La letteratura sportiva: un approccio critico
La letteratura sportiva ha vissuto vicende complesse e problematiche, ancora oggi non del tutto risolte, che coinvolgono in primo luogo la definizione stessa del suo stesso (s)oggetto, ma anche gli autori che vi si sono accostati, soprattutto nel passato, pregiudicando fortemente l’affermarsi della narrazione dello sport.
Storia del genere sportivo
A parte i primi entusiasmi di D’Annunzio, che fu anche giornalista sportivo,[i] per la «palla di ottimo cuoio con camera d’aria inglese», secondo il termine da lui stesso coniato, un ruolo importante fu svolto dall’ostracismo verso il giornalismo, tanto più quello sportivo, di Benedetto Croce. L’atteggiamento del filosofo, fortemente convinto che il sempre crescente rilievo dato alle attività tese al divertimento sociale – alias manifestazioni sportive- e al miglioramento delle prestazioni fisiche – alias pratiche sportive- rappresentassero un vero e proprio attentato alla cura delle aree dell’intelligenza, il sentimento e lo spirito, fu determinante per l’affermarsi dell’equazione: sport = massa = manifestazioni letterarie di facile consumo; da qui l’analogia, quasi una sovrapposizione, della successione: evento sportivo – cronaca – dati tecnici. Dietro a tale avversità si nasconde in realtà la paura di una sorta di imbarbarimento della società civile, paura nutrita dagli intellettuali in genere e dall’élite dei “veri” letterati che intuiscono la potenzialità di espansione dello sport, in quanto fenomeno di massa popolare in progressivo avanzamento; va da sé che la stessa critica letteraria abbia trascurato di occuparsene, tranne in rarissimi casi (Portinari, Bàrberi Squarotti, Petrocchi, Raffaeli).
Il suddetto imbarbarimento fu invece “difeso” da Pier Paolo Pasolini che definì «la letteratura italiana contemporanea una pratica da elzeviri fondata su un’eleganza estetizzante di fondo conservatore e provinciale che non tiene conto che in tutti i linguaggi che si parlano in una nazione, anche i più gergali e ostici, va riconosciuto un terreno comune rappresentato dalla cultura di un Paese e dalla sua attualità storica della quale è parte integrante il calcio». Il testo di Pasolini Il calcio «è» un linguaggio con i suoi poeti e prosatori rappresenta un buon inizio per una prima riflessione sul rapporto letteratura e sport.[ii]
Resta da constatare che se ancora nel giugno 2010, il giornalista e scrittore Darwin Pastorin, responsabile di una rubrica fissa e un blog nel mensile di libri e letteratura L’indice dei libri del mese, dedicati unicamente ad autori e scritti di ambito sportivo, titola il suo articolo Lo stadio non è una serra. Il calcio scritto può avere dignità letteraria, chiedendosi: «Ma a che punto è la letteratura calcistica?» e soprattutto: esiste «una letteratura calcistica, o restiamo nel campo di un sotto genere?», significa che le resistenze non sono ancora del tutto cadute. E non sono bastati neppure i premi Nobel della letteratura che si sono occupati di calcio – Thomas S. Eliot 1948, Jean-Paul Sartre 1964, Camilo José Cela 1989, Kenzaburo Oe 1994, Gunter Grass 1999- a farle recedere del tutto.
D’altro canto, come spesso accade, l’assumere dignità di un genere letterario va di pari passo con la sua maggiore visibilità, per esempio quando venga inserito in manifestazioni di ambito letterario di prestigio, quale il Festivaletteratura di Mantova; nell’edizione del 2017 è stata installata, e messa a disposizione dei visitatori, una «biblioteca di pubblica lettura dedicata ai grandi gesti atletici, ai campioni entrati nell’immaginario collettivo, alla pratica sportiva quotidiana così come raccontata dagli scrittori italiani dall’Ottocento ai nostri giorni».
Ben vengano dunque sia la costituzione dei licei scientifici a indirizzo sportivo, sia i PFP (Progetti Formativi Personalizzati) che riconoscono all’interno dei diversi indirizzi scolastici superiori la specificità della formazione degli studenti-atleti di alto livello a rimuovere la logica di sport = muscoli = ignoranza.
Un problema culturale
Perché alla base resta soprattutto un problema di cultura, come sosteneva l’indimenticabile Gianni Brera: «Contiamo zero. Chi ci legge? Qualche esteta vizioso, qualche analfabeta. L’ultimo scribacchino francese sull’Equipe ha trecentomila lettori. Capisce un’ostia di sport, non ha linguaggio, ma ha quei lettori. Noi: tutti enne enne. Ci vogliono mille scribacchini franciosi per fare una tua unghia, per fare il mio dito piccolo, eppure loro contano e noi no. La lingua italiana non esiste, dobbiamo inventarcela. Colpa degli intellettuali, quindi anche tua. Che dovresti essere Balzac e non lo fai», e ancora «fossi io il ministro della Pubblica Istruzione Platini lo inserirei d’autorità nei programmi di filosofia. […] Quando parlo di cultura […] parlo di applicazione di pensiero, parlo di metodo e di capacità critica, parlo della preparazione tecnica di uno spettatore e anche dell’educazione sentimentale ed emotiva che occorre per non tirare tutte le volte un cubetto di porfido in testa all’arbitro. […] Se l’operazione riesce allora […] diventa patrimonio personale da utilizzare e spendere dove quando e come vuoi. In casa, sul lavoro, al bar. Ovunque».
I pregiudizi circolano tra gli stessi scrittori che esitano a scrivere di sport e quando lo fanno, rischiano la carriera. Un esempio per tutti il caso Arpino e il suo Azzurro tenebra,[iii] definito dallo stesso scrittore «romanzo reportage di “ambiente sportivo”», rispetto al quale i critici si rapportano in maniera discordante. Se infatti Pastorin dichiara che molti degli scrittori sportivi gli sono debitori, in quanto fu «il primo a “sdoganare” la letteratura calcistica, diventata grazie al suo impegno, ai suoi articoli per La Stampa e Il Giornale, al romanzo Azzurro tenebra, non più prosa o lirica di serie B, semplice vezzo intellettuale di passaggio, ma vera e propria eccellenza letteraria», altri lo stroncarono. Arpino pagò la sua scelta a caro prezzo – secondo Pastorin, «conobbe, da quel momento in avanti, un ingiusto, ingeneroso declino»- anche se grazie a quello che per molti è stato il più bel romanzo sportivo di sempre, forse proprio perché è la storia di una sconfitta, e in quanto tale scevra da ogni possibilità di trionfalismi autoreferenziali, oggi quasi tutti i critici sono concordi nell’ammettere che lo sport possa costituire materia letteraria.
Quanto ai confini extranazionali, non sembrano darsi circostanze diverse, tranne per alcune specifiche eccezioni. Si parla di alcuni autori nordamericani – Ernest Hemingway, Norman Mailer, Jack Kerouac che lavoravano anche come giornalisti sportivi, e Philip Roth, Don De Lillo e Bernard Malamud- ma soprattutto di quelli latino-americani, capaci, secondo Vazquez Montalbán, di «trasformare il calcio in una moderna forma di epica. […] l’epica calcistica di autori come Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano è stata esportata in tutto il mondo. Questi scrittori hanno saputo presentare il calcio per quello che veramente è, ossia una forma d’arte popolare. In questi autori c’è una naturalezza, una semplicità che manca del tutto negli scrittori europei. Che infatti, nel loro intellettualismo, hanno sempre snobbato il calcio».[iv] Prova ne è che ancora nel 1996 «Nick Coleman e Nick Hornby, nell’introduzione a The Picador book of sportswriting lamentano il perdurare di pregiudizi nei confronti dello scrittore sportivo che in Inghilterra ‒ patria degli sport moderni ‒ si interessa di calcio e rugby, tradizionalmente amati dalla classe media e popolare».
Una possibile classificazione degli scritti a tema sportivo
Sugli scritti che gravitano intorno allo sport come genere a se stante, una sintesi ancora oggi significativa è quella di Francesca Petrocchi, la quale pur sottolineando «la difficoltà di uniformare e omologare testi dissimili da un punto di vista non solo storico-letterario ma anche tematico», individua due categorie di scritti:
- quelli che tendono al racconto obiettivo e realistico di un fatto, di un episodio sportivo, o al tratteggio delle emozioni, reazioni e impressioni dello spettatore o dell’atleta; tra questi, gli articoli di cronaca e i commenti, che colgono gli eventi sportivi nella loro immediatezza o appena dopo, con l’inevitabile varietà di versioni-interpretazioni-visioni di ogni singolo “spettatore”, ma anche autobiografie e biografie;
- quelli nei quali l’inventiva e la creatività artistica prevale sulla realtà dello sport, plasmando l’immaginario sportivo, dando vita a campioni, “eroi” o eventi sportivi di pura finzione; il campo dell’immaginario riflette di fatto la personale concezione o ‘idea’ di uno sport coltivata dall’autore, il quale offre dunque un’interpretazione soggettiva del fenomeno sportivo come attività individuale o di squadra
Petrocchi conclude riconoscendo «che le due grandi categorie di testi narrativi entrano fra loro in relazione, interagendo, contaminandosi reciprocamente e svolgendo pariteticamente un’analoga funzione, quella appunto di ‘scrivere lo sport’ sia pur scegliendo due indirizzi ispirativi, strutturali, formali diversi».[v]
In sintesi. La letteratura sportiva è un ‘genere’ al quale far riferimento come «rete di relazione fra opere e serie di opere, configurantesi come un sistema dinamico, elastico e di carattere evolutivo», con caratteristiche sue peculiari, anomalo rispetto ad altri, a causa della grande variabilità di tipologie di scritture e di autori; a ciò vanno aggiunte le diversità insite nelle stesse discipline sportive prese singolarmente, e la conseguente, eventuale, partizione in sottocategorie. «Oggi si può affermare che non vi siano discipline sportive, né aspetti, risvolti, avvenimenti, contorni e sfondi a esse collegati che non abbiano trovato espressione nella letteratura novecentesca la quale, con diversi gradi di maturità stilistica, ha offerto spazio alla piena complessità delle implicazioni sottese alla realtà e al fenomeno sociale dello sport, nonché alla sua essenza psicologica, emozionale, ideale». Risulta così che gli scritti a tema di sport abbiano in comune il fatto che partono dalla necessità di esprimere sentimenti ed emozioni, trasfigurandoli in forma artistico-letteraria, attraverso le vicende dei suoi protagonisti, le loro storie individuali così come quelle delle diverse situazioni storico-sociali nel cui immaginario si trovano spesso a coprire, più o meno consapevolmente, un ruolo principale.
[i] G.Menga, Sportivamente D’Annunzio. Il vate tra sport, giornalismo e letteratura, ed. Croce Libreria, Roma, 2016.
[ii] Il Giorno, 3 gennaio 1971, in P.P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, Vol. II, Meridiani Mondadori, Milano, 1999
[iii] G.Arpino, Azzurro tenebra, Einaudi, Torino, 1977 (Bur Rizzoli, Milano, 2010)
[iv] Manuel Vázquez Montalbán, Calcio. Una religione alla ricerca del suo dio, Frassinelli, Torino, 1998.
[v] Francesca Petrocchi, La rappresentazione dello Sport. Sport e letteratura edito in Enciclopedia dello Sport vol VIII Arte Scienza Storia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2003, pp. 350-384.
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