora oggi, se il Neorealismo viene definito più che una corrente un’atmosfera culturale che influenza tutte le arti e in primo luogo il cinema: la denominazione ha effettivamente origine nel mondo del cinema visto che nel 1943 il montatore Mario Serandrei lo usò per la prima volta parlando di “cinema neorealista” a proposito di Ossessione di Visconti, un film liberamente tratto dal romanzo Il postino suona sempre due volte, di James M. Cain e che era destinato a segnare un’epoca, non tanto per la sua trama scandalosa per il tempo, ma per il suo legame con la realtà:

il film anticipa sicuramente le scelte che poi farà il cinema neorealistico perché nasce prima della caduta del fascismo […]. C’è una guerra, c’è la caduta del fascismo, c’è una Resistenza e gli italiani conquistano la democrazia, senza questo nodo storico il Neorealismo non sarebbe potuto nascere[10].

Il neorealismo fu una rivoluzione estetica, nelle arti figurative e nel cinema soprattutto, ma anche nella letteratura, che puntava alla scrittura impegnata e alla riscoperta della parola capace di rappresentare la realtà in modo oggettivo; la rivoluzione in tutti i campi partiva dalla realtà che non aveva bisogno di orpelli o filtri, bastava soltanto catturarla per strada:

l’impatto prodotto da Roma, città aperta e, soprattutto Paisà (1947) di Rossellini, Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) di De Sica, e da tutti quei film (di De Santis, Zampa, Lattuada) che in vario modo contribuirono a propagare nel mondo l’immagine dell’Italia che usciva dal fascismo con le lacerazioni della guerra, dell’occupazione tedesca, di un’endemica arretratezza, fu enorme[11].

Tra il 1945 e il 1948 i loro film fecero scuola, «sprigionando una forza di novità, un’energia e una potenza tali da cambiare le coordinate, i sistemi di riferimento, i paradigmi culturali, la prosodia, la sintassi e le poetiche di tutto il cinema mondiale […]. L’occhio della macchina da presa incontra la storia e se ne fa cronista e cantore»[12].

Il cinema, dunque, in quegli anni fondamentali, si sostituisce alla storia, diventa una storia per frammenti che rivela la lotta della Resistenza e il riscatto di un popolo e il regista diventa attraverso la macchina da presa una sorta di cantastorie:

Il film realistico è in breve il film che pone e si pone dei problemi: il film che vuol fare ragionare. Noi ci siamo posti, nel dopoguerra, proprio di fronte a questo impegno. Per noi contava la ricerca della verità, la rispondenza con la realtà. Per i primi registi italiani, detti neorealisti, si è trattato di un vero e proprio atto di coraggio […]. Con Roma città aperta il così detto neorealismo si è rivelato, in modo più impressionante, al mondo[13].

Viene meno il legame imprescindibile, fino a pochi anni prima, fra letteratura e cinema. I film di Rossellini non hanno più testi da tradurre e adottare, ma spostano lo sguardo sulla realtà:

il regista sposta tutta la sua azione e la sua energia verso il momento finale della ripresa, cercando di ridurre le fasi di elaborazione del soggetto, della sceneggiatura e della costruzione dei personaggi. Il momento della massima creatività e di «verità» è cercato nell’incontro della macchina da presa con la realtà, che entra come materia viva a formare l’immagine. Così, anche le fasi di selezione delle inquadrature e di combinazione per il montaggio risultano, almeno per i primi film, assai poco importanti, quasi si intendesse negare tutto l’apparato che nel cinema esalta il momento della finzione e dello spettacolo e sostituirlo con quello della scoperta della verità implicita nelle cose[14].

Questo nuovo filtro della realtà che il cinema neorealista ha ripercussioni importanti nella letteratura che recuperando anche la lezione di Verga diventa specchio della storia del Dopoguerra.

E dalla letteratura Visconti trae ispirazione per il film La terra trema: «girando un giorno per le vie di Catania… m’innamorai di Giovanni Verga»[15].

L’arte neorealista si concretizza attraverso le parole di uno dei suoi massimi interpreti, Cesare Zavattini, scrittore, giornalista, soggettivista e sceneggiatore, pittore, che mette al centro del nuovo cinema il “restare in scena”: il suo è «il “cinema dell’incontro” e del “durante” […]. Il cinema visto in chiave “utile”»[16], come strumento di cambiamento e riscatto per gli emarginati della società. Con Zavattini si registra un momento poetico per il cinema, l’anno zero, quello attraverso cui il cinema ha la possibilità di reinventare il mondo, non solo attraverso il film, ma anche attraverso il documentario, come quello inaugurato da Vittorio De Seta su tutti che in quegli anni, accogliendo e continuando la lezione neorealista, cattura realtà e poesia in un connubio mitico indimenticabile.

È interessante ai fini didattici studiare l’evoluzione della definizione di neorealismo nella manualistica scolastica e come lo sguardo nel tempo su quegli anni sia cambiato così come la maniera di percepire quella particolare atmosfera. Quegli anni, densi e ancora da approfondire, meritano di essere attraversati e ripensati, anche a scuola, magari attraverso la costruzione di una macro UDA interdisciplinare inserita nella programmazione per competenze dell’ultimo anno di Liceo.

Ed ecco perché quello appena esposto può rappresentare un plot da ripetere in un Consiglio di Dipartimento (congiunto e che quindi comprende le materie letterarie, linguistiche, filosofiche e storico-artistico) o in classe agli studenti.

Il percorso didattico avrebbe il carattere di:

  • ricerca sperimentale (metodo investigativo). Partendo dall’analisi storia della resistenza, sulla letteratura impegnata che va ad affermarsi sulle orme di Antonio Gramsci, bisognerebbe ripensare alla poetica durante il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale che era stata per l’Italia anche una guerra civile.
  • laboratorio, in base al metodo operativo: divisione in gruppi (una parte della classe lavorerà sulla letteratura neorealista; un’altra si occuperà della pittura neorealista e dei suoi rapporti col il cinema, in particolare si approfondirà l’opera di Renato Guttuso e Domenico Purificato).
  • Gli studenti organizzeranno un Cineforum, scegliendo alcuni film significativi: Roma città aperta di Rossellini, Ladri di bicicletta di De Sica e La terra trema di Visconti. Si potrebbe prevedere anche uno stage a Cinecittà.

Gli alunni saranno chiamati a riflettere sui rapporti fra cinema e letteratura, in particolare, dopo un’attenta analisi del tema e una lettura di alcuni testi nella biblioteca della scuola approfondiranno l’argomento leggendo Storia del cinema italiano. Dal neorealismo al miracolo economico  1945-1959:

 Nel cinema, come in letteratura, viene accolta in Italia la parola d’ordine del ritorno a Verga e il verismo è assunto come chiave d’accesso privilegiata alla realtà. Verga diventa un interlocutore quotidiano di un gruppo di giovani riuniti attorno a Visconti e alla rivista «Cinema»[17].

Un esempio di esperienza didattica potrebbe partire da una riflessione fatta in classe e poi aprirsi a possibili attività di gruppo: “Il Neorealismo fu una corrente culturale che influenzò tutte le arti: la pittura, ma soprattutto il cinema che fotografò impietosamente la realtà post bellica, quella fatta di macerie e voglia di ricostruzione. Analizzare quindi gli obiettivi del Neorealismo. Dare voce a chi non l’ha mai avuta: la piazza, la strada, i campi, l’uso del parlato e dei dialetti”.

Dal dibattito critico si passerà alla didattica attiva divisa in più fasi: checklist di osservazione, brainstorming, discussione, una co-costruzione dei saperi che si concluderà con un debate.

Un confronto con la scrittura di Verga e il linguaggio utilizzato da Visconti ne La terra trema può essere poi utile per un nuovo compito di realtà (analizzando le infedeltà di Visconti: il dialetto, la voce che giudica, la necessità del cambiamento).

I compiti di realtà sono tra le metodologie didattiche quelle preferite dagli studenti: nel caso specifico, gli studenti fattivamente si impegnano per conseguire competenze e per realizzare prodotti finiti: produzione di powerpoint, book fotografici in bianco e nero, uso di youtube. Dalla rassegna fotografica e filmografica si potrebbe passare alla realizzazione di documentari e programmi televisivi, stesura di articoli di giornale e soprattutto attraverso la riproduzione di un telegiornale.

Potrebbe essere interessante proporre questo compito di realtà:“Immagina di dover elaborare oggi un nuovo modo di fare letteratura o di fare cinema intensamente realistico: quali esperienze di vita, quali persone o quali fenomeni sociali metteresti al centro della tua scrittura o sceneggiatura? Discutine con i tuoi compagni, stendendo il possibile plot di una storia”[18].

Un percorso didattico di questo tipo è agevolato dall’uso del cinema a cui la manualistica scolastica dedica sempre più spazio[19].

Il cinema, infatti, è uno strumento particolarmente potente non solo perché consente di variare lo stimolo rispetto all’insegnamento tipicamente verbale della scuola e perché utilizza un linguaggio che gli studenti conoscono e comprendono sovente meglio di quello scritto. E nella didattica delle competenze potrebbe essere utilizzato come icebreaker, come supporto alla lezione e “appiglio di memoria” attraverso immagini, fotografie, fotogrammi: «Guidare i ragazzi al riconoscimento delle consonanze (o dissonanze) tra la rappresentazione letteraria e quella cinematografica costituisce un’occasione unica per realizzare quella “didattica del confronto” che oggi è ritenuta basilare»[20]e mira ad aumentare le competenze dello studente.

Grazie alla sinergia dei linguaggi, parlato, visivo e musicale, il cinema ha una forte presa emozionale che consente il coinvolgimento e l’identificazione e può quindi suscitare interesse e interrogativi, motivando allo studio.

Come qualunque altro tipo di testo, anche un prodotto cinematografico per essere “letto” ha bisogno che lo spettatore sia in possesso di una serie di competenze, senza le quali la comprensione diventa difficile, monca o addirittura impossibile. Le competenze necessarie sono di tre tipi: 1) le competenze testuali e cioè quelle che permettono – la comprensione linguistica: la grammatica del linguaggio audio e video; la sintassi del montaggio di scene e sequenze; il ritmo e le caratteristiche retoriche e stilistiche ecc. – la comprensione narratologica: il rapporto tra storia e discorso, il sistema dei personaggi, i livelli della focalizzazione, i messaggi impliciti e espliciti ecc. – la contestualizzazione: quando e dove è stato realizzato; chi sono gli autori, il mittente, la produzione; come si inserisce nel sistema dei generi cinematografici; quali tecniche e quali convenzioni rappresentative adotta in relazione al periodo in cui è stato fatto e alle aspettative del pubblico; quale impatto ha avuto nella critica e nel pubblico ecc. 2) le competenze extratestuali, cioè tutto quell’insieme di conoscenze, ma anche di ideologie o valori che lo spettatore possiede prima di vedere il film. Questo bagaglio precedente da una parte permette a chi vede il film di riconoscere situazioni o personaggi, dall’altra lo collocano in una precisa situazione di attesa (per esempio, vedo un film di guerra e prevedo che ci saranno morti e battaglie; guardo un film sulla shoah e mi aspetto che i nazisti non ci facciano una bella figura). 3) le competenze intratestuali, cioè quelle che derivano dal fatto di essere stati precedentemente fruitori di altri testi simili a quello che si sta vedendo e quindi si è in grado di riconoscerne topoi narrativi o caratteristiche visive (per esempio la mancanza o la semplicità degli effetti speciali nei film precedenti all’era digitale). La necessità di possedere, almeno in una certa misura, questi tre tipi di competenza vale ovviamente per qualunque tipo di testo, ma nel caso dei film è particolarmente importante proprio perché spesso esiste l’idea che il cinema sia uno strumento più diretto, più immediato e quindi più semplice. Al contrario, l’intreccio di codici (visivo, parlato, musicale) e l’illusione di realtà che questo crea abbassa la soglia critica nello spettatore e quindi può risultare particolarmente difficile comprendere e interpretare quello che il testo dice. Se è vero poi che gli studenti attuali hanno avuto una esposizione al linguaggio cinematografico da quando sono nati, non è affatto detto che ne abbiano una conoscenza consapevole e critica. Un percorso didattico trasversale che voglia utilizzare il cinema in modo corretto dovrà quindi tener conto di quanto gli studenti siano in possesso di queste tre competenze, in modo da potenziarle con gli interventi più appropriati e da scegliere i materiali filmici più adatti.

Il cinema può essere usato anche come una fonte storica, ma deve essere chiaro che può esserlo solo del periodo in cui è stato prodotto. Il film quindi rispecchia il proprio tempo e ne è espressione, ma ha anche un ruolo attivo, da vero “agente di storia”, perché interviene sul pubblico sia nel momento della sua uscita che successivamente, contribuendo a costruire una mentalità e un immaginario di massa, anche quando l’intento degli autori non sia stato specificatamente propagandistico. Per esempio l’immagine del nazista tipo (abiti sempre a posto, freddo e severo, in genere biondo…), che è sedimentata in qualunque adulto di più di quarant’anni, deriva chiaramente dai film del dopoguerra, ed è uno stereotipo difficile da trasformare, nonostante oggi i giovani conoscano poco i film del neorealismo.

Nello studio del Novecento e specialmente degli ultimi cinquanta anni il cinema può quindi essere una fonte di grande valore, anche perché un film può darci informazioni su più piani. Per esempio Roma città aperta (funzionale ad una narrazione filmica della Resistenza) può essere utilizzato come fonte per vari aspetti: come fotografia della città in guerra (il film è girato nel ’44, subito dopo la liberazione di Roma, ma quando la guerra non era ancora finita, direttamente nelle strade e nelle case); come una dichiarazione a favore della scelta del “fronte unito” tra i partiti del CLN (i protagonisti del film sono un comunista e un prete); come uno dei film che ha contribuito a sedimentare nei decenni successivi l’immaginario di massa sul nazista tipico ecc. Ovviamente, se si pensa di utilizzare il cinema come fonte, lo si dovrà inserire in un percorso di studio e ricerca, dove venga messo a confronto con altre fonti primarie o secondarie, tenendo sempre presente le potenzialità e i limiti con cui un film può essere utilizzato per lo studio della storia. Ma in un percorso per competenze si va al di là di questo. L’obiettivo è quello di progettare un percorso capace di evidenziare il carattere intrinsecamente interdisciplinare e multidisciplinare della letteratura e del suo insegnamento, cercando nella comparazione con altri linguaggi, una possibile chiave di accesso per gli studenti che si affiderebbero all’immagine, al suono, per interpretare pagine letterarie.

Le competenze di base, anche quelle disciplinari, in realtà non sono mai di una sola disciplina. Saper leggere e comprendere un testo, in particolare, è una competenza trasversale e complessa, che non può eludere la cultura implicita degli studenti né i loro linguaggi.

L’incontro tra la centralità del testo e la centralità dello studente/lettore presuppone sia la sperimentazione di strategie metodologiche compatibili con l’orientamento cooperativo della scuola attiva, sia il buon utilizzo delle nuove tecnologie, che facilitano gli approcci interdisciplinari, la multimedialità e il confronto fra i linguaggi. La prospettiva interdisciplinare sottrae la letteratura al suo isolamento fittizio e la restituisce al confronto con saperi e linguaggi diversi, dalle arti figurative alle scienze, dalla storia alla filosofia, dal cinema al teatro alla musica. Dunque il tipo di percorso che stiamo ipotizzando si presterebbe a promuovere una didattica inclusiva, potenziando contemporaneamente i saperi epistemologici a partire da quelli personali di ciascun allievo e quindi una didattica laboratoriale, in cui l’allievo costruisce competenze con le tecniche attive:

 – Simulative (role play, copioni, …);

 – Analitiche (studi di caso /autocaso / autobiografie);

 – Problemiche (situazioni critiche / incident, …);

 – Proattive (brainstorming, progetti, …);

 – Relazionali (cooperative learning, peer tutoring).

Questa è una proposta didattica pensata e programmata in sede di dipartimento e che si presta ad essere realizzata in qualsiasi scuola secondaria di secondo grado. In un Liceo artistico in particolare i docenti e le discipline coinvolti potrebbero essere tante: letteratura, storia dell’arte, storia, progettazione e laboratorio di grafica, progettazione e laboratorio di audiovisivo e multimediale, arti figurative. In particolare, in un esempio pratico, il Laboratorio di grafica curerà il materiale fotografico, le locandine, la pubblicità e la rassegna stampa. Nel Laboratorio audiovisivo il materiale raccolto verrà montato con software e programmi video professionali come premiere per produrre documentari, cortometraggi da pubblicare anche su youtube. Nel Laboratorio di arti figurative, infine, verranno realizzati bozzetti, disegni, ritratti, scenografie.

L’obiettivo finale di questo percorso di didattica comparata sarà simile a quello svolto ogni anno per la MOD scuola di Vibo Valentia, ma ancora più ricco, un Seminario rivolto a docenti e studenti con esperti del settore: gli studenti attraverso una flipped classroom presenteranno il lavoro svolto composto di relazioni, articoli, fotografie, cortometraggi, il tutto per dimostrare quanto studiare letteratura oggi con questi strumenti, con queste strategie possa essere un nuovo inizio per costruire una didattica innovativa e motivante per tutti!


[1] Cfr. Bruno Falcetto, Storia della narrativa neorealista, Mursia, Milano,1992.

[2]Inchiesta sul neorealismo, a cura di Carlo Bo, Edizioni Radio Italiana, Torino 1951, p. 7.

[3] Ivi, pp. 27-28.

[4] Italo Calvino, Prefazione, in id, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano, 1993, p. VIII.

[5] Ivi, p. VII.

[6] Ivi, p. VIII.

[7] Elio Vittorini, Americana, Bompiani, Milano, 1968, pp. 963-964.

[8] Giuseppe Berto, Appendice, in id, Il male oscuro, Neri Pozza, Padova, 2018, pp. 463-464.

[9]Romano Luperini, Il Novecento. Apparati ideologici, ceto intellettuale, sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea, Loescher, Torino, 1981; Guido Guglielmi, Tradizione del romanzo e romanzo sperimentale, in Manuale di Letteratura italiana, vol. IV, a cura di Brioschi-Di Girolamo, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pp. 597-602.

[10] Giuseppe De Santis, Peppe De Santis secondo se stesso. Conferenze, conversazioni e sogni nel cassetto di uno scomodo regista di campagna, a cura di A. Vitti, Metauro, Pesaro, 2006, p. 147.

[11] Antonio Costa, Saper vedere il cinema, Bompiani, Milano 1985, p. 96.

[12]Gian Piero Brunetta, Dal neorealismo al neorealismo, in Ripensare il neorealismo. Cinema, letteratura, mondo, a cura di Antonio Vitti, Metauro, Pesaro, 2008, pp. 69-70.

[13] Roberto Rossellini, in «Retrospettive», n. 4, aprile 1953.

[14]Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1993, pp. 358-359.

[15]Luchino Visconti, Tradizione e invenzione, in Stile italiano nel cinema, D. Guarnati, Milano, 1941, p. 78.

[16]Franco Blandi, Vittorio De Seta. Il poeta della verità, Navarra Editore, Palermo, 2016, p. 206.

[17]Gian Piero Brunetta, Dal neorealismo al neorealismo, in Ripensare il Neorealismo, cit., p. 68.

[18] Claudio Giunta, Cuori intelligenti. Dal secondo Novecento a oggi, 3 b edizione rossa, De Agostini, Novara, 2018.

[19] Segnaliamo all’interno della vasta proposta dell’editoria scolastica: Amor mi mosse, vol. 7, a cura di Giuseppe Langella, Perantonio Frare, Paolo Gresti, Uberto Motta, Bruno Mondadori, Milano- Torino, 2019; Vola alta la parola,  a cura di Roberto Carnero-Giuseppe Iannaccone, Giunti-Treccani, Firenze, 2019; Liberi di interpretare, a cura di Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia Marchiani, Franco Marchese, Palumbo, Palermo, 2019.

[20]Novella Gazich, Lo sguardo della letteratura, Percorsi tematici- Cinema, Principato, Milano, 2018, p. 5.

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