L’11 settembre è la festa nazionale della Catalogna. La festa, chiamata Diada, celebra l’anniversario della fine dell’indipendenza (avvenuta nel 1714 dopo un assedio di Barcellona durato più di un anno). Ogni 11 settembre, si svolgono nelle vie di Barcellona imponenti e coreografiche manifestazioni che hanno assunto ogni volta di più il valore di una rivendicazione politica di indipendenza. Dopo il referendum del 1° ottobre 2017, duramente represso dalla polizia spagnola, e lo scioglimento del governo in carica, la Diada di quest’anno sta assumendo un valore ancora più grande, e ad essa prenderanno parte centinaia di migliaia di catalani ma anche numerosi manifestanti giunti da ogni parte del mondo per portare il loro sostegno alla causa indipendentista.
Per evitare il rischio di sovrapporre altri e ben diversi movimenti indipendentisti esistenti in Italia e in Europa, è opportuno ricordare che l’indipendentismo catalano affonda le sue radici democratiche e partecipative nella lotta al franchismo e si caratterizza per posizioni repubblicane ed europeiste, oltre che per la non-violenza e l’inclusività (per esempio nei confronti dei migranti).
L’autore di questo articolo è Oriol Junqueras, leader del partito catalano Esquerra [cioè sinistra] Republicana de Catalunya. Era vicepresidente del governo regionale catalano nel momento in cui, in seguito al referendum del 1° ottobre 2017 e della proclamazione dell’indipendenza, è stato arrestato e rinchiuso in carcere. Da dieci mesi è detenuto (insieme ad altri ministri del disciolto governo) con l’accusa di ribellione-sedizione contro lo stato, in attesa di un processo. Si tratta dunque di una prigionia preventiva. Altri ministri e il presidente del governo Puigdemont hanno invece scelto la via dell’esilio, e possono ora circolare liberamente fuori della Spagna, che ha ritirato il mandato di arresto internazionale dopo il rifiuto della Germania nel luglio scorso.
Le posizioni sostenute da Junqueras confermano la scelta del dialogo e della non-violenza, nel nome di una partecipazione popolare ampia e di una strada maggioritaria verso l’indipendenza (come è stato testimoniato dal referendum del 1° ottobre).
Lluís Companys –ricordato qui con Gandhi, Luther King e Rosa Parks– era il presidente del governo catalano al momento della guerra civile; catturato in esilio dalla Gestapo e consegnato a Franco, è stato fatto fucilare da questi nel 1940. Nessuna ritrattazione formale della condanna a morte è mai stata formulata dallo stato spagnolo.
Le successive persone nominate nell’articolo sono studiosi, politici, giornalisti e artisti catalani e spagnoli che non condividono le scelte indipendentiste ma si sono espressi per una ricerca non repressiva di mediazione.
Ciudadanos è un partito che ha invece una posizione duramente anticatalanista, con comportamenti talvolta violenti e provocatori che lo hanno avvicinato ai settori filofranchisti della destra sovranista spagnola. (Pietro Cataldi)
Si dice che l’Ode alla gioia di Schiller, che Beethoven ha immortalato in musica in quello che oggi è l’Inno europeo, inizialmente dovesse chiamarsi “Ode alla libertà”. Il poeta, a quanto pare, aveva capito che la libertà ha senso solo come ponte verso la gioia e la felicità umana. E come è naturale in un’ode alla gioia, nella poesia di Schiller abbondano i riferimenti alla fratellanza e all’amicizia. Non è, infatti, una coincidenza che la fraternità faccia parte del famoso motto repubblicano: la libertà e l’uguaglianza sono effimere se non poggiano su un minimo di cordialità fraterna, come purtroppo ci hanno dimostrato tante esperienze rivoluzionarie fallite.
Credo che nei tempi che stiamo vivendo è importante più che mai ricordare questa lezione: non c’è Repubblica senza fraternità, e la fraternità può nascere solo dalla nostra capacità di fare amicizia con coloro che non la pensano come noi. Non si tratta di sopprimere le differenze, ma, nella foga del dibattito, non dobbiamo mai dimenticare gli aspetti che ci uniscono: quelli nati dalla dignità e dalla bontà che dimora nel cuore della maggior parte delle persone. Le figure che incarnano più chiaramente il meglio della nostra specie sono quelle persone che hanno saputo coniugare la loro ferma opposizione all’ingiustizia con l’amore per tutti gli esseri umani: anche nei confronti dei loro oppressori e, a maggior ragione, verso quelle persone che semplicemente non erano d’accordo con loro. Giganti morali come Gandhi, Luther King, Rosa Parks o, nel nostro caso, come Lluís Companys.
Ecco perché voglio dire – e dirlo a voce alta – che io sono amico di Joan Herrera. Di Justo Molinero o di Eugenia Parejo. Di Jaume Asens. E di Gemma Ubasart. E di Jordi Évole. E vorrei che Joan Manuel Serrat o Elisenda Alamany, un giorno, mi considerassero loro amico. Non importa quanto diversamente la pensiamo su molte cose, a partire dalla valutazione della mia azione politica e governativa, che rivendico con orgoglio. Anch’io dissento su molte delle loro posizioni politiche; a volte, profondamente. Ma quando costoro criticano la repressione contro il movimento repubblicano, quando chiedono una soluzione politica al conflitto tra il governo catalano e quello spagnolo, non vedo altro che amici. Soprattutto quando nei rispettivi ambienti tale atteggiamento non viene particolarmente apprezzato. Pertanto, quando la mia squadra mi riferisce gli insulti che queste persone ricevono costantemente da alcuni indipendentisti, rimango esterrefatto.
Credo che questi comportamenti non solo sono eticamente riprovevoli, ma in più ci allontanano dalla Repubblica. Fortunatamente o sfortunatamente (e io credo per fortuna), il contesto geopolitico e sociale in cui si muove l’indipendentismo catalano rende impossibile qualsiasi strada per la Repubblica che non sia rigorosamente pacifica. E non c’è via pacifica verso la Repubblica se la stragrande maggioranza della società catalana non percepisce, da parte dell’indipendentismo più militante, un respiro fraterno che supera le differenze politiche. Quando Ciudadanos (9) cerca di provocare tensioni su questioni emotive, come per esempio i simboli, sa quello che fa. Sa che la sua unica speranza di vittoria sta nel rendere impossibile la cordialità tra i sostenitori del movimento repubblicano e coloro che non sono d’accordo o che vi partecipano in maniera meno convinta. Sa che, come disse Thomas Paine, «il tempo e la ragione cooperano», e che l’unico modo per rompere questa cooperazione è incoraggiare l’avversione irrazionale tra persone rispettabili.
Ecco perché, in questi tempi turbolenti, abbiamo bisogno che tutti facciano lo sforzo di vedere la bontà e le ragioni dell’altro. In pochi mesi, io e altre persone saremo giudicate in un processo iniquo in cui siamo già stati condannati in anticipo. Coloro che vogliono sostenere il regime del ’78 a qualunque prezzo cercheranno di trasformare quest’occasione in un’esplosione di odio irrazionale. Il nostro compito è di impedirlo. Fate che i mesi che verranno siano una dimostrazione di serena dignità. Terremo testa all’odio, ma non odieremo. Non soccomberemo né all’ingiustizia né alle basse passioni. Non rinunceremo alla libertà né all’amicizia. Otterremo la Repubblica rendendoci degni del sogno di fraternità di Schiller.
il testo originale è stato pubblicato il 3 settembre scorso: https://www.elperiodico.com/es/politica/20180902/amistad-junqueras-7014305
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